Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19432 del 17/09/2020
Cassazione civile sez. VI, 17/09/2020, (ud. 16/07/2020, dep. 17/09/2020), n.19432
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 3
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DE STEFANO Franco – Presidente –
Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –
Dott. CIRILLO Francesco Maria – rel. Consigliere –
Dott. D’ARRIGO Cosimo – Consigliere –
Dott. PORRECA Paolo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 30080-2018 proposto da:
FILPUCCI S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore,
elettivamente domiciliata in ROMA, VIA MONTE ZEBIO 30, presso lo
studio dell’avvocato GIAMMARIA CAMICI, rappresentata e difesa
dall’avvocato CARLO CIABATTI;
– ricorrente –
contro
HERZ S.R.L. in liquidazione, in persona del legale rappresentante pro
tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ZARA 13, presso lo
studio dell’avvocato FLAVIO RONDININI, rappresentata e difesa
dall’avvocato ROBERTO ROSSI;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 609/2018 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,
depositata il 15/03/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non
partecipata del 16/07/2020 dal Consigliere Relatore Dott. CIRILLO
FRANCESCO MARIA.
Fatto
FATTI DI CAUSA
1. La Filpucci s.p.a. convenne in giudizio, davanti al Tribunale di Firenze, la Herz s.r.l. e – sulla premessa di aver concluso con la medesima un contratto col quale la convenuta si impegnava a provvedere al servizio di assistenza dell’impianto di movimentazione scatole presente nello stabilimento dell’attrice – chiese che la stessa fosse condannata al risarcimento dei danni conseguenti all’inadempimento delle obbligazioni assunte, con contestuale riconoscimento di non dover più essa attrice pagare alla convenuta il residuo delle somme contrattualmente pattuite.
Si costituì in giudizio la convenuta, chiedendo il rigetto della domanda e proponendo domanda riconvenzionale di condanna della parte attrice al pagamento della somma di Euro 17.400 dovuta a titolo di rata semestrale non corrisposta.
Il Tribunale rigettò la domanda principale e dichiarò inammissibile quella riconvenzionale per tardività, condannando la società attrice al pagamento delle spese di lite.
2. La pronuncia è stata impugnata dalla società Filpucci e la Corte d’appello di Firenze, con sentenza del 15 marzo 2018, ha rigettato il gravame ed ha condannato l’appellante al pagamento delle ulteriori spese del grado.
Ha rilevato la Corte territoriale, per quanto di interesse in questa sede, che, in relazione alla parte dell’appello con cui era stato contestato il cattivo funzionamento del lettore burcode, la parte appellante aveva in primo grado modificato la propria linea difensiva con la memoria istruttoria di cui all’art. 184 c.p.c.; per cui il Tribunale non avrebbe neppure dovuto ammettere i capitoli di prova rubricati al n. 5) e al n. 6), perchè avevano ad oggetto una prospettazione tardivamente proposta. Ma comunque, assunta ugualmente la prova dal Tribunale, l’unico teste ( C.F.) era da ritenere del tutto inattendibile in quanto “istruito”, come risultava dal verbale di primo grado secondo cui egli era presente in udienza con copia delle memorie istruttorie.
3. Contro la sentenza della Corte d’appello di Firenze ricorre la Filpucci s.p.a. con atto affidato a due motivi.
Resiste la Herz s.r.l. in liquidazione con controricorso.
Il ricorso è stato avviato alla trattazione in camera di consiglio, sussistendo le condizioni di cui agli artt. 375,376 e 380-bis c.p.c., e la società controricorrente ha depositato memoria.
Diritto
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., sul rilievo che la sentenza impugnata avrebbe preso in considerazione, senza alcuna domanda sul punto, la questione della presunta non ammissibilità di alcuni capitoli di prova.
1.1. Il motivo, quando non inammissibile in considerazione dell’erroneo richiamo dell’art. 112 c.p.c. cit. in relazione alla ammissibilità dei capitoli di prova, è privo di fondamento, posto che la Corte di merito non ha fatto altro che valutare il merito della censura proposta alla luce del materiale istruttorio a disposizione ed è pervenuta alla conclusione, peraltro non contestata dalla ricorrente, secondo cui alcuni capitoli di prova erano da ritenere inammissibili per la tardiva modifica della linea difensiva.
Ora, a parte l’evidente infondatezza della censura, la sentenza ha comunque valutato quei capitoli come se fossero stati ammissibili, per cui nessuna violazione di legge è configurabile.
2. Con il secondo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., sul rilievo che la Corte d’appello avrebbe ritenuto non utilizzabile la deposizione del teste C. pur in assenza di domanda sul punto.
2.1. Il motivo, quando non inammissibile, è comunque privo di fondamento.
Osserva il Collegio, riprendendo quanto in parte già rilevato a proposito del primo motivo, che la Corte d’appello non ha fatto altro che valutare la credibilità di un teste, ciò che costituisce un compito tipico del giudice di merito; per cui la valutazione del materiale probatorio è stata comunque e nel suo complesso sollecitata al giudice del gravame e da questo compiuta. Ed è poi appena il caso di aggiungere che una cosa è l’incapacità del teste, effettivamente rimessa all’eccezione di parte, un’altra è la valutazione della sua attendibilità, che il giudice può e deve compiere senza bisogno di alcuna sollecitazione delle parti in causa.
3. Il ricorso, pertanto, è rigettato.
A tale esito segue la condanna della società ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate ai sensi del D.M. 10 marzo 2014, n. 55.
Sussistono, inoltre, le condizioni di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, per il versamento, da parte della società ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.
PQM
La Corte rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi Euro 3.200, di cui Euro 200 per spese, oltre spese generali ed accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza delle condizioni per il versamento, da parte della società ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta Sezione Civile – 3, il 16 luglio 2020.
Depositato in Cancelleria il 17 settembre 2020