Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19427 del 18/07/2019
Cassazione civile sez. VI, 18/07/2019, (ud. 26/03/2019, dep. 18/07/2019), n.19427
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE T
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GRECO Antonio – Presidente –
Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Consigliere –
Dott. LUCIOTTI Lucio – rel. Consigliere –
Dott. CASTORINA Rosaria Maria – Consigliere –
Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 197-2018 R.G. proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE, C.E. 06363391001, in persona del Direttore pro
tempore, rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, presso la quale è domiciliata in Roma, alla via dei
Portoghesi n. 12;
– ricorrente –
contro
B.L.S., quale legale rappresentante della
VERRI GROUP s.r.l., in liquidazione;
– intimato –
avverso la sentenza n. 2190/19/2017 della Commissione tributaria
regionale della LOMBARDIA, depositata il 18/05/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non
partecipata del 26/03/2019 dal Consigliere Dott. LUCIOTTI Lucio.
Fatto
RILEVATO
che:
– in controversia relativa ad impugnazione del silenzio-rifiuto serbato dall’amministrazione finanziaria sulla richiesta di rimborso di un credito IVA maturato dal contribuente nell’anno 2008, indicato nella dichiarazione reddituale presentata nell’anno 2009 ma in relazione al quale non risultava compilato il modello VR, l’Agenzia delle entrate ricorre per cassazione, sulla base di tre motivi, cui non replica l’intimato, avverso la sentenza in epigrafe indicata con cui la CTR aveva dichiarato inammissibile l’appello agenziale, per difetto di specificità dei motivi di impugnazione, ritenendolo comunque infondato;
– sulla relazione prevista dall’art. 380 bis c.p.c. risulta regolarmente
costituito il contraddittorio camerale.
Diritto
CONSIDERATO
che:
– con il primo motivo di ricorso la difesa erariale deduce la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, sostenendo che la CTR aveva erroneamente ritenuto il ricorso in appello proposto avverso la sfavorevole sentenza di primo grado carente del requisito di specificità dei motivi;
– così delineato il quadro giurisprudenziale di riferimento, deve osservarsi che nella fattispecie i giudici di merito non si sono attenuti ai suddetti principi giurisprudenziali, perchè dal contenuto dell’atto d’appello, riprodotto nel ricorso in esame, così da soddisfare l’onere di autosufficienza imposto dall’art. 366 c.p.c., si evince che l’appellante ha mosso alla statuizione di primo grado (pure riprodotta nel ricorso nella sua parte motivazionale) una serie di specifiche censure (sulla sussistenza del credito e sulla spettanza del rimborso, nonchè sulla condanna alle spese processuali) che, a prescindere dalla loro fondatezza, anche ove fossero state ripetitive delle argomentazioni svolte nelle controdeduzioni di primo grado, erano comunque idonee a censurare le argomentazioni svolte dai primi giudici; e ciò avrebbero dovuto indurre la CTR a ritenere sussistente il requisito di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53 e procedere all’esame nel merito di quei motivi e pronunciare sugli stessi; attività dalla quale, invece, si sono sottratti anche con riferimento al motivo di impugnazione della condanna alla spese processuali di primo grado, che era di certo specifico;
– il secondo motivo di ricorso, con cui la difesa erariale deduce la nullità della sentenza impugnata per avere considerato nuova l’eccezione sollevata dall’Agenzia delle entrate in ordine alla prova del credito (in realtà proposta già in primo grado, come si evince dalla riproduzione in parte qua nel ricorso – in ossequio al principio di autosufficienza – delle controdeduzioni dell’Ufficio in primo grado) ed il terzo motivo, con cui la difesa erariale deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 30, per avere i giudici d’appello invertito l’onere probatorio, sono inammissibili (cfr., Cass., Sez. U, sent. n. 3840 del 20/02/2007 – Rv. 595555-01, secondo cui “Qualora il giudice, dopo una statuizione di inammissibilità (o declinatoria di giurisdizione o di competenza), con la quale si è spogliato della “potestas iudicandi” in relazione al merito della controversia, abbia impropriamente inserito nella sentenza argomentazioni sul merito, la parte soccombente non ha l’onere nè l’interesse ad impugnare; conseguentemente è ammissibile l’impugnazione che si rivolga alla sola statuizione pregiudiziale ed è viceversa inammissibile, per difetto di interesse, l’impugnazione nella parte in cui pretenda un sindacato anche in ordine alla motivazione sul merito, svolta “ad abundantiam” nella sentenza gravata”);
– conclusivamente, quindi, va accolto il primo motivo di ricorso, assorbiti il secondo e terzo, e la sentenza impugnata va cassata in relazione al motivo accolto con rinvio alla competente CTR per nuovo esame e per la regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
accoglie il primo motivo di ricorso principale, assorbiti il secondo e terzo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 26 marzo 2019.
Depositato in Cancelleria il 18 luglio 2019