Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19432 del 18/07/2019

Cassazione civile sez. VI, 18/07/2019, (ud. 17/01/2019, dep. 18/07/2019), n.19432

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 8125-2018 proposto da:

F.C.M., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA

CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dagli

avvocati ALESSANDRO MARIA SCAVOLINI, ALFREDO BONOMO;

– ricorrente –

contro

CATTOLICA ASSICURAZIONE SOC COOP A RL, in persona del Procuratore

Speciale pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DELLA

MENDOLA 198, presso lo studio dell’avvocato MARIO MATTICOLI, che la

rappresenta e difende;

– controricorrente –

contro

L.M., M.P., M.E.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 6296/2017 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 06/10/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 17/01/2019 dal Consigliere Relatore Dott.ssa

PELLECCHIA ANTONELLA.

Fatto

RILEVATO

che:

1. Nel 2012, M.P., F.M.C. ed M.E. tutti in qualità di eredi di M.N.D., convennero innanzi al Tribunale di Latina L.M. e Società Cattolica di Assicurazione s.c. arl, al fine di accertare e dichiarare la responsabilità dei convenuti per il sinistro del 05/04/2007, a seguito del quale perse la vita M.D.N., chiedendo la condanna al risarcimento dei danni non patrimoniali e patrimoniali patiti per il decesso della rispettiva figlia e sorella.

L.M. e Società Cattolica di Assicurazione s.c. arl si costituirono in giudizio chiedendo il rigetto della pretesa attorea, rilevando che in sede di procedimento penale era emerso che la M.N.D. aveva invaso la corsia di marcia della L..

Il Tribunale con sentenza n. 968/15, rigettò la domanda e condannò gli attori al pagamento delle spese di lite, in ragione del fatto che le risultanze avevano consentito di ricostruire le dinamiche del sinistro e, conseguentemente, di vincere la presunzione prevista dall’art. 2054 c.c..

2. Solo la signora F. impugnò la sentenza del giudice di prime cure. La Corte D’Appello di Roma con sentenza n. 6296/2017 del 06 ottobre 2017, confermò la statuizione del Tribunale e condannò M.P., M.E. e F.M.C., a corrispondere a L.M. e Società Cattolica di Assicurazioni Cooperativa arl. la somma complessiva di Euro 6.883,00 ciascuno, a titolo di compensi, oltre rimborso spese forfettarie ed accessori di legge.

Ad avviso del Giudice di seconde cure, per il principio della probabilità relativa, il comportamento della L.M. doveva intendersi quale tentativo estremo di effettuare una manovra di emergenza a seguito di una costante e progressiva invasione di corsia da parte di N. M. (c.d. scambietto). Inoltre, la Corte ritenne corretto il comportamento della L. di segnalare la sua presenza con fari abbaglianti, consentito dall’art. 153 C.d.S., comma 4 in presenza di particolari circostanze di tempo e di luogo. Nel caso di specie si trattava di orario notturno e strada extraurbana.

3. Avverso tale sentenza F.C.M. propone ricorso per cassazione, sulla base di cinque motivi.

3.1. La Società Cattolica di Assicurazione resiste con controricorso.

4. E’ stata depositata in cancelleria ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., e regolarmente notificata ai difensori delle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza, la proposta di inammissibilità del ricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

5. A seguito della discussione sul ricorso, tenuta nella camera di consiglio, reputa il Collegio, con le seguenti precisazioni di non condividere la proposta del relatore quanto alla motivazione , ma ritiene ricorso comunque inammissibile per le seguenti ragioni.

6.1. Con il primo motivo la ricorrente lamenta la “Nullità della sentenza per violazione dell’art. 101 c.p.c. e 112 c.p.c., con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 4 in ordine all’attribuzione delle spese di giudizio a soggetti che non hanno provveduto all’impugnazione. Incertezza nella determinazione delle somme”.

La Corte d’Appello avrebbe manifestato un’errata interpretazione circa i reali contraddittori del giudizio di secondo grado ed in ordine agli stessi, ha espresso una valutazione meritevole di censura, soprattutto per le conseguenze che l’errore compiuto implica in riferimento alle spese di giudizio, ivi compresa la duplicazione delle somme erogate a titolo di contributo unificato. Pertanto la ricorrente impugna quella parte della sentenza nella quale assume che “contrariamente a quanto sostenuto da M.P., M.E. e F.C.M. (…)” che assume rilievo se coordinato con la parte della sentenza con cui “pronunciando sull’appello proposto da F.C.M., M.P., M.E. (…)” e condannando così ciascun erede al pagamento di lite del presente grado di giudizio, nonostante l’atto d’appello fosse stato proposto esclusivamente da F.M.C..

Inoltre la Corte avrebbe condannato le parti in modo vago e impreciso: “si liquidano in complessivi Euro 6.883,00 ciascuno per le spese”.

Il motivo è inammissibile per mancanza di interesse. Infatti ricorre solo F.C.M., che si duole di una condanna alle spese fatta ai danni di soggetti diversi. L’impugnazione, invece, doveva essere proposta da parte degli altri eredi.

6.2. Con il secondo motivo parte ricorrente si duole dell’Omessa motivazione su un punto decisivo della controversia. Urto tra veicoli verificatosi a centro strada. Violazione dell’art. 143 C.d.S., con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 5 (obbligo dei veicoli di circolare a destra)”.

La ricorrente si duole che la Corte, a seguito del motivo di appello relativo alla carenza di motivazione del giudice di prime cure, avrebbe motivato in modo apodittico, là dove ha affermato che l’urto si era verificato ‘a centro stradà e che l’Autorità intervenuta non avesse espresso “valutazioni sull’attribuzione della responsabilità del sinistro all’uno o all’altro conducente”. Secondo la F., invece, nel contesto delineato, proprio in relazione al ritrovamento dei veicoli post-urto al centro della carreggiata, avrebbe rivelato una responsabilità concorsuale.

Il motivo è inammissibile in quanto evoca il vecchio paradigma dell’art. 360 c.p.c., n. 5, e tanto ne determina in parte qua l’inammissibilità. In ogni caso, ove anche il motivo fosse apprezzato ai sensi del nuovo n. 5, non subirebbe sorte diversa in quanto non individua il fatto controverso su cui sarebbe stata omessa la decisione. E anche per quanto riguarda la denuncia di violazione della norma di diritto esso risulta articolato sulla base di argomentazioni del tutto generiche (Cass., Sez. Un., n. 7074 del 2017, che ribadisce il principio di diritto di cui a Cass. n. 4741 del 2005 in punto di necessaria specificità del motivo di ricorso per cassazione) ed assertorie e basate su riferimenti alle risultanze probatorie, i quali, quando non del tutto generici (come allorchè si fa riferimento “agli atti del giudizio”) sono del tutto omissivi dell’indicazione specifica di cui al n. 6 dell’art. 366 c.p.c..

6.3. Con il terzo mezzo la ricorrente lamenta il “Superamento della presunzione di corresponsabilità, delineata dalla legge attraverso la sostituzione alla stessa di un criterio di composizione dubitativa, “più probabile che non’, con violazione dell’art. 2054 c.c., comma 2 in riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3”.

La Corte ritenendo il c.d. “scambietto” una manovra di emergena giungeva a ritenere esclusiva la responsabilità della conducente deceduta nel sinistro, utilizzando la formula del c.d. del più probabile che non. La parte censura alla Corte l’utilizzo di tale formula interpretativa, in quanto rappresenterebbe un ingiustificato superamento della espressa previsione dell’art. 2054 c.c., comma 2, nella parte in cui prevede in caso di scontro di veicoli una presunzione di corresponsabilità, fino a prova contraria.

6.4. Con il quarto motivo parte ricorrente denuncia “l’Erronea interpretazione della legge, con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3 in relazione al concetto di manovra idonea ad evitare il sinistro, con violazione dell’art. 141 C.d.S., n. 4”.

La Corte avrebbe errato nel ritenere manovra di salvataggio l’uso dei lampeggiatori abbaglianti e del c.d. “scambietto”, effettuato dalla macchina Kia con alla guida la L..

Sostiene la ricorrente, al contrario, che una manovra per essere definita “di salvataggio” debba essere finalizzata concretamente ad evitare il sinistro; tale finalità la distingue dal concetto di “manovra estrema”. E applicando la regola dell’obbligo di ridurre la velocità e/o di fermarsi quando riesce malagevole l’incontro con altri veicoli, previsto l’art. 141 C.d.S., n. 4, solo tale manovra potrebbe considerarsi a pieno titolo “manovra d’emergenza” che avrebbe evitato, o quanto meno ridotto, i danni dell’incidente.

Il terzo e quarto motivo possono essere esaminati congiuntamente in quanto svolgono in realtà, considerazioni che sollecitano una diversa ricostruzione della quaestio facti e da ciò vorrebbe desumere che sarebbe stata illegittima la negazione di qualsiasi corresponsabilità.

I motivi si risolvono in una sostanziale richiesta alla Corte di procedere alla rivalutazione della quaestio facti tramite il controllo della motivazione della sentenza impugnata e, dunque, in una critica estranea ai limiti in cui Cass., Sez. Un., nn. 8053 e 8054 del 2014, hanno riconosciuto la possibilità del controllo della motivazione ricostruttiva della quaestio facti vigente il nuovo n. 5 dell’art. 360 c.p.c..

Inoltre si evidenzia contrariamente a quanto assunto nel terzo motivo, la regola della probabilità relativa (id est più probabile che non) costituisce principio generale in materia di responsabilità civile, contrapponendosi all’assioma dell'”oltre ogni ragionevole dubbio” che è caratteristico del giudizio penale.

Pertanto, una volta fornita la prova idonea a consentire il superamento di cui all’art. 2054 c.c., comma 2, il Giudice è tenuto a fare applicazione delle regole che sono proprie della responsabilità civile. Non si comprende, dunque, in cosa consista l’asserita violazione di norme di diritto.

Peraltro il terzo e quarto motivo violano pure l’art. 366, c.p.c., n. 6.

6.5. Con il quinto motivo si censura la “Nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4, con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 4 motivazione apparente per evidenza tecnica della deviazione in extremis, dalla Corte d’Appello definita manovra d’emergenza quale eseguita di veicoli Fiat piuttosto che dalla Kia”.

La Corte avrebbe mal ricostruito il fatto in modo tale da addivenire ad una sentenza illogica e meramente apparente. La manovra di emergenza risulterebbe erroneamente attribuita al veicolo Kia della L. anzichè alla Fiat 600 della N.. Tale ricostruzione sarebbe dipesa da una erronea interpretazione che la Corte avrebbe fatto sulla perizia S. (CTU).

Il quinto motivo è inammissibile perchè denuncia la violazione dell’art. 132 n. 4 in modo del tutto privo di corrispondenza con quanto ritiene la giurisprudenza di questa Core secondo cui la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (cfr. Cass. S.U. 8053-8054/2014).

7. Pertanto, il ricorso va dichiarato inammissibile. Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

la Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 3.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200, ed agli accessori di legge. lei sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del citato art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sesta sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, il 17 gennaio 2019.

Depositato in Cancelleria il 18 luglio 2019

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