Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19425 del 18/07/2019

Cassazione civile sez. VI, 18/07/2019, (ud. 26/03/2019, dep. 18/07/2019), n.19425

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRECO Antonio – Presidente –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – rel. Consigliere –

Dott. CASTORINA Rosaria Maria – Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 29229-2017 R.G. proposto da:

T.M.L., rappresentata e difesa, per procura speciale in

calce al ricorso, dall’avv. Carmine DI ZENZO, ed elettivamente

domiciliata in Roma, alla via Appennini n. 60, presso lo studio

legale del predetto difensore;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, C.F. (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO

STATO, presso la quale è domiciliata in Roma, alla via dei

Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2716/11/2017 della Commissione tributaria

regionale della PUGLIA, depositata il 19/09/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 26/03/2019 dal Consigliere Dott. LUCIOTTI Lucio.

Fatto

RILEVATO

che:

– in controversia avente ad oggetto un avviso di accertamento con cui l’Agenzia delle entrate, sulla scorta delle risultanze di un processo verbale di constatazione della G.d.F., da cui emergeva l’omessa fatturazione di compensi da parte della contribuente, di professione avvocato, e costi indeducibili, recuperava a tassazione maggiori imposte ai fini IVA, IRPEF ed IRAP con riferimento all’anno 2009, con la sentenza in epigrafe indicata la CTR rigettava l’appello proposto da T.M.L. avverso la sfavorevole sentenza di primo grado, sostenendo, per quanto ancora qui di interesse, che l’atto impositivo era adeguatamente motivato con rinvio ad un p.v.c. che doveva ritenersi che la contribuente conoscesse avendone rifiutato la consegna, che nella specie non si era verificata alcuna violazione del contraddittorio nella fase amministrativa;

– avverso tale statuizione la contribuente propone ricorso per cassazione affidato a 5 motivi, variamente articolati, cui replica l’intimata con controricorso;

– sulla proposta avanzata dal relatore ai sensi del novellato art. 380 bis c.p.c., risulta regolarmente costituito il contraddittorio, all’esito del quale la ricorrente ha depositato memorie, con istanza di differimento della trattazione del ricorso stante la ritenuta necessità di acquisizione dei fascicoli dei gradi di merito;

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Va preliminarmente rigettata l’istanza di differimento della trattazione del ricorso non ravvisando la Corte la necessità dell’acquisizione dei fascicoli dei gradi di merito. Al riguardo pare opportuno ricordare che “La mancata trasmissione del fascicolo di ufficio relativo al giudizio di merito, nonostante la rituale richiesta del ricorrente ai sensi dell’art. 369 c.p.c., comma 3, non incide sulla regolarità del procedimento, salvo che l’esame degli atti nello stesso contenuti non risulti indispensabile ai fini della decisione” (Cass., Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 5819 del 23/03/2016; v. anche Cass., Sez. 1, Sentenza n. 10665 del 09/05/2006; Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 777 del 15/01/2019).

2. Ciò precisato, osserva il Collegio che con il primo motivo di ricorso, articolato in tre diverse censure, viene dedotta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 12, commi 1, 2 e 5.

2.2. Altrettanto infondata è la censura relativa al superamento dei termini di permanenza dei verificatori presso lo studio della contribuente, stante il principio giurisprudenziale, recentemente ribadito da Cass., n. 2055 del 2017, secondo cui “In tema di verifiche tributarie, la violazione del termine di permanenza degli operatori dell’Amministrazione finanziaria presso la sede del contribuente, previsto dalla L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 5, non determina la sopravvenuta carenza del potere di accertamento ispettivo, nè l’invalidità degli atti compiuti o l’inutilizzabilità delle prove raccolte, atteso che nessuna di tali sanzioni è stata prevista dal legislatore, la cui scelta risulta razionalmente giustificata dal mancato coinvolgimento di diritti del contribuente costituzionalmente tutelati”.

2.3. Infondata è anche la censura con cui la ricorrente deduce la violazione del contraddittorio in quanto la G.d.F. non aveva comunicato alla contribuente, che aveva revocato l’incarico di assistenza inizialmente affidato ad un professionista di fiducia, la prosecuzione della verifica fiscale presso gli uffici della G.d.F., con conseguente inutilizzabilità di quanto verbalizzato alle date del 18, 22, 24, 25 e 26 novembre 2001. Invero, la ricorrente nulla può lamentare al riguardo in quanto la prosecuzione della verifica fiscale presso gli uffici della G.d.F. è stata richiesta dalla stessa, così come risulta dal controricorso in cui per autosufficienza viene riportato il passo dell’originario ricorso della contribuente in cui si legge che “la Parte (..) richiedeva che la verifica venisse svolta presso gli Uffici della Tenenza suddetta aggiungendo di farsi assistere dal proprio consulente fiscale”.

3. Con il secondo motivo, articolato in tre diverse censure, viene dedotta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7.

3.1. La prima censura, con cui lamenta la mancata notifica del processo verbale di constatazione redatto dalla G.d.F., cui rinviava la motivazione dell’avviso di accertamento, è manifestamente infondata avendo la stessa ricorrente ammesso di aver rifiutato (in data 16/12/2010) di ricevere copia del p.v.c., che quindi si deve ritenere perfidi iuris dalla medesima conosciuto. Al riguardo questa Corte ha affermato che “In tema di contenzioso tributario, i contribuenti non possono invocare la nullità di un accertamento motivato con riferimento ad altro atto (nella specie un processo verbale di constatazione della Guardia di Finanza) che l’amministrazione finanziaria ha loro notificato e di cui i contribuenti non hanno preso effettiva conoscenza per averne rifiutato prima la sottoscrizione e poi la copia che avrebbe dovuto essere loro consegnata per la notifica, assumendo che è stato pregiudicato il loro diritto di difesa, atteso che tale pregiudizio può essere invocato qualora si debba imputare all’amministrazione finanziaria, ma non quando è imputabile agli stessi contribuenti” (Cass. n. 2943 del 1998).

3.2. Sul presupposto della mancata consegna del p.v.c., come dedotto con la prima censura, la ricorrente fa discendere la seconda, con cui deduce la nullità dell’avviso di accertamento in quanto emesso in violazione del termine dilatorio di cui alla disposizione censurata. Anche tale censura è manifestamente infondata in quanto, dovendosi ritenere, per quanto detto al precedente par. 2.1., che la consegna del p.v.c. è stata effettuata in data 16/12/2010, il termine dilatorio di sessanta giorni previsto dalla disposizione statutaria è stato ampiamente rispettato, posto che l’avviso di accertamento è stato pacificamente emesso nel 2014 e notificato il 20/05/2014.

3.3. La terza censura, con cui la ricorrente deduce la violazione del contraddittorio endoprocedimentale con riferimento ai tributi armonizzati, è, invece, inammissibile per difetto di autosufficienza del mezzo di cassazione, non avendo la ricorrente riportato nel ricorso, se non per riassunto, il contenuto delle ragioni (peraltro enunciate tardivamente, solo in grado di appello – v. pag. 16 del ricorso in esame) che avrebbe potuto far valere qualora il contraddittorio fosse stato tempestivamente attivato, al fine di consentire a questa Corte di verificare la fondatezza del motivo considerato peraltro che l’opposizione di dette ragioni (valutate con riferimento al momento del mancato contraddittorio), non deve essere puramente pretestuosa e tale da configurare, in relazione al canone generale di correttezza e buona fede ed al principio di lealtà processuale, sviamento dello strumento difensivo rispetto alla finalità di corretta tutela dell’interesse sostanziale, per le quali è stato predisposto (così in Cass., Sez. U., n. 24823 del 2015).

4. Con il terzo motivo la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, comma 2, sostenendo che la CTR aveva errato a non dichiarare la nullità dell’atto impositivo per difetto di motivazione dello stesso, che rinviava ad un processo verbale di constatazione della G.d.F. non allegato, nè richiamato nel suo contenuto essenziale.

4.1. Il motivo è manifestamente infondato alla stregua di quanto detto con riferimento al primo profilo del secondo motivo.

5. Con la prima censura del quarto motivo viene dedotta la nullità della sentenza per motivazione apparente in relazione al “motivo di appello relativo ai provvedimenti giurisdizionali emessi nei confronti della T. recanti l’obbligo di restituzione delle somme erogate dall’INPS a titolo di compensi professionali”.

5.1. Il motivo è manifestamente infondato in quanto la sentenza esprime al riguardo una ben definita ratio decidendi, affermando che “la documentazione contabile ed extracontabile esaminata ha riguardato i compensi corrisposti all’avv. T. da parte dell’INPS anche documentati dagli assegni recapitati alla professionista, sicchè le somme percepite risultano certe e non riguardano il contenzioso ancora pendente”, e che da tutte le sentenze prodotte con la memoria del 9/03/2017 emergeva che “l’INPS contestava solo le ulteriori spese richieste dalla professionista perchè “non dovute”, oltre quelle comunque già percepite e liquidate dal giudice in primo grado o alla stessa assegnate dal Giudice dell’esecuzione” (sentenza, pag. 6, par. 5).

5.2. Il motivo è infondato anche ove riqualificato come omesso esame di alcune sentenze prodotte dalla ricorrente, avendo la CTR fatto espresso riferimento alle “sentenze allegate alla memoria del 9 marzo 2017” ed è in ogni caso inammissibile per difetto di autosufficienza circa il contenuto delle stesse, non riprodotto nel ricorso, così da impedire a questa Corte di valutare la decisività della censura.

5.3. La seconda censura del quarto motivo, con cui la ricorrente deduce l’assenza di motivazione, ovvero di pronuncia della CTR sulle ragioni che la contribuente avrebbe potuto far valere in sede di contraddittorio endoprocedimentale, è manifestamente infondato alla stregua di quanto detto con riferimento alla terza censura del secondo motivo, là dove si è dato atto della inammissibilità della doglianza, anche per essere stata prospettata solo in grado di appello e, quindi, tardivamente. Al riguardo deve ribadirsi il principio secondo cui “L’omessa pronuncia, qualora abbia ad oggetto una domanda inammissibile, non costituisce vizio della sentenza e non rileva nemmeno come motivo di ricorso per cassazione, in quanto, alla proposizione di una tale domanda, non consegue l’obbligo del giudice di pronunciarsi nel merito” (Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 22784 del 25/09/2018; in termini, Cass., Sez. 1, Sentenza n. 12412 del 25/05/2006 e Cass., Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 24445 del 02/12/2010).

6. Con il quinto motivo la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. lamentando l’omessa pronuncia sul motivo di appello con cui era stata contestata l’applicabilità delle sanzioni e la loro misura.

6.1. Il motivo è inammissibile per difetto di specificità e autosufficienza. Invero, insegna questa Corte che “L’esercizio del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito, riconosciuto al giudice di legittimità ove sia denunciato un “error in procedendo”, presuppone comunque l’ammissibilità del motivo, sicchè, laddove sia stata denunciata la falsa applicazione della regola del “tantum devolutum quantum appelatum”, è necessario, ai fini del rispetto del principio di specificità e autosufficienza del ricorso per cassazione, che nel ricorso stesso siano riportati, nei loro esatti termini e non genericamente ovvero per riassunto del loro contenuto, i passi del ricorso introduttivo con i quali la questione controversa è stata dedotta in giudizio e quelli dell’atto d’appello con cui le censure ritenute inammissibili per la loro novità sono state formulate” (Cass., Sez. L, Sentenza n. 11738 del 08/06/2016), “onde consentire al giudice di verificarne, in primo luogo, la ritualità e la tempestività e, in secondo luogo, la decisività” (Cass., Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 5344 del 04/03/2013). Orbene, nella specie il rinvio al “IV Motivo” dell’atto di appello e la mancata allegazione di quest’ultimo è del tutto insufficiente a consentire di superare la rilevata inammissibilità del vizio, anche sotto il profilo della c.d. autosufficienza virtuosa.

7. In estrema sintesi, il ricorso va rigettato e la ricorrente, rimasta soccombente, va condanna al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo.

PQM

rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.600,00 per compensi, oltre al rimborso delle spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 26 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 18 luglio 2019

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