Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19424 del 22/08/2013


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Civile Sent. Sez. L Num. 19424 Anno 2013
Presidente: MAISANO GIULIO
Relatore: MAISANO GIULIO

SENTENZA

sul ricorso 11358-2011 proposto da:
DOTTOR

GRANDE

GIOVANNI

CRNGNN36D23I937N,

già

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ASIAGO 2,
presso lo studio dell’avvocato D’INZILLO CARLO, che lo
rappresenta e difende unitamente all’avvocato BARONE
GIAN LUIGI, giusta delega in atti e da ultimo
2013
2061

domiciliato presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA
DI CASSAZIONE;
– ricorrente contro

MINISTERO ECONOMIA FINANZE 80415740580, in persona del

Data pubblicazione: 22/08/2013

Ministro pro tempore, domiciliato in ROMA, VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO,
che lo rappresenta e difende ope legis;
– controricorrente –

avverso la sentenza n. 10229/2009 della CORTE

11226/2007;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 11/06/2013 dal Consigliere Dott. GIULIO
MAI SANO;
udito l’Avvocato FEDELI FABRIZIO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. GIANFRANCO SERVELLO, che ha concluso
per il rigetto del ricorso.

D’APPELLO di ROMA, depositata il 21/04/2010, r.g n.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza pubblicata il 21 aprile 2010 la Corte d’appello di Roma ha
rigettato l’appello proposto da Grande Giovanni avverso la sentenza del
Tribunale di Roma del 13 dicembre 2006 con la quale era stata rigettata la
sua domanda intesa ad ottenere la declaratoria della nullità, illegittimità o

inefficacia del licenziamento comunicatogli in data 11 novembre 2003 dal
Ministero dell’Economia e delle Finanze con le conseguenze di legge, e
l’accertamento della illegittimità e/o decadenza del provvedimento di
sospensione del febbraio 1993 nonché del provvedimento di sospensione
facoltativa dell’ 11 dicembre 1997, con ogni conseguenza in ordine alla
restituito in integrum e con l’accertamento di ogni ulteriore spettanza da
liquidarsi in separata sede. La Corte territoriale ha motivato tale pronuncia
ritenendo infondata l’eccezione di tardività dell’instaurazione del
procedimento disciplinare e della sua conclusione proposta dal Grande, pur
ritenendo fondata la deduzione dell’appellante in quella sede, relativa alla
natura perentoria di decadenza del termine indicato dalla legge 97 del 2001
per la proposizione del procedimento disciplinare e per la sua conclusione,
e applicabile anche ai dirigenti come il Grande e prevalente su ogni
contraria previsione contrattuale. Tuttavia la Corte d’appello ha
considerato, ai fini della scadenza del termine decadenziale in questione,
non il momento in cui il dipendente è venuto a conoscenza della
contestazione, ma quello precedente in cui il provvedimento stesso è uscito
dalla sfera del disponente, cioè del Ministero; pertanto, poiché la sentenza
penale emessa nei confronti del Grande è stata comunicata in data 9
gennaio 2003, ed è uscita dalla sfera del Ministero il 5 aprile successivo,
non è maturato il termine di decadenza di 90 giorni per l’avvio del
procedimento disciplinare. Quanto al termine di 120 giorni per la
conclusione del procedimento stesso, è stato considerato che esso si
aggiunge al termine di 90 giorni per la sua proposizione, per cui il termine

/90

complessivo da considerare è quello di 270 giorni che la Corte territoriale
ha ritenuto di non poter verificare trattandosi di doglianza nuova essendo
stata proposta in primo grado la sola decadenza relativa al termine di 90
giorni in cui il procedimento disciplinare avrebbe dovuto essere promosso.
Nel merito la Corte romana ha ritenuto non generici gli addebiti per i quali

estinzione del reato di corruzione impropria per intervenuta prescrizione,
sebbene sia inapplicabile l’art. 653, comma 1° bis cod. proc. pen. riferibile
esclusivamente alle sentenze irrevocabili di condanna; la Corte d’appello
ha valutato precisi e concordanti gli elementi di prova a carico del Grande
costituiti, in particolare, dalla confluenza di denaro su conti correnti
intestati a prestanome che avevano conferito procure gestorie alla moglie
del Grande stesso, e alla coincidenza temporale di tali versamenti di somme
corrisposte da costruttori, con il contestato acquisto di immobili da parte
del Ministero dell’Economia e delle Finanze di cui il Grande era dirigente.
Il Grande propone ricorso per cassazione avverso tale sentenza articolato su
quattro motivi.
Resiste con controricorso il Ministero dell’Economia e delle Finanze.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo si deduce la nullità della sentenza o del procedimento
per avere la sentenza impugnata pronunciato su una questione non sollevata
dalla parte resistente in primo grado; omessa o contraddittoria motivazione
circa un punto decisivo della controversia. In particolare si assume che la
corte territoriale non avrebbe potuto delibare in ordine all’interruzione del
termine di decadenza per la proposizione del procedimento disciplinare,
non essendo stato tale aspetto sollevato dalla resistente, né essendo la
questione rilevabile d’ufficio. Comunque la considerazione svolta nella
sentenza impugnata relativamente al momento rilevante dell’avvio del

il Grande ha subito procedimento penale conclusosi con sentenza di

procedimento disciplinare sarebbe comunque infondata, in quanto non
sarebbe applicabile agli atti unilaterali di natura non processuale il
principio dettato dalla Corte Costituzionale con la sentenza 477 del 2002
per i negozi unilaterali ricettizi quale l’impugnativa del licenziamento.
Con il secondo motivo si lamenta violazione o falsa applicazione dell’art.

Con il terzo motivo si deduce violazione o falsa applicazione degli artt. 112
e 437 cod. proc. civ. con riferimento all’affermazione della sentenza
impugnata secondo cui la Corte d’appello non potrebbe pronunciarsi sul
termine complessivo di 270 giorni per la definizione del procedimento
disciplinare, non essendo stata la questione sollevata dall’appellante, e si
deduce, viceversa, che la questione dell’inosservanza dei termini di
decadenza relativi al procedimento disciplinare sarebbe stata ritualmente
sollevata fin dal primo grado e poi riproposta nei motivi di appello.
Con il quarto motivo si lamenta violazione o falsa applicazione dell’art.
653 comma 1 bis cod. proc. pen.; omessa, insufficiente e contraddittoria
motivazione circa un fatto decisivo della controversia con riferimento alla
affermata sussistenza degli elementi di prova a carico del Grande ai fini
della giustificazione del licenziamento, elementi che, contrariamente a
quanto affermato dal Ministero, sarebbero stati contestati e comunque
sarebbero in contrasto con la sentenza penale relativa ai medesimi fatti
posti a fondamento del licenziamento stesso.
I primi due motivi vanno esaminati congiuntamente riguardando entrambi
la legittimità della pronuncia relativa all’interruzione del termine di
decadenza. Tali motivi per essere privi di fondamento vanno rigettati..
Questa Corte ha più volte statuito che ” La corrispondenza tra il chiesto ed
il pronunciato, che vincola il giudice ex art. 112 cod. proc. civ., riguarda il
“petitum” che va determinato con riferimento a quello che viene domandato

112 cod. proc. civ. quale conseguenza del vizio di cui al motivo precedente.

sia in via principale che in via subordinata, in relazione al bene della vita
che l’attore intende conseguire, ed alle eccezioni che in proposito siano
state sollevate dal convenuto, ma non riguarda, invece, le ipotesi in cui il
giudice, espressamente o implicitamente, dia al rapporto controverso o ai
fatti che siano stati allegati, quali “causa petendi” dell’esperita azione, una
egli il potere – dovere di inquadrare nell’esatta disciplina giuridica gli atti ed
i fatti che formano oggetto della contestazione, sempre che sia rispettato
l’ambito delle questioni proposte e siano stati lasciati immutati il “petitum”
e la “causa petendi”, senza introdurre nel tema controverso nuovi elementi
di fatto”(cfr, in tali sensi Cass. 13 giugno 2002 n. 8479 cui adde ex plurimis
da ultimo Cass. 24 marzo 2011 n. 6757 e Cass. 6 agosto 2004 n.15186).
Tali principi hanno trovato corretta applicazione nella impugnata sentenza
che, chiamata a giudicare sulla questione che era stata oggetto del giudizio
di primo grado e cioè sul rispetto dei termini entro i quali doveva avvenire
sia la contestazione degli addebiti, sia l’esaurirsi del procedimento
disciplinare, nel decidere su tali punti non ha violato il disposto dell’art. 112
cod. proc. civ. ma si è limitata a dare una propria e corretta interpretazione
dei dati normativi senza esaminare fatti che non fossero già compresi nel
thema decidendum e senza mutare in alcun modo il petitum.
Il terzo motivo è infondato in quanto la Corte territoriale ha ben motivato
riguardo all’irritualità dell’eccezione relativa allo spirare del termine di
decadenza di centottanta giorni per la conclusione del procedimento
disciplinare, precisando come il ricorrente abbia impugnato il
licenziamento sotto il profilo della promozione del procedimento
disciplinare, e del superamento della durata del procedimento stesso
considerato di centoventi giorni.
Il quarto motivo è parimente infondato riguardando la valutazione dei fatti
addebitati al ricorrente, valutazione riservata al giudice del merito che, nel

Il

qualificazione giuridica diversa da quella prospettata dalle parti, avendo

caso in esame, ha precisato le circostanze emerse addebitate al ricorrente
stesso, con motivazione logica e congrua che sfugge ad ogni censura di
legittimità.
Le spese di giudizio, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio liquidate in C
50,00 per esborsi ed C 3.000,00 per compensi professionali oltre accessori
di legge.
Così deciso in Roma 1’11 giugno 2013.

La Corte rigetta il ricorso;

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