Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19430 del 30/09/2016


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Cassazione civile sez. III, 30/09/2016, (ud. 27/06/2016, dep. 30/09/2016), n.19430

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 17904-2013 proposto da:

T.M., ((OMISSIS)), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PO

43, presso lo studio dell’avvocato CESARE MASSIMO BIANCA,

rappresentato e difeso dall’avvocato PIETRO SIRENA giusta procura

speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

MILANO ASSICURAZIONI S.P.A., in persona del suo procuratore speciale

Dott. S.F., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA L.

BISSOLATI 76, presso lo studio dell’avvocato TOMMASO SPINELLI

GIORDANO, che la rappresenta e difende giusta procura speciale in

calce al controricorso;

GENERALI ITALIA S.P.A. (quale nuova denominazione della INA ASSITALIA

S.P.A.), a mezzo della propria mandataria e rappresentante GENERALI

BUSINESS SOLUTIONS S.C.p.A., in persona dei sig.ri P.V.

e D.G., elettivamente domiciliata in ROMA, P.ZA UNITA’

13, presso lo studio dell’avvocato LUISA RANUCCI, che la rappresenta

e difende giusta procura speciale in calce al controricorso;

– controricorrenti –

e contro

N.M., N.P.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 2152/2013 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 16/04/2013, R.G.N. 6216/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

27/06/2016 dal Consigliere Dott. ENZO VINCENTI;

udito l’Avvocato PIETRO SIRENA;

udito l’Avvocato LUISA RANUCCI;

udito l’Avvocato ENRICA FASOLA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE

RENZIS Luisa, che ha concluso per l’inammissibilità o per il

rigetto del ricorso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. – T.M. convenne in giudizio, davanti al Tribunale di Roma, N.M., N.P., la Milano Assicurazioni S.p.A. e l’Assitalia, quale impresa designata per il F.G.V.S., per sentirli condannare in solido tra loro al risarcimento di tutti i danni, patrimoniali e non patrimoniali, conseguenti alle gravi lesioni personali da lui riportate a seguito del sinistro stradale occorso in data (OMISSIS).

A fondamento della domanda risarcitoria l’attore espose: che, una volta giunto, alla guida del proprio ciclomotore Piaggio, all’altezza dell’intersezione con Via (OMISSIS), ove la (OMISSIS) forma una curva volgente a sinistra, vedendosi improvvisamente sbarrare la strada da un’autovettura A112, ferma al centro della carreggiata, tentava una manovra di emergenza e, perso il controllo del mezzo, cadeva in terra; che, mentre era a terra, sopraggiungeva a forte velocità una Fiat Uno, condotta da N.M., di proprietà di N.P., che usciva di strada, urtando il marciapiede, e lo investiva in pieno; che, pertanto, subiva l’impatto dell’autovettura investitrice e, dopo essere rimasto incastrato sotto detta auto, veniva spinto verso la A112 e rimaneva incastrato con le gambe sotto quest’ultima; che il conducente della A112 si allontanava senza lasciare le proprie generalità e senza che nessun altro dei presenti rilevasse il numero di targa; che dell’accadimento veniva redatto verbale sia da parte dei Vigili Urbani, che dei Carabinieri, ma in nessuno di detti atti risultava la presenza del veicolo rimasto non identificato.

1.1. – Con sentenza del marzo 2004, l’adito Tribunale di Roma riconobbe la responsabilità esclusiva di N.M. nella determinazione del sinistro per cui è causa, condannando in solido fra loro i convenuti al pagamento, in favore del T., della somma risarcitoria di Euro 1.115.000,00, oltre che delle spese di giudizio.

2. – Avverso tale decisione proponevano impugnazione (in via principale) la Milano Assicurazioni S.p.A. e (in via incidentale) T.M..

Con sentenza resa pubblica in data 16 aprile 2013, la Corte d’Appello di Roma accoglieva l’appello principale e, in totale riforma della sentenza gravata, rigettava la domanda proposta dal T. nei confronti di N.M., N.P., la Milano Assicurazioni S.p.A. e l’Assitalia, quale impresa designata per il F.G.V.S., condannando lo stesso T. a restituire alla Milano Assicurazioni la somma di Euro 1.167.481,06, oltre interessi legali dal 23 giugno 2005 al saldo.

2.1. – La Corte territoriale – premesso che con sentenza del Tribunale di Roma n. 2919/01, passata in giudicato, erano state rigettate le querele di falso proposte dal T. avverso i verbali redatti dai Carabinieri e dalla Polizia di Stato – assumeva, anzitutto, che era incontestato che i testi oculari C.A., La.Co.Ma. e Co.Gi. avevano rilasciato ai verbalizzanti le dichiarazioni contenute nei detti verbali, sebbene il relativo tenore non era assistito da fede privilegiata.

La Corte d’Appello affermava, quindi, di dover “vagliare l’attendibilità della versione fornita dai testi escussi”, con esclusione dei testi Ga. e B., che non risultavano “indicati in alcun rapporto come presenti sul luogo del sinistro”, pur avendo, “al contrario, dichiarato, in contrasto con quanto risulta dal rapporto, di avere rilasciato le generalità ai Vigili Urbani intervenuti”.

Peraltro, osservava ancora il giudice del gravame, erano stati gli stessi Gagliardo e B. “ad ammettere di essere stati contattati dal padre del T., che gli avrebbe chiesto di rilasciare dichiarazioni sulla dinamica del sinistro, di essere stati convocati presso lo studio legale dell’attore insieme al C. e di aver rilasciato le dichiarazioni dagli stessi sottoscritte in data 26 giugno 1996 dopo aver parlato tra di loro”.

2.2. – La Corte capitolina rilevava, inoltre, che nel verbale di spontanee dichiarazioni rese ai Carabinieri in data 16 novembre 1990, e sottoscritte dal C., quest’ultimo aveva precisato non solo che, prima della caduta del T., “non vi erano altri mezzi in circolazione che potessero ostacolarlo” e che, quindi, lo stesso aveva perso “il controllo del ciclomotore senza alcuna responsabilità da parte di terze persone”, ma anche che la Fiat Uno, sopraggiunta, non aveva “assolutamente toccato il ragazzo che stava in terra”.

2.3. – Il giudice di appello evidenziava, altresì, che nel rapporto del Commissariato di P.S. di “Monte Mario” si dava atto che T.M., il giorno stesso dell’incidente, aveva riferito che “mentre percorreva (OMISSIS), causa fondo stradale bagnato, scivolava cadendo poi per terra, riportando quanto da referto medico” e che le infortunate La. e Co., a loro volta, avevano spontaneamente dichiarato che “l’autovettura Fiat Uno che le aveva investite non avrebbe neppure sfiorato nè toccato il T. che si trovava al margine destro della carreggiata a causa della caduta involontaria”.

2.4. – In tale contesto, la Corte territoriale riteneva non credibile la versione fornita dai testi oculari C., La. e Co. “in un secondo momento dinanzi al giudice”, in quanto “non suffragata da elementi oggettivi” e “in evidente contrasto con le dichiarazioni rese nell’immediatezza che sono da ritenersi ovviamente più genuine”.

Il giudice di secondo grado osservava, ancora, che “la ritrattazione effettuata dai testi non risponde ad esigenze plausibili di una iniziale confusa percezione dei fatti dichiarati, bensì all’esigenza di fornire un supporto probatorio alle esigenze risarcitorie dell’infortunato”.

A tal riguardo, la Corte di merito precisava che era stato lo stesso teste C., interrogato all’udienza del 4 luglio 1994, a spiegare “che era stato contattato dal padre del T. che gli aveva riferito le gravi condizioni in cui versava il figlio e che solo tale circostanza lo aveva indotto a ritrattare le dichiarazioni rilasciate ai Carabinieri”.

2.5. – Il giudice di appello, pertanto, concludeva nel senso del difetto di prova – della quale era onerato il T. – che il sinistro fosse “ascrivibile al comportamento colposo concorrente del conducente di un veicolo rimasto sconosciuto e del conducente dell’autovettura assicurata con la Milano Assicurazioni”, con conseguente rigetto della domanda risarcitoria.

3. – Per la cassazione di tale sentenza ricorre Morian T., affidando le sorti dell’impugnazione a sei motivi.

Resistono con separati controricorsi la Milano Assicurazioni S.p.A. e la Generali Italia S.p.A. (già Ina Assitalia S.p.A.).

Non hanno svolto attività difensiva in questa sede gli intimati N.M. e N.P..

La trattazione del ricorso è pervenuta all’udienza del 27 giugno 2016 a seguito di rinvio dall’udienza del 29 aprile 2016 (per astensione dell’originario relatore, con conseguente assegnazione del ricorso ad altro consigliere).

In prossimità di dette udienze il ricorrente e le parti controricorrenti hanno depositato memorie ex art. 378 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. – Con il primo mezzo è denunciata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., comma 1, nonchè, ai sensi all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, nullità della sentenza per la violazione dell’art. 115 c.p.c., comma 1.

La Corte territoriale, nell’escludere del tutto dalla valutazione delle risultanze istruttorie le deposizioni dei testi Ga. e B., giungendo “in modo surrettizio a configurare una loro incapacità a testimoniare” non prevista dalla legge, avrebbe violato sia l’art. 115 c.p.c., comma 1, non avendo posto a fondamento della propria decisione alcune prove testimoniali decisive che erano state indicate da esso T. ed acquisite nel giudizio di primo grado, sia l’art. 2697 c.c., avendo conseguentemente rigettato la domanda dell’attore, sebbene quest’ultimo avesse assolto l’onere probatorio su di lui incombente.

2. – Con il secondo mezzo è denunciata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione o falsa applicazione del D.Lgs. 28 luglio 1989, n. 271, (art. 65 disp. att. c.p.p.) art. 38 nonchè nullità della sentenza di merito per la violazione dell’art. 115 c.p.c., comma 1.

La Corte d’Appello, in considerazione dei contatti che il Ga. ed il B. ebbero con il padre di T.M., avrebbe erroneamente escluso di considerare, ai fini della decisione, le deposizioni testimoniali rese da quest’ultimi nel corso del giudizio di primo grado, nonostante l’affermazione da parte dei testi in questione di essere stati contattati dal genitore del danneggiato si riferisse esclusivamente alle dichiarazioni stragiudiziali da essi rilasciate per iscritto al precedente difensore del T. e non anche alle loro deposizioni testimoniali, e, conseguentemente, non avendo posto a fondamento della propria decisione le prove fornite dall’attore, avrebbe violato l’art. 115 c.p.c., comma 1.

Del pari, nell’escludere le testimonianze del Ga. e del B. per le suesposte ragioni, la Corte territoriale avrebbe violato il disposto di cui al D.Lgs. 20 luglio 1989, n. 271, art. 38, comma 1, (attualmente recepito nell’art. 391-bis c.p.c.), in forza del quale il difensore ha “facoltà di svolgere investigazioni per ricercare e individuare elementi di prova a favore del proprio assistito e di conferire con le persone che possano dare informazioni”; regola, questa, da reputarsi applicabile anche al giudizio civile.

3. – Con il terzo mezzo è denunciata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione o falsa applicazione dell’art. 2700 c.c..

Premesso che l’atto pubblico non fa piena prova fino a querela di falso dell’inesistenza dei fatti che il pubblico ufficiale non attesta essere avvenuti in sua presenza, perchè li ha ignorati, la Corte d’Appello avrebbe erroneamente ritenuto che i verbali acquisiti al processo provavano fino a querela di falso che i testi Ga. e B. non erano presenti sul luogo del sinistro, atteso che, nel caso di specie, nessun pubblico ufficiale risulta aver attestato che i testi in questione non erano presenti in tale luogo e non avevano assistito all’incidente stradale occorso al T..

4. – Con il quarto mezzo è denunciata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione o falsa applicazione del D.Lgs. 28 luglio 1989, n. 271, (art. 65 disp. att. c.p.p.) art. 38 (art. 65 disp. att. c.p.p.) nonchè nullità della sentenza di merito per la violazione dell’art. 115 c.p.c., comma 1.

La Corte d’Appello, nel considerare irrilevanti, ai fini della decisione, le dichiarazioni testimoniali rese del C., in ragione del contrasto di tali dichiarazioni con quelle verbalizzate nell’immediatezza dell’incidente, nonchè in virtù dei contatti che il C. ebbe con il padre dell’odierno ricorrente, avrebbe violato, tanto, la citata norma di cui al D.Lgs. 28 luglio 1989, n. 271, (art. 65 disp. att. c.p.p.) art. 38 (art. 65 disp. att. c.p.p.), quanto il disposto di cui all’art. 115 c.p.c., comma 1, non avendo posto a fondamento della propria decisione delle prove decisive fornite dall’attore e che erano state acquisite nel giudizio di primo grado.

5. – Con il quinto mezzo è denunciata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione o falsa applicazione dell’art. 2735 c.c., comma 1.

Posto che le dichiarazioni rese dal T. nell’immediatezza del sinistro non contengono alcuna ammissione di un fatto a lui sfavorevole, in quanto non escludono nè il successivo investimento del T. da parte dalla Fiat Uno di proprietà di N.P. e condotta da N.M., nè, tantomeno, che al momento della caduta egli stesse effettuando una manovra di emergenza al fine di evitare l’automobile A112 che ingombrava la carreggiata, la Corte territoriale avrebbe erroneamente attribuito alle dichiarazioni in questione il valore probatorio di una confessione stragiudiziale.

6. – Con il sesto mezzo è denunciata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, nullità della sentenza o del procedimento per la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c..

La Corte d’Appello avrebbe erroneamente ritenuto non dimostrata la presenza dell’autovettura A112 sul luogo dell’incidente occorso al T., avendo omesso di valutare quanto dichiarato sul punto dai testi Ga. e dal B., nonchè le risultanze della consulenza tecnica d’ufficio, espletata nel primo grado di giudizio, che aveva confermato la compatibilità delle lesioni riportate dal danneggiato con la prospettata dinamica del sinistro per cui è causa.

7. – I motivi, da scrutinare congiuntamente, non possono trovare accoglimento.

7.1. – Giova premettere che, alla luce del “diritto vivente” (tra le tante, più di recente cfr. Cass., 23 maggio 2014, n. 11511 e Cass., 10 giugno 2014, n. 13054), nel procedimento civile la valutazione delle risultanze delle prove ed il giudizio sull’attendibilità dei testi, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice di merito, il quale è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove che ritenga più attendibili, con la conseguenza che è insindacabile, in sede di legittimità, il “peso probatorio” di alcune testimonianze rispetto ad altre, in base al quale il giudice di secondo grado sia pervenuto ad un giudizio logicamente motivato, diverso da quello formulato dal primo giudice.

In tal senso, è, quindi, da escludersi che possa ravvisarsi un error in indicando su norma processuale, tale da determinare la nullità della sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 nella violazione dell’art. 115 c.p.c. (e a maggior ragione dell’art. 116 c.p.c.) assunta in rapporto alla scelta dei mezzi istruttori utilizzabili per il doveroso accertamento dei fatti rilevanti per la decisione, rimessa, all’apprezzamento discrezionale, ancorchè motivato, del giudice di merito.

7.2. – In armonia con il richiamato orientamento si colloca la sentenza della Corte capitolina, che, senza operare alcuna surrettizia configurazione di incapacità a testimoniare ex art. 246 c.p.c. (neppure adombrata nella motivazione della decisione impugnata), nè tantomeno la pretermissione illegittima di prove acquisite in giudizio (art. 115 c.p.c., comma 1), nè, ancora, un ribaltamento della regola dell’onere della prova di cui all’art. 2697 c.c. (ed anzi facendone coerente applicazione in rapporto alla fattispecie di illecito extracontrattuale oggetto di cognizione) o la violazione dell’artt. 2700 c.c., ha effettuato – proprio sulla base del materiale probatorio ritualmente acquisito (art. 115 c.p.c.) e secondo il prudente apprezzamento ad essa riservato (art. 116 c.p.c.) – un mero giudizio sulla attendibilità dei testimoni e sulle rispettive dichiarazioni, così da giungere a ritenere talune deposizioni (quelle del Ga. e del B., giacchè non presenti sul luogo del sinistro) non credibili tout court e altre (quelle dei testi oculari C., La. e Co.) non credibili nella versione resa in giudizio, preferendo quella fornita nell’immediatezza dei fatti ai pubblici ufficiali giunti sul luogo dell’incidente (precisando che la querela di falso proposta avverso i verbali redatti dai Carabinieri e dalla Polizia di Stato – e non già contro il verbale dei Vigili Urbani era stata respinta con sentenza passata in giudicato).

7.2.1. – Nè un tale esito può essere contrastato con i rilievi del ricorrente, espressi con le memorie ex art. 378 c.p.c., circa una possibile violazione dell’art. 6, par. 1, CEDU – per aver il giudice di appello “ritenuto di escludere a priori” le deposizioni del Ga. e del B. “dal quadro delle risultanze probatorie che erano rimesse al suo libero apprezzamento” – come risulterebbe in forza della sentenza della Corte EDU, Manolachi c. Romania del 5 marzo 2013.

La doglianza non solo è ge n.camente confezionata (peraltro, solo con le memorie di cui al citato art. 378), posto che la denuncia della violazione di disposizioni della Convenzione non è stata modulata in base a puntuali deduzioni involgenti sia l’enucleazione della regola desumibile dalle decisioni adottate in sede Europea in casi analoghi, sia l’indicazione di elementi concretamente apprezzabili della fattispecie all’esame del giudice nazionale attraverso i quali condurre il confronto richiesto, ossia di come il giudice di merito si sia discostato dai criteri CEDU e dall’indicazione di concreti elementi di analogia fra il suo caso, di cui deve indicare i profili, e gli altri casi consimili in cui, in sede Europea, sono stati applicati i parametri più adeguati e comunque più favorevoli che invoca (Cass., 7 gennaio 2014, n. 76).

Ma la medesima censura si palesa inconferente, giacchè il principio della rinnovazione dell’istruzione testimoniale che si impone in casi di overturning della decisione di primo grado – affermato, in base all’art. 6 CEDU, da varie sentenze della Corte EDU (21 settembre 2010, Marcos Barrios c. Italia; 27 novembre 2007, Popovici c. Moldavia; 5 luglio 2011 Dan c. Moldavia; 5 marzo 2013 Manolachi c. Romania; 9 aprile 2013, Fluers c. Romania; 4 giugno 2013 Hanu c. Romania) – ha rilievo in ambito penalistico, come presidio di tutela dell’imputato, là dove il giudice del gravame intenda riformare (“ribaltare”) la sentenza assolutoria di primo grado per giungere all’affermazione della responsabilità dell’imputato medesimo in forza di una diversa valutazione dell’attendibilità della prova dichiarativa ritenuta decisiva dal primo giudice. Solo in tale prospettiva, dunque, l’art. 6 CEDU impone al secondo giudice di disporre la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale al fine di escutere personalmente e direttamente i testimoni che hanno reso le relative dichiarazioni.

Si tratta, del resto, di principio che la prevalente giurisprudenza delle Sezioni penali di questa Corte ha ritenuto armonico con la regola di giudizio “al di là di ogni ragionevole dubbio” di cui all’art. 534 c.p.c., comma 1, su cui deve fondarsi l’affermazione di responsabilità penale e, dunque, la relativa condanna e che si palesa consentanea alla garanzia fondamentale della “presunzione di non colpevolezza”, di cui all’art. 27 Cost., comma 2, cui è ispirato anche il p. 2 del citato art. 6 CEDU.

E’, quindi, evidente come la fattispecie in esame non si presti affatto ad essere ricondotta nell’alveo del principio anzidetto, desunto dalla giurisprudenza di Strasburgo dall’art. 6 CEDU, giacchè non attiene ad ipotesi di affermazione di responsabilità penale già in precedenza esclusa, ma il thema decidendum è quello, ben diverso, della responsabilità civile, estranea al perimetro delle garanzie innanzi ricordate e nel cui ambito opera la differente regola di funzione del “più probabile che non”.

E ciò senza tener conto che la tesi del ricorrente si colloca comunque in un’ottica del tutto eccentrica rispetto al principio convenzionale di cui invoca l’applicazione, giacchè il T., come danneggiato, sollecita un overturning della decisione “assolutoria” in pregiudizio del/dei responsabile/i, del/i quale/i chiede l’affermazione di responsabilità.

7.3. – Neppure è dato ravvisare contraddizioni insanabili o patente illogicità nel giudizio espresso dal giudice del merito ai fini della selezione del materiale probatorio su cui ha fondato la decisione.

Si tratta, invero, di valutazioni plausibili, che non sono scalfite dalle doglianze di parte ricorrente, le quali, là dove non si surrogano esse stesse (in modo inammissibile) nell’apprezzamento delle prove, non sempre colgono la stessa ratio decidendi che assiste la pronuncia. Con l’ulteriore precisazione che la critica che evoca la mancata considerazione dell’elemento della c.t.u. medico-legale espletata in corso di giudizio si palesa, in ogni caso, inammissibile per inosservanza sia del principio di specificità dei motivi, mancando di dare contezza, anche per sintesi intelligibile e chiaro, del contenuto dell’atto, sia di quello di c.d. puntuale localizzazione, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6.

Ciò a prescindere dal rilievo che, come tale, la doglianza veicola un difetto di sufficienza della motivazione che non avrebbe potuto neppure essere denunciato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, applicandosi nella specie la formulazione vigente della norma (di cui alla novella legislativa recata dal D.L. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 134 del 2012), in quanto la sentenza impugnata è stata pubblicata il 16 aprile 2013.

7.3.1. – Quanto, infatti, alla posizione dei testi Ga. e B., la Corte di appello (cfr. anche sintesi al p. 2.1. del “Ritenuto in fatto” che precede) ha plausibilmente evidenziato – senza porre in discussione il principio di fede privilegiata dell’atto pubblico (art. 2700 c.c.) in riferimento al suo contenuto (e, dunque, senza affermare che l’assenza del Ga. e del B. sul luogo del sinistro era, come tale, attestata, fino a querela di falso, dai verbali di polizia acquisiti al processo, ma soltanto constatando che i predetti testimoni “non risultano indicati in alcun rapporto come presenti sul luogo del sinistro”) – il contrasto tra quanto gli stessi Ga. e B. avevano assunto in riferimento alla loro presenza sul luogo dell’incidente, siccome da essi corroborata in forza della circostanza del rilascio delle generalità “ai Vigili Urbani intervenuti”, e quanto invece risultante nel verbale della stessa polizia municipale (cui chiaramente si riferisce in parte qua la sentenza impugnata, diversamente da quanto opina il ricorrente), nel quale non erano riportate le anzidette generalità.

Giudizio di inattendibilità corroborato, altresì, dal fatto della ammissione, da parte dei medesimi testi, di “essere stati contattati dal padre del T.”, di “essere stati convocati presso lo studio legale dell’attore insieme al C.” e di avere “rilasciato le dichiarazioni sottoscritte in data 26/6/1991 dopo aver parlato tra di loro”.

In tal senso, posto che non coglie nel segno la critica che fa leva sul fatto che trattavasi soltanto di dichiarazioni sottoscritte e non già delle deposizioni rese in giudizio, posto che neppure il ricorrente deduce che dette dichiarazioni siano state smentite o non confermate in sede di deposizione testimoniale, risulta comunque non pertinente il richiamo alla norma di cui al D.Lgs. 28 luglio 1989, n. 271, (art. 65 disp. att. c.p.p.), art. 38 (anche a prescindere dalla problematica sulla applicabilità analogica nel processo civile della regola da essa espressa), posto che l’accento della Corte territoriale che non fa questione di legittimità della prova, nè di ammissibilità del mezzo probatorio atipico (così da non frapporre ostacoli al diritto alla prova dell’attore) – è posto, plausibilmente, sul combinarsi di plurime circostanze di fatto (tra cui quella, di chiusura, dell’aver i testi conferito tra loro prima di sottoscrivere le rispettive dichiarazioni), le quali operano in funzione della credibilità intrinseca delle dichiarazioni rese da chi è tenuto, in ogni caso, a rappresentare i fatti come percepiti oggettivamente.

7.3.2. – Quanto sopra rilevato è mutuabile anche ai fini dello scrutinio delle censure che investono la posizione del teste oculare C., rispetto alla quale la valutazione della Corte di merito (cfr. anche sintesi ai p.p. 2.2. e 2.4. del “Ritenuto in fatto” che precede) si è plausibilmente orientata per la credibilità della versione, più genuina, fornita dallo stesso (e dagli altri due testi oculari La. e Co.) nella immediatezza dei fatti, ponendo in rilievo che la ritrattazione non era da addebitare da una originaria percezione confusa dell’accaduto, ma “per fornire un supporto probatorio alle esigenze risarcitorie dell’infortunato”.

7.3.3. – Nè miglior sorte possono avere le doglianze che riguardano le dichiarazioni dello stesso T., giacchè (anche) esse non colgono affatto l’effettiva ratio decidendi della sentenza impugnata (cfr. anche sintesi al p. 2.3. del “Ritenuto in fatto” che precede), che non si fonda su una confessione stragiudiziale dell’attore, ma si è limitata ad utilizzare le dichiarazioni del danneggiato al solo fine di vagliare la credibilità della versione dei fatti resa dal teste C. nel corso del giudizio di primo grado, confortandosi nel convincimento della genuinità della versione inizialmente fornita dal medesimo C. e dagli altri testi oculari.

8. – Il ricorso va, dunque, rigettato.

Le ragioni già espresse in sede di appello in ordine alla compensazione delle spese di entrambi i gradi, non fatte oggetto di impugnazione, consentono di ritenere sussistenti giusti motivi per disporre la compensazione integrale delle spese anche del presente giudizio di legittimità.

Nulla è da disporsi in punto di regolamentazione delle spese processuali nei confronti degli intimati che non hanno svolto attività difensiva in questa sede.

PQM

LA CORTE

rigetta ricorso e compensa integralmente le spese del presente giudizio di legittimità tra il ricorrente e le parti controricorrenti.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del citato art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza civile della Corte suprema di Cassazione, il 27 giugno 2016.

Depositato in Cancelleria il 30 settembre 2016

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