Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19423 del 30/09/2016


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Cassazione civile sez. III, 30/09/2016, (ud. 15/06/2016, dep. 30/09/2016), n.19423

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMBROSIO Annamaria – Presidente –

Dott. ARMANO Uliana – Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – rel. Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 27097-2013 proposto da:

ASSOCIAZIONE MALACOLOGICA INTERNAZIONALE A.M.I., in persona del suo

Presidente, U.R., e U.R., elettivamente

domiciliati in ROMA, CORSO TRIESTE, 87, presso lo studio

dell’avvocato ALESSANDRA COLABUCCI, che li rappresenta e difende

giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

L.A.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DON

CARLO GNOCCHI 36-79, presso lo studio dell’avvocato ATTILIO TERZINO,

che la rappresenta e difende giusta procura speciale a margine del

controricorso e ricorso incidentale;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 5325/2013 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 09/10/2013, R.G.N. 2429/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

15/06/2016 dal Consigliere Dott. ENZO VINCENTI;

udito l’Avvocato ALESSANDRA COLABUCCI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Rosario Giovanni, che ha concluso per l’inammissibilità del

ricorso U.; rigetto del ricorso incidentale; accoglimento dei

primi quattro motivi del ricorso dell’Associazione, assorbiti o

rigettati gli altri motivi.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. – L.A.M., con atto di citazione del 17 gennaio 2006, convenne in giudizio l’Associazione Malacologica Internazionale (AMI) e il suo presidente U.R. assumendo di aver locato alla convenuta un appartamento di sua proprietà, sito in (OMISSIS), e di avere rilevato, dopo lo sfratto per morosità, dei danni all’immobile e l’esistenza di “vari debiti” inadempiuti, di cui chiese il complessivo rimborso.

Nel contraddittorio con l’AMI e l’ U. – che contestarono la pretesa attorea e proposero, a loro volta, domanda riconvenzionale per il risarcimento dei danni patiti e, segnatamente, di quelli per il distacco dell’energia elettrica – l’adito Tribunale di Roma, con sentenza dell’ottobre 2009, condannò l'(OMISSIS) e l’ U., in solido tra loro, al pagamento di Euro 34.278,00, in favore della L., rigettando la domanda riconvenzionale.

2. – Avverso tale decisione l’AMI e U.R. proponevano appello, che veniva parzialmente accolto dalla Corte d’appello di Roma con sentenza resa pubblica il 9 ottobre 2013, con la quale veniva rigettata ogni domanda nei confronti dell’ U., con compensazione integrale delle spese del doppio grado (sussistendone “giusti motivi”) e condannata l’AMI a corrispondere ad L.A.M. la somma di Euro 21.328,00, con interessi dalla domanda al saldo, oltre alla metà delle spese di appello, con compensazione della restante metà delle medesime spese.

2.1. – Il giudice di secondo grado, anzitutto, riteneva fondata la censura relativa al difetto di legittimazione passiva di U.R., in quanto costui aveva agito in nome e per conto dell’AMI, la quale era un’associazione riconosciuta e dotata di personalità giuridica, sicchè era la stessa AMI a dover rispondere verso i terzi, ai sensi dell’art. 18 c.c., delle obbligazioni assunte dal proprio amministratore.

La Corte territoriale accoglieva, altresì, la doglianza degli appellanti circa la condanna in solido alla somma totale di Euro 34.278,00, risultato di un’errata sommatoria, cifra che veniva ridotta ad Euro 21.328,00.

2.2. – La Corte capitolina confermava per il resto la sentenza di primo grado, ritenendo, in primo luogo, infondato il motivo con cui gli appellanti sostenevano che la L. non avesse fornito precisa prova delle sue pretese creditorie.

La locatrice, infatti, aveva documentato tutte le somme, a titolo di “canoni non pagati e spese varie”, per le quali si era dichiarata creditrice, esponendo le singole voci e le ragioni di credito vantato, spettando invece al debitore la prova dell’avvenuto pagamento.

2.3. – Quanto invece alle spese sostenute dalla L. nella procedura di convalida dello sfratto (liquidate in quella sede nella misura di Euro 1.152,76), la Corte d’appello riteneva non provata l’esistenza di un distinto titolo esecutivo in forza del quale la predetta potesse “valersi per il recupero di dette spese”; là dove, poi, il provvedimento di convalida dello sfratto di morosità non conteneva alcuna liquidazione di spese, mentre quelle liquidate con provvedimento del 9 maggio 2005 erano da reputarsi “valide ai soli fini di una sanatoria della morosità nel termine concesso dal giudice sino al 30 luglio 2005”.

2.4. – Il giudice di appello evidenziava, altresì, che, dall’insieme del quadro probatorio (elenco dettagliato dei beni mobili, preventivi di spese necessarie e assenza di smentita di controparte), emergeva sia “la correttezza e fondatezza” della pretesa della L. in ordine alla riconsegna della “mobilia che si trovava nell’immobile al momento della locazione (come da elenco/inventario sottoscritto dal Presidente AMI), e non trovata al momento della consegna”, sia il diritto della locatrice al rimborso delle spese di ripristino dell’immobile (con riferimento a buchi sulle pareti, alla presenza di ganci sporgenti dal soffitto, alla pulizia delle pareti ed al montaggio di un armadio).

2.5. – La Corte territoriale reputava, invece, infondato il motivo di gravame sul rigetto della domanda riconvenzionale spiegata dall’AMI e dall’ U. in primo grado, che non avevano alcun diritto a mantenere l’utenza elettrica, poichè il giudice della causa di sfratto aveva concesso un termine di grazia per sanare la morosità sino al 30 luglio 2005, senza che entro tale data l’AMI avesse provveduto a pagare i canoni non corrisposti. A fronte di tale comportamento l’iniziativa della locatrice di chiedere l’interruzione dell’utenza Acea, in data (OMISSIS), non poteva essere considerata illegittima.

Era anche infondata la richiesta dei convenuti-appellanti di ottenere il rimborso delle spese di trasporto dei mobili, poichè non era stata data alcuna prova che vi fosse tra le parti un accordo in tal senso, ossia sull’accollo di dette spese in capo alla L. (avendo il teste G.R. soltanto dichiarato esservi accordo delle parti sul trasporto dei beni altrove).

3. – Per la cassazione di tale sentenza ricorrono l’Associazione Malacologica Internazionale (AMI) e U.R. con impugnazione affidata a sei motivi.

Resiste con controricorso L.A.M., che ha anche proposto ricorso incidentale, articolato su tre motivi.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. – Con il primo mezzo del ricorso principale AMI- U. è prospettata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c..

La Corte d’appello avrebbe violato l’art. 2697 c.c., nel ritenere fondata la pretesa della locatrice L., la quale non poteva limitarsi ad esporre le singole voci e le ragioni di credito vantate, ma avrebbe dovuto provare l’esistenza dei crediti vantati e cioè il fatto costituivo degli stessi.

In particolare la locatrice, avendo prodotto i soli “consuntivi condominiali” e gli “avvisi di pagamento di fornitura”, anzichè i verbali assembleari e condominiali di approvazione e ripartizione delle spese, non avrebbe fornito la prova della sussistenza del titolo giustificativo dei crediti vantati. Egualmente, si sostiene in ricorso la mancanza di prova del diritto alla riconsegna dell’arredo, e, comunque, del suo effettivo valore (sulla scorta di un’inadeguata proposta di acquisto di mobilia prodotta in atti), nonchè al rimborso delle spese per riportare l’immobile nella condizione precedente e per il montaggio di un armadio, non essendo a tal fine utili le deposizioni dei testi di parte appellata ( C., F. e T.), mentre elementi a favore degli appellanti erano desumibili dalle dichiarazioni della teste G. e dalla lettera del legale dell’AMI del 12 settembre 2005.

2. – Con il secondo mezzo del medesimo ricorso principale è denunciata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c..

Il giudice d’appello avrebbe erroneamente ritenuto non provato l’accordo sul rimborso delle spese di trasporto, poichè avrebbe omesso di indicare le ragioni del proprio convincimento circa l’inattendibilità della prova documentale costituita dalla lettera raccomandata del 3 ottobre 2005, con cui il legale dell’AMI comunicava alla L. che la mobilia era stata depositata nei locali dell’Associazione in (OMISSIS) e la locatrice era invitata a ritirarli entro il termine di dieci giorni dal ricevimento della missiva, con la precisazione che quest’ultima era tenuta a rimborsare le spese di trasporto.

2.1. – I primi due motivi del ricorso principale, da scrutinarsi congiuntamente, non possono trovare accoglimento.

La Corte di appello (cfr. sintesi ai p..p. 2.2. e 2.4. del “Ritenuto in fatto” che precede) non solo ha evidenziato che i crediti della L. riguardavano, in buona parte, ma non solo, “somme di denaro” derivanti da obbligazioni, inadempiute, originate dal contratto di locazione con la conduttrice AMI (e, tra queste, anche le obbligazioni che, evidentemente, attenevano alla diligente custodia della cosa locata ed alla relativa restituzione nello stato pregresso, alla stregua degli artt. 1587, 1588 e 1590 c.c.), ma ha pure precisato quali fossero le fonti degli stessi crediti e l’insussistenza di una contestazione specifica proveniente dalla controparte; con ciò dando contezza (anche per quanto attiene al profilo delle spese di trasporto ed all’an ed al quantum dei danni risarcibili) dell’operata valutazione, alla luce delle emergenze probatorie acquisite (prove testimoniali e documentali).

Sicchè, non solo risulta inconsistente la doglianza di violazione dell’art. 2697 c.c. (avendo la Corte territoriale fatto buon uso della regola del riparto della prova, addossando all’attrice l’onere di dimostrare i fatti costitutivi dei diritti azionati e, anzitutto (ma non solo), la fonte negoziale di essi), ma la stessa, come anche la denunciata violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., si risolve(vono) in critiche all’apprezzamento dei fatti ed alla valutazione probatoria del giudice del merito, non denunciabili ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 nè tanto meno – ove non venga addotto l'”omesso esame circa un fatto decisivo” (come non lo è stato nella specie) – ai sensi del novellato n. 5 cit. art. 360 (ad opera del D.L. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 134 del 2012), che trova applicazione nel presente giudizio, essendo la sentenza impugnata in questa sede stata pubblicata il 9 ottobre 2013.

3. – Con il terzo mezzo dello stesso ricorso principale è dedotta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità della sentenza o del procedimento per violazione dell’art. 112 c.p.c..

Il giudice di appello, al pari del primo giudice, avrebbe ignorato completamente la domanda riconvenzionale in punto di corresponsione del compenso per la custodia dei mobili della locatrice presso i locali di essa AMI.

3.1. – Il motivo è infondato.

La Corte capitolina non è incorsa in omessa pronuncia sull’anzidetto motivo di gravame, giacchè ha preso in esame (cfr. sintesi ai p.p. 2.2. e 2.4. del “Ritenuto in fatto” che precede) la articolata critica sul rigetto della domanda riconvenzionale concernente “il rimborso delle spese per il trasporto dei mobili dell’immobile locato”, da ritenersi, per l’appunto, ricomprensiva anche della pretesa, intimamente correlata, delle spese di custodia della mobilia, adducendo, in via assorbente, che non vi fosse prova di un accordo sull’accollo di tali complessive spese in capo alla locatrice.

4. – Con il quarto mezzo del ricorso principale è denunciata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione dell’art. 2043 c.c..

La Corte d’appello ha erroneamente ritenuto che l’iniziativa della L. di chiedere l’interruzione dell’utenza Acea non fosse illegittima e tale da cagionare un danno ingiusto al conduttore, là dove, invece, il Tribunale di Roma aveva, con provvedimento del (OMISSIS), convalidato lo sfratto fissando il termine per l’inizio dell’esecuzione al (OMISSIS) cioè oltre un mese dopo, sicchè la condotta della locatrice era tale da integrare il reato di cui all’art. 392 c.p. (esercizio arbitrario delle proprie ragioni), impedendo la piena utilizzazione del bene detenuto dal locatario. A seguito del distacco dell’energia elettrica, l’AMI era stata costretta ad interrompere le proprie funzioni e la propria attività, con conseguenze pregiudizievoli per l’immagine dell’ente.

4.1. – Il motivo è inammissibile.

La Corte territoriale ha ritenuto insussistente il diritto dell’AMI di mantenere in uso l’utenza di energia elettrica alla luce del provvedimento del giudice della causa di sfratto che aveva concesso termine di grazia sino 30 luglio 2005 per sanare la morosità, senza che fosse rispettato dall’AMI, là dove l’interruzione dell’energia elettrica era poi intervenuta il successivo (OMISSIS).

Con il motivo in esame si deducono, invece, circostanze differenti e in contrasto con il predetto accertamento o, comunque, non apprezzate dal giudice del gravame e ciò senza che di tali circostanze, in quanto desunte da atti processuali del giudizio di sfratto, si dia contezza puntuale, tramite i contenuti e la localizzazione precisa (ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6) di detti atti. Ciò, peraltro, senza tener conto che proprio l’allegazione delle anzidette diverse circostanze evidenzia, quale ulteriore profilo di inammissibilità del motivo (di per sè assorbente), che la critica si svolge sul piano della quaestio facti e non già in riferimento alla violazione di un principio giuridico, con la conseguenza che essa avrebbe dovuto essere veicolata ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, con l’indicazione del fatto decisivo (nel rispetto del principio di specificità della censura e, se del caso, di localizzazione ex art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6) che il giudice del gravame non avrebbe esaminato.

5. – Con il quinto mezzo del ricorso principale è prospettata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione o falsa applicazione dell’art. 658 c.p.c..

Si duole parte ricorrente della decisione d’appello nella parte in cui ha ritenuto di confermare la condanna alle spese processuali relative ad altro procedimento (R.G. 27642/05), là dove la L. non aveva chiesto, ex art. 664 c.p.c., alcun decreto ingiuntivo relativo a tali esborsi.

5.1. – Il motivo – che, invero, non coglie la ratio decidendi della sentenza impugnata – è comunque inammissibile per difetto di interesse, giacchè la Corte di appello ha escluso la fondatezza della pretesa della L. in punto di spese della procedura di sfratto.

6. – Con il sesto mezzo del ricorso principale è denunciata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione o falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c..

Posta la totale soccombenza della locatrice nei confronti del Presidente dell’AMI, la sentenza impugnata sarebbe errata nella parte in cui ha compensato integralmente le spese processuali dei due gradi di giudizio tra esso U. e la L., limitandosi a postulare la sussistenza di “giusti motivi”. Tale statuizione contrasterebbe tanto con il principio che prevede che le spese siano poste a carico della parte soccombente, quanto con l’art. 92 c.p.c. nella formulazione antecedente a quella introdotta dalla L. n. 263 del 2005.

7. – Con il primo mezzo del ricorso incidentale della L. è denunciata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e/o falsa applicazione degli artt. 16 e 38 c.c..

La Corte d’appello avrebbe erroneamente escluso la responsabilità solidale di Roberto U., giacchè lo statuto dell’AMI non prevedeva alcuna limitazione in tal senso, non essendo il solo riconoscimento della personalità giuridica sufficiente ad escludere la responsabilità patrimoniale personale del legale rappresentante ove ciò non risulti anche dallo statuto dell’ente.

8. – Con il secondo mezzo del ricorso incidentale è prospettata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, violazione o falsa applicazione violazione degli artt. 16 e 38 c.c..

La limitazione di responsabilità del presidente dell’AMI – non precisata nè dallo statuto, nè dal contratto di locazione – non sarebbe stata comunicata alla locatrice, la quale non era tenuta a fare indagini in tal senso, nè potendo a ciò provvedere: essa, infatti, all’epoca dei fatti aveva ottantuno anni e confidava, per vivere, sulla puntualità dei canoni di locazione, rimanendo rassicurata della solvibilità dell’Associazione proprio dalla presenza del Colonnello U.R..

9. – Per priorità logica, vanno scrutinati dapprima il primo e secondo motivo del ricorso incidentale e, poi, il sesto motivo del ricorso principale.

9.1. – I primi due motivi del ricorso incidentale non possono trovare accoglimento.

Quanto alle dedotte violazioni di legge (ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3), le censura sono infondate, giacchè la Corte territoriale, in considerazione del fatto che l’AMI – unica parte conduttrice del contratto di locazione – era (come dimostrato per tabulas) una persona giuridica privata (associazione riconosciuta), ha correttamente applicato la disciplina a tal fine dettata dal codice civile, in forza della quale (art. 18 c.c.) l’ente, soggetto giuridico ad autonomia patrimoniale perfetta (proprio in ragione del riconoscimento della personalità giuridica), risponde in proprio delle obbligazione assunte di chi ne ha la rappresentanza (che funge da organo dell’associazione personificata), mentre chi agisce in tale veste è responsabile nei confronti dell’ente e non dei terzi.

Quanto, poi, alla ulteriore doglianza (secondo motivo), essa, oltre ad essere inconsistente là dove postula un’esenzione personale della locatrice dal doversi attenere da quanto risulta dai registri delle persone giuridiche, è anche inammissibile nella parte in cui evoca uno statuto dei quali contenuti (al di là della loro non pertinenza rispetto allo scopo della censura) non si dà comunque contezza, nè si indica se, quando e dove il documento sia stato prodotto in giudizio.

9.2. – Il sesto motivo del ricorso principale (scrutinabile all’esito dell’esame che precede) è infondato.

La compensazione delle spese processuali fra le parti in giudizio, anche in assenza di esplicitazione diretta dei “giusti motivi”, non costituisce, prima della modifica dell’art. 92 c.p.c. disposta, per i processi iniziati dopo il 1 marzo 2006, dalla L. 28 dicembre 2005, n. 263, art. 2, comma 1, lett. a), violazione del principio generale dell’art. 91 c.p.c., il quale opera nella sola ipotesi di parte totalmente vittoriosa nel giudizio, trattandosi, invece, di facoltà discrezionale del giudice (tra le altre, Cass., 7 maggio 2008, n. 11094 e Cass., 6 ottobre 2011, n. 20457), insindacabile in sede di legittimità ove le ragioni, desumibili dalla complessiva motivazione, non siano arbitrarie (come nella specie, considerata la peculiare questione e la difesa congiunta).

10. – Con il terzo mezzo del ricorso incidentale è dedotta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione o falsa applicazione degli artt. 658 e 633 c.p.c..

Posto che il giudice dello sfratto aveva concesso termine di grazia sino al 30 luglio 2005 per sanare la morosità, con liquidazione maggiorata di spese per Euro 965,00, la Corte territoriale avrebbe errato ad affermare l’insussistenza di prova circa “un distinto titolo esecutivo di cui la appellata poteva valersi per il recupero” delle spese della procedura di sfratto, che, invece, potevano essere richieste, e lo erano state, con l’atto di citazione del gennaio 2006.

10.1. – Il motivo è inammissibile.

Con esso non si precisa affatto quale sia la posta creditoria di cui si lamenta effettivamente il mancato riconoscimento, posto che si fa riferimento alla somma di Euro 965,00 concernente il provvedimento di concessione del termine per la sanatoria di morosità, mentre nello stesso controricorso/ricorso incidentale si assume (p. 3) che con l’atto di citazione del gennaio 2006 la pretesa concerneva le spese liquidate per la procedura di sfratto, per Euro 1.152,76.

Nè, in tutti i casi, la L., sia pure per sintesi, dà contezza contenutistica intelligibile degli atti e documenti processuali all’uopo rilevanti ai fini della costruzione della censura (contravvenendo al principio di specificità dei motivi di impugnazione), nè di essi fornisce, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, la relativa localizzazione.

11. – Vanno, dunque, rigettati entrambi i ricorsi e, stante la reciproca soccombenza, compensate integralmente tra le parti le spese del presente giudizio di legittimità.

PQM

LA CORTE

rigetta sia il ricorso principale, che il ricorso incidentale, con integrale compensazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, sia da parte dei ricorrenti principali, che da parte della ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale e per quello incidentale, a norma del citato art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza civile della Corte suprema di Cassazione, il 15 giugno 2016.

Depositato in Cancelleria il 30 settembre 2016

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