Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19423 del 18/07/2019

Cassazione civile sez. VI, 18/07/2019, (ud. 05/04/2019, dep. 18/07/2019), n.19423

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18092-2017 proposto da:

IMMOBILIARE GALDINO SAS DI A.Q. & C, elettivamente

domiciliata in ROMA, P.LE CLODIO 56, presso lo studio dell’avvocato

FABRIZIO CASELLA, che la rappresenta e difende unitamente

all’avvocato RUGGERO ARMANI giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

e contro

ELETTRONICA INDUSTRIALE SRL;

– intimata –

avverso la sentenza n. 52/2017 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 09/01/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

05/04/2019 dal Consigliere Dott. CRISCUOLO MAURO.

Fatto

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE

Con citazione notificata il 18.1.90 la società Elettronica Industriale s.r.l. citò dinanzi al Tribunale di Milano la società Immobiliare Galdino s.a.s. di A.Q. & C., al fine di sentirla condannare al risarcimento dei danni conseguenti all’abbattimento di alberi di altro fusto e danneggiamento di impianti in un cortile-giardino comune, interposto tra gli immobili delle parti.

La domanda, cui aveva resistito la convenuta, sulla scorta delle prove testimoniali e della consulenza tecnica di ufficio, con sentenza del 4.10.01, venne accolta, nella misura di Lire 8.595.000, oltre rivalutazione, interessi e rimborso delle spese di lite. Proposto appello dalla soccombente, resistito dall’appellata, con proposizione di appello incidentale, con sentenza del 16.7.04, la Corte di Milano, respinse i reciproci gravami e condannò l’appellante principale alle spese, in

misura di 5/6 compensandole per il resto.

Secondo i giudici di appello: a) era pacifica la circostanza che la convenuta avesse, nel luglio 1988, proceduto all’abbattimento di alberi di alto fusto, arbusti e rampicanti, vegetanti nell’area interposta tra il proprio stabile e quello dell’attrice; b) dal titolo d’acquisto dell’immobile della convenuta risultava la destinazione a cortile comune dello spazio interposto tra l’immobile ceduto e la restante proprietà del venditore, successivamente acquistata dall’attrice “con tutti gli inerenti diritti e pertinenze”; c) la questione, dibattuta in altri giudizi, dell’appartenenza dell’area in questione, non rilevava nella presente controversia, di natura risarcitoria, tenuto conto dell’accertata destinazione convenzionale a cortile comune, comprovata anche dalla documentata circostanza che alle spese di manutenzione del “giardinetto” avesse contribuito la convenuta il che escludeva anche la prescrizione del vincolo; d) dalla prova testimoniale era emerso che gli alberi abbattuti, rappresentati da pini di alto fusto, erano tutti, tranne uno, in buone condizioni e correttamente piantati su “terra di copertura di solette”, circostanze che escludevano anche l’addotta esimente di aver agito allo scopo di evitare danni a terzi per paventate cadute; e) assolvendo detti alberi a funzione di pregio ambientale, igienico, sanitario ed estetico, il pregiudizio sofferto dall’attrice, in base al calcolo analitico esposto dal c.t.u., solo genericamente confutato dal c.t. di parte convenuta ed altrettanto immotivatamente, per opposte ragioni, dall’appellante incidentale, andava commisurato al valore complessivo degli alberi, senza la riduzione al 50%, in subordine prospettata dall’appellante principale; f) sfornita di prova era rimasta invece la residua pretesa risarcitoria, relativa al danneggiamento degli impianti di irrigazione e di illuminazione.

Contro la suddetta sentenza la società Immobiliare Galdino ha proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, cui ha resistito la società Elettronica Industriale con controricorso. Questa Corte con la sentenza n. 9060 del 2011 ha cassato la sentenza impugnata, ritenendo infondati i primi due motivi, accogliendo il terzo, con assorbimento del quarto.

In relazione alle ragioni di accoglimento del terzo motivo, che deduceva la “violazione e falsa applicazione degli artt. 1362,1363,1364,1366 c.c. nonchè omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione”, sostenendosi che, anche nell’ipotesi di validità della clausola in questione, il vincolo apposto sull’area oggetto di causa, avrebbe comportato soltanto l’obbligo di mantenere la destinazione dell’area “a cortile”, vale a dire ad assicurare aria e luce agli immobili circostanti non anche, non essendo tanto previsto nella convenzione, ad adibire la stessa a giardino, osservava la Corte che per “cortile” deve intendersi un’area scoperta compresa all’interno di un edificio, oppure tra due o più corpi di fabbrica, destinata a dare aria e luce agli ambienti circostanti (v., tra le altre nn. 7889/00, 2255/00, 1039/91), il supposto più ampio vincolo convenzionale di destinazione, connesso alla ritenuta natura di “giardino”, vale a dire di area adibita “a verde”, in funzione estetica ed ambientale, non risulta giustificato dalla clausola contrattuale, riportata nella motivazione, in cui nessuna menzione figura di tale più ampia e specifica funzione, cui sarebbe stato adibito il “cortile comune” menzionato dalle parti. Nè avrebbe potuto il giudice di merito, vertendosi in ipotesi di costituzione di un diritto reale, i cui elementi essenziali avrebbero necessariamente dovuto rinvenirsi nell’atto scritto che ne costituiva la fonte, desumere tale destinazione, ancor più specifica di quella cortilizia nel senso proprio sopra precisato, desumerla dal successivo comportamento delle parti (nella specie dalla contribuzione da parte dell’attrice alle spese di manutenzione anche delle piante),che avrebbe potuto assumere rilevanza, ex art. 1362 c.c., comma 2, soltanto nell’ipotesi in cui il senso letterale delle espressioni adoperate dai contraenti avesse lasciato adito a dubbi, circa l’effettiva intenzione degli stessi. Avrebbero dovuto, invece, i giudici di merito, al fine di giustificare il convincimento che l’asservimento de quo fosse stato comprensivo dell’obbligo di conservare la vegetazione arborea, eventualmente già presente in sito, rinvenire altri elementi testuali nell’ambito del citato atto, idonei a connotare negli specifici termini ritenuti il costituito ius in re aliena; ma al riguardo la motivazione risultava carente, limitandosi a dare per scontata e confermare quella equivalenza, espressa nell’endiadi “cortile – giardino” di cui alla decisione di primo grado, che avrebbe invece richiesto una specifica indagine sull’effettivo contenuto e sulla relativa portata dell’atto costitutivo.

Riassunto il giudizio, la Corte d’Appello di Milano quale giudice di rinvio, richiamando quanto statuito dal giudice di legittimità in punto di interpretazione della clausola dell’atto di acquisto, riteneva che l’appello fosse fondato, dovendosi escludere che l’abbattimento delle piante costituisse una violazione del vincolo scaturente dalla clausola contrattuale, non potendosi nemmeno invocare la pretesa illegittimità amministrativa della condotta della convenuta, in quanto la doglianza in tali termini formulata non era stata oggetto di riproposizione in sede di appello.

Reputava però che non potesse essere accolta la domanda di restituzione delle somme versate dalla convenuta in esecuzione della sentenza di prime cure in quanto rimasta priva di prova, non avendo la parte ridepositato il fascicolo di parte, contenente i giustificativi dei pagamenti, all’atto del deposito della comparsa conclusionale in data 27 luglio 2015, ma solo successivamente in data 15 settembre 2015, in occasione del deposito della memoria di replica.

Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso l’Immobiliare Galdino S.a.s. di A.Q. & C. sulla base di cinque motivi.

La società intimata non ha svolto difese in questa fase.

Con il primo motivo del ricorso si denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 169 c.p.c., laddove i giudici di merito hanno ritenuto che non fosse stata offerta la prova dei pagamenti fatti dalla ricorrente in esecuzione della sentenza di primo grado in quanto il fascicolo di parte, contenente i documenti attestanti tali pagamenti, era stato tardivamente depositato solo in occasione della scadenza del termine per le memorie di replica, e non anche unitamente alle comparse conclusionali.

Assume la ricorrente che la norma di cui alla rubrica del motivo avrebbe carattere programmatico e che quindi non disciplinerebbe un termine perentorio.

Inoltre la controparte non ha sollevato alcuna eccezione al riguardo, ma anche ammesso che il termine de quo sia perentorio, non si era considerato che la causa era stata rimessa all’udienza istruttoria del 22/12/2015 per consentire alle parti di precisare nuovamente le conclusioni, sicchè al momento di tale seconda rimessione della causa in decisione, il fascicolo della ricorrente era stato ridepositato ed era quindi a disposizione dei giudici di rinvio.

Il secondo motivo denuncia la violazione dell’art. 336 c.p.c. in quanto la pronuncia di rigetto si pone in contrasto con il principio dell’effetto espansivo determinato dalla cassazione della precedente sentenza della Corte d’Appello, negando quindi la necessità di assicurare gli effetti restitutori derivanti dalla cassazione della sentenza del giudice di merito.

Il terzo motivo lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., posto che la controparte non aveva mai contestato la ricezione dei pagamenti per i quali era stata avanzata la domanda di ripetizione, potendosi quindi ritenere provato anche il loro ammontare.

Il quarto motivo denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 278 c.p.c., in quanto, anche laddove si fosse reputata assente la documentazione giustificativa della domanda di ripetizione, in ogni caso i giudici del rinvio avrebbero potuto adottare una sentenza di condanna generica.

Il quinto motivo, infine denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., in quanto pur essendo state poste le spese di lite a carico della controparte, la sentenza gravata ha omesso di statuire sulle spese di CTU, che invece il Tribunale aveva posto a carico della ricorrente, nonchè sulle somme versate a titolo di contributo unificato.

Reputa il Collegio che il primo motivo di ricorso sia fondato, e che dal suo accoglimento discenda per conseguenza l’assorbimento dei restanti motivi di ricorso.

I giudici di rinvio hanno rigettato la domanda di restituzione delle somme versate in esecuzione della sentenza di primo grado per carenza di prova, sull’assunto che il fascicolo di parte ricorrente fosse stato tardivamente ridepositato, alla scadenza del termine per le memorie di replica, anzichè alla data prevista per il deposito della comparsa conclusionale, facendo applicazione di quanto affermato da Cass. n. 10741/2015, che ha appunto statuito che il giudice che accerti che una parte ha ritualmente ritirato, ex art. 169 c.p.c., il proprio fascicolo, senza che poi risulti, al momento della decisione, nuovamente depositato o reperibile, non è tenuto, in difetto di annotazioni della cancelleria e di ulteriori allegazioni indiziarie attinenti a fatti che impongano accertamenti presso quest’ultima, a rimettere la causa sul ruolo per consentire alla medesima parte di ovviare alla carenza riscontrata, ma ha il dovere di decidere la controversia allo stato degli atti.

Orbene, e premesso che alla fattispecie ratione temporis (trattandosi di giudizio introdotto in primo grado in data 18 gennaio 1990), trovavano applicazione le previsioni di rito nella formulazione anteriore alla novella di cui alla L. n. 353 del 1990, per la quale si richiama quanto statuito da Cass. n. 4022/2003, a mente della quale il termine da osservare per la restituzione in cancelleria del fascicolo di parte ritirato all’atto della rimessione della causa al collegio a norma dell’art. 189 c.p.c., secondo le regole anteriori alla novella al codice di rito del 1990, è stabilito dall’art. 169 c.p.c., comma 2, “al più tardi al momento del deposito della comparsa conclusionale”, vale a dire “quattro giorni prima dell’udienza che il giudice istruttore ha fissato per la discussione”, come precisato dall’art. 111 disp. att. c.p.c., comma 1, , nel disporre in ordine all’inserimento delle comparse nel fascicolo di parte, non trovando quindi applicazione per il deposito del fascicolo di parte e delle stesse comparse, se già comunicate, il diverso termine di dieci giorni liberi prima dell’udienza collegiale fissato dall’art. 190 c.p.c., comma 2, nel testo previgente, per lo scambio delle comparse conclusionali, la correttezza della decisione risulta tuttavia inficiata dalla mancata considerazione che la causa era stata rimessa in istruttoria per una nuova udienza di precisazione delle conclusioni.

Ed, invero, sebbene la più recente giurisprudenza di questa Corte abbia optato per la natura perentoria del termine previsto per il deposito della produzione di parte (cfr. Cass. n. 28462/2013, secondo cui il termine entro il quale – a norma dell’art. 169 c.p.c., comma 2, – deve avvenire il deposito del fascicolo di parte, ritirato all’atto della rimessione della causa al collegio, è perentorio), si è altresì precisato che la sua inosservanza produce effetti limitati alla decisione del giudice di prime cure, sicchè il deposito del fascicolo nel giudizio di appello non costituisce introduzione di nuove prove documentali, sempre che i documenti contenuti nel fascicolo siano stati prodotti, nel giudizio di primo grado, nell’osservanza delle preclusioni probatorie risultanti dagli artt. 165 e 166 c.p.c. (conf. Cass. n. 29309/2017).

Ad analoghe conclusioni deve poi pervenirsi nel caso in cui, il giudice, che inizialmente si sia riservato la causa in decisione, ritenga necessario rimetterla in istruttoria, ancorchè al solo fine di far nuovamente precisare le conclusioni, poichè per tale ipotesi, si instaura un nuovo subprocedimento di rimessione della causa in decisione, per il quale tornano nuovamente ad operare le modalità procedurali di cui all’art. 190 c.p.c..

Nel caso in esame, come si rileva dalla stessa narrazione dei fatti di causa operata in sentenza, le parti precisarono le conclusioni una prima volta in data 26/5/2015 e poi successivamente (e quindi dopo la scadenza dei termini in relazione ai quali è stata ravvista la tardività della produzione del fascicolo di parte) all’udienza del 22 dicembre 2015, essendosi addivenuti a tale seconda udienza per l’intervenuta modifica del collegio giudicante (cfr. pag. 6).

Ancorchè le parti, come sembra, abbiano inteso rinunciare alla nuova concessione dei termini di cui all’art. 190 c.p.c., resta fermo che però in occasione della seconda udienza di precisazione delle conclusioni il fascicolo di parte appellante era stato già ridepositato (la sentenza dà atto che tale produzione è stata ridepositata in data 15/9/2015 con le memorie di replica), sicchè non poteva più reputarsi attuale quella valutazione di tardività compiuta con riferimento ad un procedimento di rimessione della causa in decisione, che era stato ormai superato dalla celebrazione di una nuova udienza di conclusioni, dovendo quindi il giudice di merito tenere conto anche dei documenti ivi inclusi.

La sentenza impugnata deve quindi essere cassata con assorbimento, per effetto dell’accoglimento del primo motivo, degli altri motivi proposti.

Il giudice del rinvio che si designa in una diversa sezione della Corte d’Appello di Milano, provvederà anche sulle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

Accoglie il primo motivo di ricorso, ed assorbiti i restanti, cassa la sentenza impugnata con rinvio, anche per le spese del presente giudizio, ad altra Sezione della Corte d’Appello di Milano.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 5 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 18 luglio 2019

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA