Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19427 del 22/08/2013


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Civile Sent. Sez. L Num. 19427 Anno 2013
Presidente: VIDIRI GUIDO
Relatore: DE RENZIS ALESSANDRO

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SENTENZA
sul ricorso R.G. n. 29149/2008 proposto
DA
VIOLANTE ANTONIO, elettivamente domiciliata in Roma,
Via Reno n. 21, presso lo studio dell’Avv. Roberto Rizzo,
che lo rappresenta e difende come da procura a margine
del ricorso
Ricorrente
CONTRO
POSTE ITALIANE S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore Avv. Andrea Sandulli, elettivamente domiciliata in Roma, Viale Europa n. 190, presso l’Area Lega-

Data pubblicazione: 22/08/2013

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le Territoriale Centro Poste Italiane della società, assistita
e difesa, congiuntamente e disgiuntamente, dagli Avv.ti
Rossana Clavelli ed Angelo Verdiglione per procura per atto notaio Antonio loli rep. n. 27136 del 23.10.2008

per la cassazione della sentenza n. 3389/06 della Corte di
Appello di Roma del 20.04.2006/29.11.2007 (R.G. n. 7553
dell’anno 2002 e n. 4460 dell’anno 2003).
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza
del 3.07.2013 dal Cons. Dott. Alessandro De Renzis;
udito l’Avv. Rossana Clavelli per la controricorrente;
sentito il P.M., in persona del Sost. Proc. Gen. Dott. Ennio
Atilio Sepe, che ha concluso per il rigetto del ricorso..

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
I. Con ricorso, notificato il 17.09.1999,

ANTONIO

VIOLANTE, dipendente dell’Ente Poste Italiane, esponeva:
-di essere stata assunto in data 21.012.1970 con la qualifica di operatore specializzato di esercizio (ex IV cat.);
-di avere svolto dal 1994 al 20.04.1996 mansioni riconducibili nella V categoria , mansioni svolte anche dopo la privatizzazione dell’Ente Poste Italiane;
– che in base al CCNL del 1995 erano state individuate
quattro grandi aree funzionali a partire dal 16.02.1995;
-di avere diritto ad essere inquadrato nell’Area Operativa,
ma che con l’Accordo integrativo del 24.05.1995 il persona-

Controricorrente

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le appartenente alla ex IV, V e VI categoria veniva ripartito tra le aree di base e quella operativa;
-che in particolare era stato stabilito che l’inquadramento
nell’area operativa soltanto di coloro che fossero idonei a

denza era stato esentato dai servizi esterni, era stato collocato nell’area di base.
Ciò premesso, deduceva la nullità di detto accordo integrativo per violazione dell’art. 2113 Cod. Civ. e chiedeva il riconoscimento del suo diritto all’inquadramento nell’Area
operativa, con condanna delle Poste al risarcimento del
danno da demansionamento
Costituitosi l’ente con contestazione dell’assunto della ricorrente, il Tribunale di Roma con sentenza del 6,05.2002
riconosceva 414 diritto del Violante all’inquadramento
nell’area operativa dal 26.02.1995, ma rigettava la domanda risarcitoria da demansionamento.
Il. Tale decisione è stata riformata dalla Corte di Appello di
Roma con sentenza n. 3389 del 2006, che ha accolto
l’appello delle Poste rigettando la domanda del Violante in
ordine all’inquadramento nell’area operativa e conseguentemente ha disatteso l’appello del Violante riguardante la
richiesta del danno da demansionamento.
La Corte territoriale, affermata la legittimità della clausola
dell’accordo integrativo citato, in quanto non contrastante

tutte le mansioni e pertanto esso ricorrente, che in prece-

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con l’art. 2113 Cod. Civ., perché regolante fattispecie diversa dallo “ius variandi” ma individuante un requisito per il
primo inquadramento nell’area operativa, ha ritenuto che il
Violante non fosse idoneo allo svolgimento di tutte le man-

mento delle Poste e conseguentemente infondata la richiesta del Violante del danno da demansionamento.
III. Il Violante ricorre contro la sentenza di appello con tre
motivi
Le Poste Italiane resistono con controricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo il Violante lamenta violazione e falsa
applicazione dell’art. 2103 Cod. Civ. nella parte in cui la
Corte di Appello non ha sancito la nullità parziale
dell’Accordo Integrativo del 23/24 maggio 1995, diffuso con
circolare n. 25/1995 dell’Area del Personale dell’Ente Poste nella parte in cui stabilisce, da un lato, che il personale
della IV Categoria confluisca nell’Area Operativa e,
dall’altro lato, che lo stesso personale della medesima IV
Categoria, non idoneo allo svolgimento di tutte le mansioni
previste per l’Area Operativa, confluisca invece nella inferiore Area Base.
In tal senso Il motivo è illustrato da quesito di diritto, rivolto a questo giudice di legittimità sotto forma di domanda
(cfr pag. 29 del ricorso).

sioni di tale area operativa. Legittimo quindi il comporta-

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Il motivo è inammissibile, non rispondendo il quesito ai requisiti previsti dall’art, 366 bis CPC sia perché posto in
forma interrogativa sia perché non riassume tutte le questioni di fatto e di diritto argomentate nel medesimo motivo.

si ritiene di condividere, la funzione propria del quesito di
diritto è di far comprendere al giudice di legittimità, dalla
sua sola lettura, quale sia l’errore di diritto asseritamente
compiuto dal giudice di merito e quale sia la regula iuris in
concreto applicabile, con la conseguenza che la mancanza
anche di una sola delle due condizioni rende il motivo inammissibile. Deve altresì ritenersi inammissibile il motivo
di diritto che si limiti a chiedere a questa Corte puramente
e semplicemente se vi sia stata o meno la violazione di un
determinata disposizione di legge, posto che la norma impone al ricorrente di indicare nel quesito l’errore di diritto
della sentenza impugnata in relazione alla concreta fattispecie (cfr Cass. n. 714 del 2011; Cass. n. 8643 del 2009;
Cass. SU n. 7433 del 2009).
2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia vizio di motivazione su un fatto controverso tra le parti (art. 360 n. 5
C.P.C.), rappresentato dallo svolgimento ad opera del Violante di mansioni riconducibili alla superiore Area Operativa in data successiva all’inquadramento nella inferiore Area di Base per un periodo superiore a tre mesi.

Invero secondo consolidato indirizzo giurisprudenziale, che

Il motivo è inammissibile, in quanto risulta mancante il relativo quesito di diritto ex art. 366 bis CPC.
Tale norma impone, per i casi previsti dall’art. 360 n. 1, 2,
3 e 4 C.P.C., l’illustrazione di ciascun motivo con la formu-

mentre in relazione all’art. 360 n. 5 C.P.C., l’illustrazione
del motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la
chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione.
Nel caso di specie il ricorso non presenta formulazione di
un appropriato ed adeguato quesito di diritto, tale da consentire di individuare lo specifico contenuto
dell’impugnazione e il profilo logico- giuridico risolutivo della questione introdotta, né censura in modo specifico e
chiaro il ragionamento attraverso il quale il giudice del gravame è giunto alla dichiarazione di rigetto dello stesso ricorso.
Al riguardo si richiama recente indirizzo di questa Corte (in
particolare Sezioni Unite sentenza n. 7258 del 26 marzo
2007, seguita da successiva giurisprudenza), secondo cui
l’art. 366 bis C.P.C. non può essere interpretato nel senso
che il quesito del diritto (e simmetricamente la formulazione del fatto controverso nel caso previsto dall’art. 360 n. 5

lazione, a pena di inammissibilità, di un quesito di diritto,

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C.P.C.) possa desumersi implicitamente dalla formulazione
del motivo del ricorso, perché tale interpretazione si risolverebbe nell’abrogazione tacita della norma, che, come già
evidenziato, ha introdotto, a pena di inammissibilità, il ri-

splicita.
Il motivo è anche infondato, giacché il ricorrente, nel lamentare la violazione dell’art. 2103 Cod. Civ. e quindi il
demasionamento, non fa alcun riferimento alle condizioni di
salute che hanno determinato il mancato passaggio all’area
operativa né indica le mansioni di fatto da lui esercitate per
attestare e giudicare sulla sua eventuale perdita della professionalità.
3. Con il terzo motivo il Violante deduce violazione dell’art.
2103 Cod. Civ. nella parte in cui il giudice di appello ha ritenuto che dal rigetto della domanda, avente ad oggetto il
riconoscimento del diritto all’inquadramento nella qualifica
superiore rivendicata, dovesse necessariamente seguire il
rigetto della domanda, avente ad oggetto il riconoscimento
del demansionamento subito e del diritto al risarcimento
del danno relativo; e quindi nella parte in cui ha ritenuto
che la circostanza della riconducibilità delle diverse mansioni svolte dal ricorrente alla declaratoria della medesima
Ara di Base impedisse il riconoscimento del demansionamento e del risarcimento del danno

spetto di un requisito formale, da formularsi in maniera e-

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Il motivo è inammissibile, perché il quesito di diritto come
formulato (cfr pag. 42 del ricorso) non risponde ai requisiti
prescritti dall’art. 366 bis CPC, così come precisati dalla
giurisprudenza citata in precedenza.

correttamente dedotto dal legittimo comportamento tenuto
dalle Poste Italiane la conseguenza logica della mancanza
dei presupposti del demansionamento e del rivendicato risarcimento del danno.
Né merita di essere condivisa la censura, relativa al profilo
della riconducibilità in astratto delle mansioni svolte dal ricorrente nei diversi periodi al medesimo livello di categoria
e che di per sé non avrebbe escluso comunque la dequalificazione, in quanto contiene una doglianza generica senza
il richiamo a concreti e specifici elementi comprovanti il
demansionamento e il relativo danno.
4. In conclusione il ricorso è destituito di fondamento e va
rigettato.
Le spese del giudizio di cassazione seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo
PQM
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese, che liquida in € 50,00 per esborsi ed € 2500,00 per
compensi, oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma addì 3 luglio 2013
(LEL, i`S

Il motivo è anche infondato, giacché la Corte territoriale ha

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