Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19423 del 03/08/2017


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Cassazione civile, sez. I, 03/08/2017, (ud. 30/03/2017, dep.03/08/2017),  n. 19423

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI PALMA Salvatore – Presidente –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna Concetta – Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – rel. Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 24787/2013 proposto da:

G.R.G.F., (c.f. (OMISSIS)), domiciliato

in Roma, Piazza Cavour, presso la Cancelleria Civile della Corte di

Cassazione, rappresentato e difeso dall’avvocato Ferraris Anna,

giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Banco di Desio e della Brianza S.p.a., in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in Roma, Via

A. Torlonia n.33, presso l’avvocato Gargiuli Cristiana,

rappresentato e difeso dall’avvocato Accarino Pio, giusta procura in

calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1348/2013 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 27/03/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

30/03/2017 dal cons. VALITUTTI ANTONIO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CERONI Francesca, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito, per il ricorrente, l’Avvocato Anna Ferraris che si riporta.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Il dott. G.R.G.F. conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di Milano, la Banca di Desio e della Brianza s.p.a., chiedendo la condanna al risarcimento dei danni per l’illegittima diffusione, nel suo ambito familiare, e per la successiva segnalazione al sistema informativo creditizio (CRIF) dei dati relativi alla sua posizione debitoria nei confronti dell’istituto di credito convenuto. Il Tribunale adito, con sentenza n. 583/2011, rigettava la domanda.

2. La Corte di Appello di Milano, con sentenza n. 1348/2013, depositata il 27 marzo 2013, rigettava l’appello proposto dal G.. La Corte territoriale riteneva, invero, che nel comportamento dell’istituto di credito – concretatosi nell’invio di terzi (due società di recupero crediti) presso la casa dei genitori del G., nelle telefonate effettuate presso la loro utenza, e nell’invio alla medesima utenza di un fax di sollecito al pagamento di quanto dovuto dal G. alla banca – non fosse ravvisabile una violazione dei principi di correttezza e di liceità, ai sensi del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 11, comma 1, lett. a), e art. 154, comma 1, lett. c). E ciò, in quanto la banca aveva fatto uso dei dati forniti dallo stesso cliente e contenuti nel contratto di finanziamento da questi sottoscritto, sicchè non sarebbe risultata provata in atti la connessione causale tra il trattamento dei dati operato dall’istituto di credito ed i danni lamentati dal G..

3. Per la cassazione di tale sentenza ha, quindi, proposto ricorso G.R.G.F. nei confronti della Banca di Desio e della Brianza s.p.a., affidato a tre motivi, illustrati con memoria ex art. 378 c.p.c.. La resistente ha replicato con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con i tre motivi di ricorso, che – per la loro evidente connessione – vanno esaminati congiuntamente, G.R.G.F. denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, artt. 11, 12, 15 e 154, art. 112 c.p.c., artt. 2697,2050,1226 e 2056 c.c., artt. 2,3, e 29 Cost., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

1.1. Si duole il ricorrente del fatto che la Corte d’appello, confermando la decisione di prime cure, abbia erroneamente ritenuto che l’azione proposta in giudizio dal G. – diretta ad ottenere il risarcimento dei danni per l’illegittima diffusione, nel suo ambito familiare, e per la successiva segnalazione al sistema informativo creditizio (CRIF) dei dati relativi alla sua posizione debitoria nei confronti della Banca di Desio e della Brianza s.p.a. – fosse inquadrabile nell’azione contrattuale, laddove l’istante avrebbe inteso proporre un’azione di responsabilità extracontrattuale, ai sensi del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, art. 15. La Corte territoriale avrebbe, invero, erroneamente escluso che nel comportamento dell’istituto di credito – concretatosi nell’invio di terzi (società di recupero crediti) presso la casa dei genitori del G., nelle telefonate effettuate presso la loro utenza e nell’invio alla medesima utenza di un fax di sollecito al pagamento di quanto dovuto dal G. alla banca – non fosse ravvisabile una violazione dei principi di correttezza e di liceità, ai sensi del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 11, comma 1, lett. a), e art. 154,comma 1, lett. c).

1.2. Da siffatta erronea qualificazione dell’azione esperita in giudizio dall’odierno ricorrente, sarebbe derivato, poi, che in modo del tutto incongruo, ed in contrasto con quanto prescrive l’art. 2050 c.c., richiamato dal D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 15, la Corte d’appello avrebbe applicato, nella fattispecie concreta, il disposto dell’art. 2697 c.c., onerando il G. dell’onere di provare – non soltanto di avere puntualmente adempiuto le obbligazioni scaturenti dal contratto a suo tempo sottoscritto con la banca – ma anche la sussistenza del credito azionato nei confronti dell’istituto di credito.

2. Le censure sono infondate.

2.1. Va difatti osservato, in proposito, che in tema di trattamento dei dati personali, i dati oggetto di trattamento, ai sensi del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, artt. 4e 11, vanno gestiti rispettando i canoni della correttezza, pertinenza e non eccedenza, rispetto alle finalità del nuovo loro utilizzo, ma non è necessario, ai sensi del D.Lgs. n. 196 cit., art. 24, il consenso dell’interessato ove i dati stessi siano impiegati per le esigenze di difesa delle proprie situazioni soggettive e negli stretti limiti in cui ciò sia necessario (Cass. Sez. U. 08/02/2011, n. 3033). Soltanto l’inesatto trattamento dei dati consente, invero, di invocare, presso la competente autorità di garanzia, la tutela apprestata dalla legge, il cui disegno è funzionale alla difesa della persona e dei suoi fondamentali diritti e tende ad impedire che l’uso, astrattamente legittimo, del dato personale avvenga con modalità tali da renderlo lesivo di quei diritti (Cass. 08/07/2005, n. 14390).

2.2. Nel caso di specie, è del tutto evidente che l’istituto di credito ha utilizzato i dati del cliente per esigenze strettamente di realizzazione delle proprie ragioni creditorie, utilizzando peraltro – come si evince dalla sentenza di appello – al fine si sollecitare il pagamento di quanto dovuto, il domicilio dei genitori del G. e come recapito telefonico l’utenza in uso ai medesimi, indicati nello stesso contratto di finanziamento stipulato dal ricorrente. Tanto si desume, peraltro, anche dalla raccomandata della banca in data 4 febbraio 2008, trascritta nel ricorso, dalla quale risulta che le due società di recupero crediti si erano recate più volte presso il domicilio “indicato e comunicato per iscritto nel contratto (via (OMISSIS))”, ed avevano, altresì, sollecitato il pagamento telefonando al numero del pari “indicato e comunicato per iscritto nel contratto”.

Non può, di conseguenza, ritenersi che, nella specie, vi sia stato un uso illecito dei dati personali del cliente da parte della banca, in violazione del diritto alla privacy del medesimo e del suo nucleo familiare che, tra l’altro, considerata l’unicità di domicilio e di utenza telefonica, non avrebbe potuto non venire a conoscenza della situazione debitoria del G.. Tanto più che il pagamento delle rate del finanziamento de quo era stato effettuato dalla società di famiglia, della quale il padre del ricorrente era socio (pp. 2 e 3 del ricorso). Rimasti vani tutti i tentativi di ottenere il pagamento delle somme dovute, la trasmissione della segnalazione al CRIF, da parte della banca, si era resa, pertanto, inevitabile.

2.3. Quanto all’onere della prova, è bensì vero che, alla stregua del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 15, e art. 2050 c.c., su colui che agisce per l’abusiva utilizzazione dei suoi dati personali incombe soltanto – seppure in via preliminare rispetto alla prova, da parte del danneggiante della mancanza di colpa – l’onere di provare il danno subito, siccome riferibile al trattamento del suo dato personale (Cass. 23/05/2016, n. 10638). E tuttavia, nel caso concreto tale prova deve ritenersi sia del tutto mancata, atteso il rilevato uso, da parte dell’istituto di credito, dei dati personali del G. per finalità del tutto lecite, come tali improduttive di danni risarcibili.

Nè l’istante ha riprodotto nel ricorso – nel rispetto del principio di autosufficienza (art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4) – le prove che assume non essere state ammesse dal giudice di appello, onde consentire alla Corte di valutarne, sulla base del solo ricorso, la concludenza e la decisività ((cfr., ex plurimis, Cass. 30/7/2010, n. 17915; Cass. 31/7/2012, n. 13677; Cass. 3/1/2014, n. 48).

2.4. Le doglianze non possono, pertanto, trovare accoglimento.

3. Per le ragioni suesposte, il ricorso deve, di conseguenza, essere integralmente rigettato, con condanna del ricorrente alle spese del presente giudizio, nella misura di cui in dispositivo.

PQM

 

rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente, in favore della controricorrente, alle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 8.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 30 marzo 2017.

Depositato in Cancelleria il 3 agosto 2017

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