Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19429 del 03/08/2017


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Cassazione civile, sez. I, 03/08/2017, (ud. 29/05/2017, dep.03/08/2017),  n. 19429

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI PALMA Salvatore – Presidente –

Dott. DOGLIOTTI Massimo – Consigliere –

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Consigliere –

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 21532/2011 proposto da:

R.E. s.p.a., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via Montasio n. 67,

presso l’avvocato Consiglio Sergio, che la rappresenta e difende,

giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

R & R s.c.ar.l., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via Cassiodoro n.9,

presso l’avvocato Nuzzo Mario, che la rappresenta e difende

unitamente agli avvocati Gabrielli Giovanni, Padovini Fabio, giusta

procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 203/2011 della CORTE D’APPELLO di TRIESTE,

depositata il 21/04/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

29/05/2017 dal cons. FALABELLA MASSIMO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale

SORRENTINO FEDERICO, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito, per la controricorrente, l’Avvocato Nuzzo Mario che ha chiesto

il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – E.R. s.p.a. conveniva in giudizio avanti alla Corte di appello di Trieste R & R s.c.ar.l. proponendo impugnazione avverso il lodo reso in Trieste il 16 febbraio 2009 a definizione della controversia sorta tra le parti quanto al credito di Euro 176.642,75: credito avente ad oggetto il corrispettivo, preteso dall’attrice, del trasporto e smaltimento in discarica di materiale di scavo proveniente da un cantiere edile ubicato in Tarvisio con riguardo al quale era stato stipulato un contratto di appalto contenente clausola compromissoria per arbitrato rituale.

Resisteva all’impugnazione R & R.

La Corte di appello di Trieste, con sentenza pubblicata il 21 aprile 2011, rigettava il gravame. Per quanto qui rileva, il giudice distrettuale osservava che la decisione degli arbitri di non ammettere una produzione documentale, o comunque di non tenerne conto, non determinava alcuna lesione del contraddittorio; affermava, inoltre, che l’inosservanza delle forme prescritte dalle parti assumeva rilievo, a norma dell’art. 829 c.p.c., comma 2, ove non fosse eccepita dalla parte che vi aveva interesse nella prima istanza o difesa utile: ipotesi che nella fattispecie non ricorreva. La Corte triestina rilevava, altresì, che l’esame della violazione delle regole di diritto relative al merito della controversia era ammessa solo se espressamente disposta dalle parti o dalla legge, giusta l’art. 829 c.p.c., comma 3, e che nel caso in esame le parti si erano limitate a conferire agli arbitri il potere di definire la controversia secondo diritto, senza pattuire l’impugnabilità del lodo per violazione delle norme giuridiche.

2. – La sentenza è impugnata per cassazione dalla società E.R., che ha fatto valere due motivi di ricorso. Resiste con controricorso R & R.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo è denunciata omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio. L’istante si duole della violazione del principio del contraddittorio e sottolinea come anche a tenore del novellato art. 829 c.p.c. gli arbitri risultano essere vincolati al rispetto delle regole processuali cui soggiace il giudice ordinario. Assume che l’omesso esame delle bollette di carico recanti la sottoscrizione del responsabile di cantiere della società R & R aveva impedito agli arbitri prima e alla Corte di appello poi di apprezzare quel documento che doveva ritenersi decisivo per la definizione della controversia e “prodotto non già tardivamente ma a seguito di reiterate contestazioni sul valore dei formulari” di cui al D.Lgs. n. 22 del 1997. La prova documentale evidenziava, d’altro canto – ad avviso della ricorrente – come per fatti concludenti la controparte avesse subappaltato lo smaltimento in discarica dei rifiuti per cui è causa.

1.1. – Il secondo motivo censura la sentenza impugnata per violazione o falsa applicazione di norme di diritto. Rileva la ricorrente che la clausola compromissoria era stata sottoscritta ben prima del momento in cui era entrata in vigore la nuova disciplina in tema di arbitrato (introdotta col D.Lgs. n. 40 del 2006) e che essa istante non poteva essere danneggiata da disposizioni che, all’epoca, non era in grado di conoscere. Infatti – aggiunge – al momento della pattuizione della clausola arbitrale le parti erano tenute a specificare esclusivamente le modalità di decisione del collegio arbitrale, e ciò secondo i diversi criteri dell’equità e del diritto: in tal senso, la scelta del giudizio secondo diritto implicava che il collegio arbitrale fosse vincolato “alle norme processuali ed endoprocessuali” che regolano il giudizio ordinario. Osserva, inoltre, che avanti alla Corte di appello era stata censurata tanto la violazione del principio del contraddittorio che la violazione dell’art. 1661 c.c.: infatti, era stata ritenuta tardiva la produzione delle bollette recanti l’approvazione della committente e comprovanti l’accordo esistente tra le parti in ordine allo smaltimento dei rifiuti da portare in discarica, in spregio del principio affermato da questa S.C. per cui, ove le modifiche e aggiunte al progetto siano di tale natura e importanza da potersi considerare oggetto di un nuovo contratto di appalto, l’autorizzazione potrebbe essere desunta ed accertata con ogni mezzo di prova e anche per presunzioni.

2. – I due motivi si prestano a una trattazione congiunta per la loro connessione e non possono trovare accoglimento.

Le censure investono la sentenza impugnata su due distinti versanti, concernenti, rispettivamente, il mancato apprezzamento della violazione del principio del contraddittorio da parte degli arbitri e l’error juris in cui gli stessi sarebbero incorsi: si tratta, dunque, delle fattispecie oggi contemplate dall’art. 829 c.p.c., comma 1, n. 9, e comma 3.

Avendo riguardo al vizio processuale, la decisione impugnata si sottrae a censura. Essa sconta, anzitutto, un grave difetto di autosufficienza, in quanto la ricorrente non chiarisce, in modo esauriente, se la clausola arbitrale contenesse regole procedimentali specifiche, nè spiega gli esatti termini della violazione del principio del contraddittorio di cui si duole. Va comunque osservato che, ove non siano state fissate le regole procedimentali, gli arbitri possono regolare il procedimento nel modo ritenuto più opportuno purchè, come è espressamente stabilito dall’art. 816 c.p.c., sia rispettato il principio del contraddittorio e quindi consentito alle parti il dialettico svolgimento delle rispettive deduzioni e controdeduzioni, nonchè la collaborazione nell’accertamento dei fatti mediante il reperimento delle prove e la confutazione di quelle avversarie, cosi da contribuire al convincimento del giudice non solo nel momento iniziale del processo, ma anche nel corso del procedimento; il giudizio preventivo sull’ammissibilità e sulla rilevanza delle prove richieste deve essere del resto ispirato ad esigenze di razionalità e di economia processuale rientranti nella valutazione discrezionale del giudice (Cass. 21 settembre 2001, n. 11936, richiamata pure dalla sentenza impugnata), sicchè non è possibile identificare la violazione del principio del contraddittorio nel semplice dato della mancata ammissione della prova.

Peraltro, non risulta nemmeno impugnato il rilievo formulato dalla Corte di merito per cui l’ipotetica nullità derivante dalla mancata osservanza delle forme prescritte dalle parti (art. 829 c.p.c., comma 1, n. 7) non era stata eccepita nella prima istanza o difesa successiva (art. 829 c.p.c., comma 2).

Per quel che concerne, poi, l’errore di diritto disciplinato dall’art. 829 c.p.c., comma 3, è corretta la premessa da cui muove la ricorrente, mentre non è condivisibile lo svolgimento argomentativo che la medesima istante sviluppa muovendo da essa.

Le Sezioni Unite di questa Corte hanno rilevato, di recente, che l’art. 829 c.p.c., comma 3, come riformulato dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 24 si applica, ai sensi della disposizione transitoria di cui all’art. 27 D.Lgs. cit., a tutti i giudizi arbitrali promossi dopo l’entrata in vigore della novella: tuttavia, per stabilire se sia ammissibile l’impugnazione per violazione delle regole di diritto sul merito della controversia, la legge, cui l’art. 829 c.p.c., comma 3, rinvia, va identificata in quella vigente al momento della stipulazione della convenzione di arbitrato, sicchè, in caso di convenzione di diritto comune stipulata anteriormente all’entrata in vigore della nuova disciplina, nel silenzio delle parti deve intendersi ammissibile l’impugnazione del lodo, così disponendo l’art. 829 c.p.c., comma 2, nel testo previgente, salvo che le parti stesse avessero autorizzato gli arbitri a giudicare secondo equità o avessero dichiarato il lodo non impugnabile (Cass. Sez. U., 9 maggio 2016, n. 9284).

Prevedendo il contratto che gli arbitri dovessero pronunciare secondo diritto (sentenza impugnata, pag. 14), l’odierna ricorrente era dunque legittimata a far valere l’errore di diritto in cui i medesimi fossero incorsi. Va però osservato che la fattispecie,della violazione o falsa applicazione delle norme giuridiche va circoscritta entro i medesimi confini della violazione di legge opponibile con il ricorso per cassazione ex art. 360 c.p.c., n. 3 (Cass. 11 ottobre 2006, n. 21802). In conseguenza, esula da tale mezzo di censura la dedotta violazione del principio del contraddittorio (di cui ci si è occupati in precedenza).

Quanto alla dedotta violazione dell’art. 1661 c.c. – unica norma di diritto sostanziale di cui faccia menzione la ricorrente all’interno del motivo -, va osservato che la denuncia di nullità del lodo arbitrale postula, in quanto ancorata agli elementi accertati dagli arbitri, l’esplicita allegazione dell’erroneità del canone di diritto applicato rispetto a detti elementi, e non è, pertanto, proponibile in collegamento con la mera deduzione di lacune d’indagine e di motivazione, che potrebbero evidenziare l’inosservanza di legge solo all’esito del riscontro dell’omesso o inadeguato esame di circostanze di carattere decisivo (Cass. 12 settembre 2014, n. 19324; Cass. 8 giugno 1999, n. 5633). Ora, la ricorrente non si duole, propriamente, dell’erronea interpretazione della richiamata norma codicistica, quanto del fatto che gli arbitri abbiano ritenuto tardiva la produzione delle bollette atte a comprovare l’accordo asseritamente esistente tra le parti in ordine allo smaltimento dei rifiuti. Così facendo, però, essa orienta la censura verso temi che esulano dalla denunciata violazione o falsa applicazione dell’art. 1661 c.c.. Infatti, la questione del rilievo probatorio che possano assumere i nominati documenti ai fini di un presunto accordo sul trasporto dei rifiuti in discarica non inerisce di certo alla fattispecie dell’error juris, ma all’accertamento in fatto dell’accordo stesso. Nè può rilevare, in proposito, il vizio in cui sarebbe incorsa la Corte di Trieste nel ritenere tardiva la produzione documentale della società istante: vizio che, oltre a risultare del tutto carente di specificità (giacchè nemmeno sono esaurientemente spiegate le ragioni per le quali la produzione avrebbe dovuto essere considerata tempestiva), presenta natura processuale; sicchè torna ad essere spendibile quanto osservato dalla Corte di merito con riferimento all’applicabilità, nella fattispecie, della previsione di cui all’art. 829 c.p.c., comma 2.

3. – In conclusione, il ricorso è rigettato.

4. – Le spese di giudizio sono regolate dal principio di soccombenza.

PQM

 

LA CORTE

rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese processuali, liquidate in Euro 4.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre oneri accessori e rimborso delle spese generali in ragione del 15%.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 29 maggio 2017.

Depositato in Cancelleria il 3 agosto 2017

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