Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19426 del 03/08/2017


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Cassazione civile, sez. I, 03/08/2017, (ud. 04/04/2017, dep.03/08/2017),  n. 19426

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TIRELLI Francesco – Presidente –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. – Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. MUCCI Roberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso n. 13383/2013 proposto da:

Consorzio di Bonifica Tirreno Catanzarese, subentrato quale

successore universale nei rapporti giuridici del Consorzio di

Bonifica della Piana di S. Eufemia, in persona legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliato in Roma, Via Sannio n. 65,

presso l’avvocato Torchia Luisa, che lo rappresenta e difende,

unitamente all’avvocato Torchia Anselmo, giusta procura in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

Fallimento (OMISSIS) in persona del curatore avv. C.V.,

elettivamente domiciliato in Roma, Via Cola di Rienzo n. 212, presso

l’avvocato Brasca Francesco, rappresentato e difeso dall’avvocato De

Seta Benedetto giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 498/2012 della Corte di appello di Catanzaro,

depositata il 3/5/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

4/4/2017 dal cons. MUCCI ROBERTO;

udito il P.M., in persona del sostituto procuratore generale

SORRENTINO FEDERICO, che ha concluso per l’accoglimento del terzo

motivo e per il rigetto nel resto;

udito, per la controricorrente, l’avvocato BRASCA LEONARDO, per

delega orale, che si è riportato al controricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Su istanza della (OMISSIS) s.r.l., con decreto del 23 dicembre 1991 veniva ingiunto al Consorzio di Bonifica della Piana di S. Eufemia (poi Consorzio di Bonifica Tirreno Catanzarese) il pagamento della complessiva somma di Lire 959.051.556 – di cui Lire 217.447.270 per sorte capitale (ammontare costituito da Lire 55.359.800 a titolo di saldo per i lavori eseguiti e da Lire 162.087.470 a titolo di revisione prezzi) e Lire 741.604.286 per interessi legali (dal 20 novembre 1981 al 24 febbraio 1982 ai sensi dell’art. 20 del capitolato speciale) e moratori (dal 25 febbraio 1982 ai sensi del D.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063, artt. 35 e 36), oltre IVA e spese della procedura – per i lavori del cantiere idraulico di cui all’aggiudicazione per asta pubblica del 14 luglio 1976, ultimati dalla (OMISSIS) il 28 luglio 1980 e mai pagati dal committente Consorzio.

Il Consorzio proponeva opposizione con atto del 14 gennaio 1992 sostenendo: a) che il saldo lavori di Lire 55.359.800, pur riportato nella contabilità finale dei lavori, non era stato pagato poichè sottoposto a procedure esecutive che ne avevano impedito il pagamento senza colpa della committente; b) che la revisione prezzi di Lire 162.087.470 non era dovuta poichè mai approvata dal Consorzio e mai richiesta dall’appaltatrice; c) che gli interessi non erano dovuti poichè non era maturato il debito principale e non era pervenuto atto di costituzione in mora, ed inoltre erano stati calcolati in violazione della disciplina sull’anatocismo; d) che l’IVA non era stata richiesta con il monitorio. Costituitasi la (OMISSIS) (fallita nelle more del giudizio), il Tribunale di Catanzaro rigettava l’opposizione confermando il decreto ingiuntivo e condannando il Consorzio a pagare “in considerazione dei versamenti effettuati in corso di giudizio, la differenza per sorte capitale, oltre interessi moratori calcolati sul capitale fino all’effettivo pagamento in ragione delle somme già corrisposte e sulla differenza del capitale sino all’effettivo soddisfo”, oltre spese del giudizio.

Interponeva appello il Consorzio sostenuto da cinque motivi: denunciata la mancata revoca del decreto ingiuntivo nonostante i pagamenti effettuati in corso di causa per complessive Lire 212.761.549 e ritenuta, al più, dovuta alla appaltatrice la residua sorte capitale di Lire 1.380.251 (tenuto conto dei pagamenti effettuati e della rettifica del saldo revisionale operata dall’Agensud con atto del 13 febbraio 1992, saldo revisionale determinato nella minor somma di Lire 158.782.000), sulla quale calcolare gli interessi legali a decorrere da un dies a quo successivo alla sottoscrizione del certificato di regolare esecuzione dei lavori (22 aprile 1991), il Consorzio si doleva del riconoscimento degli interessi, a suo dire non dovuti, eccepiva l’applicazione dell’anatocismo, deduceva il vizio di ultrapetizione quanto alla liquidazione d’ufficio dell’IVA e il mancato accoglimento dell’eccezione di prescrizione dei crediti pretesi per sorte capitale. Costituitasi la curatela, la Corte di appello di Catanzaro, con sentenza n. 498/2012, in parziale accoglimento del gravame revocava il decreto ingiuntivo confermando la condanna del Consorzio.

La Corte di appello, premessa l’opponibilità alla curatela dei pagamenti effettuati dal Consorzio al creditore in bonis in corso di causa, in quanto anteriori alla sentenza dichiarativa di fallimento, riteneva dovuti gli importi richiesti a titolo di rata di saldo e revisione prezzi, derivando essi da espresso riconoscimento del Consorzio: la rata di saldo, oltre IVA e revisione prezzi, attestata nel certificato di regolare esecuzione dei lavori; la revisione prezzi finale, poichè determinata alla stregua della citata comunicazione dell’Agensud. Circa gli interessi sulla rata di saldo e sul saldo revisione prezzi, la Corte riteneva applicabile la disciplina del D.P.R. n. 1063 del 1962, artt. 35 e 36 ai sensi della L. 21 dicembre 1974, n. 700, con decorrenza dal 121^ giorno successivo al 28 luglio 1981, ritenuto il colpevole ritardo della stazione appaltante, interessi riguardanti anche il danno ulteriore nel pagamento dei medesimi interessi, non vigendo al riguardo l’onere della riserva. Infine, quanto all’IVA, la Corte riteneva insussistente il vizio di ultrapetizione, atteso che era stata chiesta in monitorio, riconosciuta dalla stazione appaltante e comunque dovuta per legge. La Corte confermava pertanto la statuizione di condanna con la precisazione che la sorte capitale era pari a Lire 55.359.800 oltre IVA a titolo di saldo lavori e di Lire 158.782.000 oltre IVA per il saldo revisione prezzi e che gli interessi D.P.R. n. 1063 del 1962, ex artt. 35 e 36 decorrevano dal 121^ giorno successivo al 28 luglio 1981 fino al primo pagamento effettuato dal Consorzio, da imputarsi prima ad interessi e poi a capitale, e così nuovamente sull’importo risultante sino al secondo pagamento e sull’importo come rideterminato nuovamente alla data del terzo pagamento e sulla somma così risultante fino al soddisfo.

Avverso detta pronuncia propone ricorso per cassazione il Consorzio di Bonifica Tirreno Catanzarese, affidato a quattro motivi, cui replica la curatela del fallimento (OMISSIS) con controricorso; il Consorzio ha anche depositato memoria ex art. 378 c.p.c.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso si deduce violazione dell’art. 2909 c.c., artt. 324 e 100 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3): sostiene il Consorzio che la sentenza di appello, statuendo l’imputazione delle somme pagate dal Consorzio nel corso del giudizio innanzi al Tribunale prima agli interessi e poi al capitale, avrebbe modificato in peius la pronuncia di primo grado in carenza di appello incidentale della curatela sul punto.

Il motivo è inammissibile, difettandone il requisito dell’autosufficienza.

Deve al riguardo premettersi che in sede di opposizione al decreto ingiuntivo il Consorzio ha contestato la sussistenza del titolo agli interessi ingiunti “sia perchè non maturato il debito principale (…), sia perchè non risultava pervenuto alcun formale atto di messa in mora da parte dell’appaltatore, sia ancora perchè la somma era stata ottenuta mediante la capitalizzazione annua degli interessi in violazione del contratto e della legge (art. 1283 c.c. sul divieto di anatocismo)” (p. 3 del ricorso, sub 3.c; p. 4 della sentenza impugnata); solo in sede di gravame, con il quarto motivo, il Consorzio ha lamentato l’erroneità del calcolo degli interessi, tornando inoltre ad eccepire l’anatocismo (p. 8 del ricorso; p. 7 della sentenza). Orbene, posto in generale che la Corte di appello ha fatto corretto governo dei principi (cfr. Sez. 1, 20 maggio 2005, n. 10692; Sez. 3, 30 novembre 2010, n. 24267, entrambe richiamate nella sentenza impugnata) in tema di criteri legali di imputazione ex art. 1194 c.c. dei pagamenti parziali nei contratti di appalto (criteri che costituiscono conseguenza automatica di ogni pagamento) e di inerenza degli interessi spettanti all’appaltatore, a norma del D.P.R. n. 1063 del 1962, artt. 35 e 36 sia al ritardo nel pagamento del corrispettivo, sia anche al danno ulteriore per il ritardo nel pagamento dei medesimi interessi (estendendosi la previsione del citato art. 35, comma 3 anche all’obbligazione accessoria, quale è quella di pagare gli interessi, con l’effetto di comprendere in essa il ritardo nel pagamento degli interessi medesimi), il mezzo in esame non soddisfa il requisito imposto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3), atteso che, per come formulato, esso non risulta conforme agli indefettibili canoni di specificità, completezza e chiarezza, non consentendosi a questa Corte di operare – nei limiti del giudizio di legittimità, senza necessità di accedere ad altre fonti ed atti del processo – una valutazione diversa da quella, asseritamente erronea, compiuta dal giudice di merito, in difetto di una ricostruzione dei fatti dimostrativa dell’assunto secondo cui la statuizione della Corte di appello si risolverebbe in una non consentita riforma in peius della sentenza di primo grado (Sez. 6-3, 3 febbraio 2015, n. 1926; Sez. 2, 4 aprile 2006, n. 7825).

Con il secondo motivo si deduce l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio e discusso tra le parti, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5): sostiene il Consorzio che il ritardo nel perfezionamento del certificato di regolare esecuzione dei lavori sarebbe imputabile all’impresa appaltatrice, come provato dal contenuto del certificato medesimo, sicchè non sarebbero dovuti gli interessi D.P.R. n. 1063 del 1962, ex artt. 35 e 36; inoltre, gli interessi sul saldo della revisione prezzi giammai potrebbero decorrere da data anteriore al provvedimento dell’Agensud del 13 febbraio 1992 che ne ha determinato l’esatto ammontare, dal momento che si trattava di credito non esigibile.

Il motivo è inammissibile mirando esso, all’evidenza, ad una non consentita rivalutazione, nella presente sede di legittimità, dell’apprezzamento del giudice di merito circa l’imputabilità alla stazione appaltante del ritardo del collaudo dei lavori, in modo difforme da quanto auspicato dal ricorrente (tra le tante, Sez. 5, 28 novembre 2014, n. 25332; Sez. 1, 30 marzo 2007, n. 7972); per altro verso, con riferimento al citato provvedimento dell’Agensud, anche il motivo ora in esame, per vero formulato in termini di generica e apodittica doglianza, risulta inficiato da difetto di autosufficienza, in carenza di puntuali riferimenti agli atti dei giudizi di primo e secondo grado nei quali sarebbe stata sollevata la specifica questione.

Con il terzo motivo si deduce la violazione dell’art. 1283 c.c. e del D.P.R. n. 1063 del 1962, artt. 35 e 36 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3): sostiene il Consorzio che la sentenza impugnata avrebbe calcolato gli interessi moratori non dal giorno della domanda giudiziale, ma a far data dal 25 febbraio 1982, applicando erroneamente gli artt. 35 e 36 citati che si riferiscono esclusivamente al pagamento degli acconti e del saldo del prezzo contrattuale, non anche al saldo revisionale; il debito per interessi, inoltre, resterebbe sempre soggetto ai limiti entro cui è consentito riconoscere l’anatocismo.

Il motivo è in parte infondato e in parte inammissibile. Al contrario di quanto sostenuto dal ricorrente, nella specificazione della statuizione di condanna del Consorzio operata dalla Corte di appello risultano correttamente applicati il D.P.R. n. 1063 del 1962, artt. 35 e 36 – anche con riferimento al compenso revisionale, ai sensi della L. n. 700 del 1974 applicabile ratione temporis – alla stregua dei principi fissati dalla già citata Sez. 1, n. 10692/2005, in continuità con Sez. U, 17 luglio 2001, n. 9653, segnatamente quanto al criterio legale di imputazione del pagamento agli interessi anzichè al capitale, quale conseguenza automatica di ogni pagamento, e alla decorrenza delle scadenze di legge per il pagamento degli interessi. A tal riguardo, va altresì precisato che, contrariamente a quanto sostenuto dal Consorzio, la prova della del consenso del creditore ad una diversa imputazione, al capitale piuttosto che agli interessi, del pagamento parziale non può trarsi dalla sola quietanza rilasciata dalla (OMISSIS) a due dei tre mandati di pagamento, dovendosi ribadire il principio secondo cui “Nell’ipotesi di pagamento parziale, il versamento va imputato agli interessi e non al debito capitale, a meno che non vi sia prova del consenso del creditore ad una diversa imputazione; a tal fine, non costituisce prova sufficiente, nel caso di pagamento effettuato da un’amministrazione pubblica, il fatto che il privato creditore, tenuto a rilasciare ricevuta di pagamento, abbia sottoscritto per quietanza il titolo di spesa in cui l’amministrazione stessa abbia imputato a deconto del capitale la somma erogata a parziale pagamento del debito” (tra le altre, Sez. 1, 9 ottobre 2012, n. 17197; Sez. L, 11 dicembre 2002, n. 17661).

Ciò posto, è ben vero – sempre sulla scorta di Sez. 1, n. 10692/2005 – che gli interessi spettanti all’appaltatore, a norma dei citati artt. 35 e 36, non riguardano solo il ritardo nel pagamento delle rate di acconto e di saldo del corrispettivo, ma anche il danno ulteriore per il ritardo nel pagamento dei medesimi interessi, non essendo la previsione dell’art. 35, comma 3 limitata al pagamento del corrispettivo, ma estendendosi anche all’obbligazione accessoria, quale è quella di pagare gli interessi, con l’effetto di comprendere in essa il ritardo nel pagamento degli interessi medesimi. Il debito per interessi (anche quando sia stata adempiuta l’obbligazione principale) non si configura, del resto, come una qualsiasi obbligazione pecuniaria, dalla quale derivi il diritto agli ulteriori interessi dalla mora nonchè al risarcimento del maggior danno ex art. 1224 c.c., comma 2, ma resta soggetto ai limiti entro cui è consentito riconoscere l’anatocismo di cui all’art. 1283 c.c.: norma, quest’ultima, derogabile soltanto dagli usi contrari ed applicabile a tutte le obbligazioni aventi ad oggetto originario il pagamento di una somma di denaro sulla quale spettino interessi di qualsiasi natura, compresi quelli di cui agli artt. 35 e 36. Tuttavia, il mezzo difetta altresì di autosufficienza atteso che, stante la già richiamata specificazione della statuizione di condanna operata dalla Corte di appello, manca anche su tale profilo una chiara ricostruzione dimostrativa dell’assunto.

Con il quarto motivo si deduce la violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4), in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3): secondo il Consorzio, la Corte di appello avrebbe omesso di motivare sulla prescrizione dei crediti pretesi dalla (OMISSIS) sia per sorte capitale che per interessi.

Il motivo è inammissibile, ancora una volta per violazione del principio di autosufficienza, essendo la censura formulata in modo non adeguato con riferimento agli atti processuali dei giudizi di primo e secondo grado. Parte ricorrente ha dedotto (p. 8 del ricorso) di aver censurato in appello, con un “ulteriore motivo” (oltre i cinque motivi posti a fondamento del gravame), il mancato accoglimento da parte del Tribunale dell'”eccezione di prescrizione dei crediti pretesi dalla società creditrice per sorte capitale”. Con il mezzo ora in esame il Consorzio si duole, invece, dell’omessa pronuncia della Corte territoriale sul motivo di appello “relativo alla intervenuta prescrizione dei crediti pretesi dalla (OMISSIS) sia per sorte capitale che per interessi” (p. 17 del ricorso; eccezione invero non richiamata in sede di conclusioni in appello). Pertanto, mentre la questione relativa alla prescrizione del credito per interessi risulta comunque nuova, il motivo di ricorso, integralmente considerato, si riduce ad una generica doglianza di omessa pronuncia in difetto della chiara specificazione delle condizioni e dei presupposti per la valutazione della sua decisività (Sez. L, 7 ottobre 2014, n. 21083).

In conclusione, il ricorso deve essere respinto, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio.

PQM

 

rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese processuali, liquidate in Euro 5.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima civile, il 4 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 3 agosto 2017

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