Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19426 del 22/08/2013


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Civile Sent. Sez. L Num. 19426 Anno 2013
Presidente: LAMORGESE ANTONIO
Relatore: DI CERBO VINCENZO

SENTENZA

sul ricorso 21667-2008 proposto da:
in persona del

POSTE ITALIANE S.P.A. 97103880585,
legale rappresentante pro tempore,

elettivamente

domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso lo
studio

dell’avvocato

FIORILLO

che

LUIGI,

la

rappresenta e difende giusta delega in atti;
– ricorrente –

2013
2197


4

h. be c51rt:9
GIANTOMASI GIULIA, Tb ettivamente domiciliata in ROMA,

VIA TORINO 41,
D’ALESSIO

presso lo studio dell’avvocato

FRANCESCA,

rappresentata

e

difesa

Data pubblicazione: 22/08/2013

dall’avvocato DANIELE RAFFAELE, giusta delega in atti;
– controricorrente

avverso la sentenza n. 5250/2007 della CORTE D’APPELLO
di NAPOLI, depositata il 13/09/2007 r.g.n. 10285/2004;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica

DI CERBO;
udito l’Avvocato BONFRATE FRANCESCA per delega verbale
FIORILLO LUIGI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. MARIO FRESA, che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

udienza del 19/06/2013 dal Consigliere Dott. VINCENZO

21667.08

Udienza 19 giugno 2013

Pres. A. Lamorgese
Rei. V. Di Cerbo

SENTENZA

Rilevato che
1.

La Corte d’appello di Napoli, in riforma della sentenza di prime cure, ha dichiarato
l’illegittimità del termine apposto al contratto di lavoro — protrattosi dal 1 marzo 2000
al 31 maggio 2000 – stipulato da Poste Italiane s.p.a. con Giulia Giantomasi.

2.

Per la cassazione di tale sentenza Poste Italiane s.p.a. ha proposto ricorso; la lavoratrice
ha resistito con controricorso.

3.

Il Collegio ha disposto che sia adottata una motivazione semplificata.

4.

Deve preliminarmente osservarsi che la Corte di merito ha attribuito rilievo decisivo ai
fini della statuizione sull’illegittimità del termine alla considerazione che il contratto in
esame è stato stipulato, per esigenze eccezionali … – ai sensi dell’art. 8 del c.c.n.l. 26
novembre 1994, come integrato dall’accordo aziendale 25 settembre 1997 – in data
successiva al 30 aprile 1998.

5.

La società ricorrente censura tale statuizione col primo e secondo motivo di ricorso che,
in quanto logicamente connessi, devono essere esaminati congiuntamente. Tali motivi,
con i quali si denuncia, in particolare, violazione e falsa applicazione dell’art. 23 della
legge n. 56 del 1987 e degli artt.1362 e segg. cod. civ. in relazione all’art. 8 del c.c.n.l. 26
novembre 1994 e di altre norme collettive, nonché vizio di motivazione, sono infondati
e devono essere pertanto rigettati.

6.

Ed infatti, sulla scia di Cass. S.U. 2 marzo 2006 n. 4588, è stato precisato che
l’attribuzione alla contrattazione collettiva, ex art. 23 della legge n. 56 del 1987, del

potere di definire nuovi casi di assunzione a termine rispetto a quelli previsti dalla legge
n. 230 del 1962, discende dall’intento del legislatore di considerare l’esame congiunto
delle parti sociali sulle necessità del mercato del lavoro idonea garanzia per i lavoratori
ed efficace salvaguardia per i loro diritti (con l’unico limite della predeterminazione
della percentuale di lavoratori da assumere a termine rispetto a quelli impiegati a
tempo indeterminato) e prescinde, pertanto, dalla necessità di individuare ipotesi
specifiche di collegamento fra contratti ed esigenze aziendali o di riferirsi a condizioni
oggettive di lavoro o soggettive dei lavoratori ovvero di fissare contrattualmente limiti
temporali all’autorizzazione data al datore di lavoro di procedere ad assunzioni a tempo
determinato (cfr. Cass. 4 agosto 2008 n. 21063; cfr. altresì Cass. 20 aprile 2006 n. 9245,
Cass. 7 marzo 2005 n. 4862, Cass. 26 luglio 2004 n. 14011). Ne risulta, quindi, una sorta
3

La Corte

7.

Con riferimento al profilo relativo alle conseguenze economiche della dichiarazione di
nullità della clausola appositiva del termine, si pone il problema dell’applicabilità al caso
0
di specie dello ius superveniens, rappresentato dall’art. 32, commi 5 , 6° e 7° della legge
4 novembre 2010 n. 183, in vigore dal 24 novembre 2010.

8.

In proposito deve premettersi, in via di principio, che costituisce condizione necessaria
per poter applicare nel giudizio di legittimità lo ius superveniens che abbia introdotto,
con efficacia retroattiva, una nuova disciplina del rapporto controverso, il fatto che
quest’ultima sia in qualche modo pertinente rispetto alle questioni oggetto di censura
nel ricorso, in ragione della natura del controllo di legittimità, il cui perimetro è limitato
dagli specifici motivi di ricorso (cfr. Cass. 8 maggio 2006 n. 10547, Cass. 27 febbraio
2004 n. 4070); in tale contesto, è altresì necessario che il motivo di ricorso che investe,
anche indirettamente, il tema coinvolto dalla disciplina sopravvenuta, oltre ad essere
sussistente, sia altresì ammissibile secondo la disciplina sua propria; ne consegue che,
con riferimento alla disciplina qui invocata, la necessaria sussistenza della questione ad
essa pertinente nel giudizio di cassazione presuppone che i motivi di ricorso investano
specificatamente le conseguenze patrimoniali dell’accertata nullità del termine e che
essi siano ammissibili; in particolare, ove, come nel caso in esame, il ricorso sia stato
proposto avverso una sentenza depositata successivamente alla data di entrata in
vigore del d.lgs. 2 febbraio 2006 n. 40 e prima del 4 luglio 2009 (data di entrata in
vigore della legge n. 69 del 2009), tali motivi devono essere altresì corredati, a pena di
inammissibilità degli stessi, dalla formulazione di un adeguato quesito di diritto, ai
sensi dell’art. 366-bis cod. proc. civ., ratione temporis ad essi applicabile; in caso di
assenza o di inammissibilità di una censura in ordine alle conseguenze economiche
4

di “delega in bianco” a favore dei contratti collettivi e dei sindacati che ne sono
destinatari, non essendo questi vincolati all’individuazione di ipotesi comunque
omologhe a quelle previste dalla legge, ma dovendo operare sul medesimo piano della
disciplina generale in materia ed inserendosi nel sistema da questa delineato (cfr., fra le
altre, Cass. 4 agosto 2008 n. 21062, Cass. 23 agosto 2006 n. 18378); in tale quadro, ove
però, come nel caso di specie, un limite temporale sia stato previsto dalle parti collettive
(anche con accordi integrativi del contratto collettivo) la sua inosservanza determina la
nullità della clausola di apposizione del termine (v. fra le altre Cass. 23 agosto 2006 n.
18383, Cass. 14 aprile 2005 n. 7745, Cass. 14 febbraio 2004 n. 2866); in particolare,
quindi, come questa Corte ha univocamente affermato e come va anche qui ribadito, in
materia di assunzioni a termine di dipendenti postali, con l’accordo sindacale del 25
settembre 1997, integrativo dell’art. 8 del c.c.n.l. 26 novembre 1994, e con il successivo
accordo attuativo, sottoscritto in data 16 gennaio 1998, le parti hanno convenuto di
riconoscere la sussistenza della situazione straordinaria, relativa alla trasformazione
giuridica dell’ente ed alla conseguente ristrutturazione aziendale e rimodulazione degli
assetti occupazionali in corso di attuazione, fino alla data del 30 aprile 1998; ne
consegue che deve escludersi la legittimità delle assunzioni a termine cadute dopo il 30
aprile 1998, per carenza del presupposto normativo derogatorio, con l’ulteriore
conseguenza della trasformazione degli stessi contratti in contratti a tempo
indeterminato, in forza dell’art. 1 della legge 18 aprile 1962 n. 230 (v., fra le altre, Cass.
1 ottobre 2007 n. 20608; Cass. 28 novembre 2008 n. 28450; Cass. 4 agosto 2008 n.
21062; Cass. 27 marzo 2008 n. 7979, Cass. 18378/2006 cit.). La sentenza impugnata ha
fatto corretta applicazione dei suddetti principi.

dell’accertata nullità del termine, il rigetto dei motivi inerenti tale aspetto pregiudiziale
produce infatti la stabilità delle statuizioni di merito relative a tali conseguenze.
Nel caso in esame il terzo motivo investe il tema al quale si riferisce la disciplina di cui
all’art. 32 prima citato in quanto censura la statuizione della sentenza impugnata con la
quale Poste Italiane s.p.a. è stata condannata al risarcimento del danno commisurato
alle retribuzioni maturate dalla data di messa in mora.

10. Con tale motivo, con il quale è stata denunciata violazione e falsa applicazione degli
artt. 1217 e 1233 cod. civ., parte ricorrente lamenta, in particolare, la violazione dei
principi in tema di mora accipiendi e l’omessa valutazione dell’aliunde perceptum anche
con riferimento all’onere della prova. Il motivo si conclude con il seguente quesito di
diritto ex art. 366 bis cod. proc. civ.:
per il principio della corrispettività della

prestazione, il lavoratore — a seguito dell’accertamento giudiziale dell’illegittimità del
contratto a termine stipulato — ha diritto al pagamento delle retribuzioni soltanto dalla
data di riammissione in servizio, salvo che abbia costituito in mora il datore di lavoro,
offrendo espressamente la prestazione lavorativa nel rispetto della disciplina di cui agli
artt. 1206 e segg. cod. civ.
11. Osserva il Collegio che il suddetto quesito risulta del tutto generico e sostanzialmente
non pertinente rispetto alla fattispecie, in quanto si risolve nella enunciazione in
astratto delle regole vigenti nella materia senza enucleare il momento di conflitto
rispetto ad esse del concreto accertamento operato dai giudici di merito (cfr. Cass. 4
gennaio 2011 n. 80; Cass. 29 aprile 2011 n. 9583); ciò in contrasto con i principi
enunciati da questa Corte di legittimità (cfr., in particolare, Cass. S.U. 5 gennaio 2007 n.
36) secondo cui il quesito di diritto, richiesto a pena di inammissibilità del relativo
motivo, deve essere formulato in maniera specifica e deve essere chiaramente riferibile
alla fattispecie dedotta in giudizio, dovendosi ritenere inesistente un quesito generico e
non pertinente, con conseguente inammissibilità del relativo motivo, come nel caso di
specie (per una analoga fattispecie cfr. Cass. 1 settembre 2011 n. 17674).
12. Il ricorso va pertanto respinto.
13. Al rigetto del ricorso, consegue, per il principio della soccombenza, che le spese del
presente giudizio vengano poste a carico di parte ricorrente nella misura, liquidata in
dispositivo, che tiene conto delle disposizioni di cui al d.m. 20 luglio 2012 n. 140
(entrato in vigore il 23 agosto 2012) emanato ai sensi dell’art. 9 del d.l. n. 1 del 2012
convertito in legge n. 27 del 2012.

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di
cassazione, liquidate in Euro 50,00 per esborsi oltre Euro 3500 (tremilacinquecento) per
compensi professionali e oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 19 giugno 2013.

9.

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA