Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19421 del 18/07/2019

Cassazione civile sez. VI, 18/07/2019, (ud. 05/04/2019, dep. 18/07/2019), n.19421

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17379-2017 proposto da:

C.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA OSLAVIA 6,

presso lo studio dell’avvocato PIERLUIGI ACQUARELLI, che lo

rappresenta e difende giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

C.O., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE DELLE

MILIZIE 38, presso lo studio dell’avvocato MASSIMO BOGGIA, che la

rappresenta e difende giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1651/2017 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 10/03/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

05/04/2019 dal Consigliere Dott. CRISCUOLO MAURO;

Lette le memorie del ricorrente.

Fatto

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE

C.O. proponeva appello avverso la sentenza del Tribunale di Roma n. 13463/2010 con la quale era stata sciolta la comunione ereditaria con il fratello C.G., prevedendosi la condanna dell’appellante al pagamento di un conguaglio in favore del germano.

Assumeva che la sentenza era affetta da errore ovvero presentava un contrasto tra motivazione e dispositivo, in quanto in realtà era la controparte a dover versarle un conguaglio al fine di perequare il minor valore della quota in natura assegnatale.

La Corte d’Appello di Roma con la sentenza n. 1651 del 10/3/2017 accoglieva l’appello principale e rigettava l’appello incidentale di C.G..

Quanto al gravame principale rilevava che effettivamente non ricorreva alcun contrasto tra motivazione e dispositivo, ma che tuttavia era evidente l’errore nel quale era incorso il giudice di prime cure che, nel dividere una massa ereditaria composta di tre immobili, aveva assegnato il locale commerciale a Giorgio C., bene che era di valore superiore all’ammontare della quota ideale, con la conseguenza che il conguaglio andava effettivamente posto a carico dell’appellato.

Quanto invece all’appello incidentale, con il quale si intendeva contestare la misura del conguaglio, la sentenza riteneva che il parametro di cui si era avvalso il Tribunale per la stima dei beni (Listino ufficiale della Borsa immobiliare di Roma), appariva, quanto all’appartamento attribuito all’appellante, più attendibile, in quanto la stima era stata compiuta dall’ausiliario d’ufficio tenendo conto del fatto che si trattava di immobile accatastato come abitazione di tipo popolare e che versava in un non buono stato di manutenzione.

Quanto alla rendita assegnata al locale attribuito all’appellante incidentale, la decisione di appello riteneva corretto il metodo sintetico comparativo seguito dall’ausiliario avvalendosi del citato Listino, trattandosi altresì di stima che teneva conto delle attuali condizioni manutentive del bene e delle condizioni economiche del contratto di locazione.

Circa infine la deduzione in merito alle potenzialità del giardino accorpato all’appartamento assegnato alla appellante principale, che a detta del C. poteva essere utilizzato realizzando un’area di parcheggio interrata, la sentenza d’appello rilevava che la deduzione era rimasta priva di adeguata dimostrazione, avendo al contrario il CTU tenuto conto dell’incremento di valore dell’appartamento arrecato proprio dalla presenza del giardino.

Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso C.G. sulla base di un motivo.

C.O. ha resistito con controricorso.

Con un unico motivo di ricorso si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 726 c.c. nella parte in cui i giudici di merito per decidere la controversia e determinare il valore dei beni caduti in successione non hanno tenuto conto dell’unico parametro effettivamente legato al valore venale, escludendo ogni incidenza quanto allo sfruttamento economico del giardino pertinenziale come area di parcheggio.

Deduce il ricorrente che in realtà l’unico valido parametro di stima per gli immobili è quello rappresentato dall’OMI che costituisce una banca dati realizzata dalla PA e che quindi risulta particolarmente attendibile.

Quanto infine alla mancata valutazione delle potenzialità del giardino, si richiama la possibilità di realizzazione di parcheggi ai sensi della L. n. 122 del 1989, essendosi trascurate le precise indicazioni fornite dal proprio perito di parte.

Il motivo è infondato.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. n. 23496/2006) in materia di divisione ereditaria, la stima dei beni per la formazione delle quote va compiuta con riferimento al loro valore venale, essendosi altresì precisato che (Cass. n. 5222/1978) la scelta del criterio tecnico da utilizzare in ciascuna fattispecie per determinare il valore venale dei beni che formano oggetto della divisione, con riguardo alla natura, ubicazione, consistenza e alla possibile utilizzazione di ciascun bene, tenuto conto anche delle condizioni di mercato, rientra nell’esclusivo potere di valutazione riservato al giudice del merito e non è quindi sindacabile in sede di legittimità.

Già l’adesione a questi principi denoterebbe l’inammissibilità del motivo di ricorso, in quanto lo stesso mira nella sostanza a contestare la valutazione in fatto, connotata peraltro da motivazione logica e coerente, compiuta dal giudice di merito in ordine ai corretti criteri in base ai quali operare la stima dei beni comuni.

Ma proprio con specifico riferimento ai cc.dd. valori OMI, vale ricordare che la stessa giurisprudenza tributaria (trattandosi di banca dati nata essenzialmente per esigenze di carattere tributario) ha affermato (Cass. n. 25707/2015) che le quotazioni OMI, risultanti dal sito web dell’Agenzia delle Entrate, ove sono gratuitamente e liberamente consultabili, non costituiscono fonte tipica di prova ma strumento di ausilio ed indirizzo per l’esercizio della potestà di valutazione estimativa, sicchè, quali nozioni di fatto che rientrano nella comune esperienza, utilizzabili dal giudice ai sensi dell’art. 115 c.p.c., comma 2, sono idonee solamente a “condurre ad indicazioni di valori di larga massima”.

La sentenza gravata ha appunto fatto corretta applicazione dei principi sinora esposti, avendo non già aprioristicamente rifiutato di considerare gli elementi offerti dall’archivio OMI, ma avendo piuttosto riscontrato la loro non applicabilità alla fattispecie, secondo i valori suggeriti dal ricorrente, tenuto conto delle peculiari condizioni dei beni (condizioni di manutenzione) e della loro natura (quale evincibile dai dati catastali), per quanto concerne l’appartamento, e reputando inoltre maggiormente affidabili i diversi criteri suggeriti dall’ausiliario d’ufficio (per quanto concerne il locale adibito a bar), tenuto conto della sua attuale condizione manutentiva (trattasi di locale di recente ristrutturato e funzionale all’attività ivi esercitata) e di quanto era dato ricavare dall’entità del canone ritraibile dal bene, sulla base del contratto in virtù del quale era concesso in locazione.

La critica mossa dal ricorrente mira quindi, e con evidenza, a contrastare, e peraltro in maniera inammissibile, un accertamento in fatto compiuto dal giudice di merito, attività questa che non è consentita in sede di legittimità.

Quanto invece all’omessa ponderazione delle potenzialità del giardino, suscettibile a dire del ricorrente di sfruttamento anche ai sensi della L. n. 122 del 1989, valga osservare che anche in tal caso, a fronte di un accertamento in fatto operato dal giudice di appello, che ha ritenuto che mancava un’adeguata allegazione, anche di carattere tecnico, circa la fattibilità di un parcheggio interrato (reputando quindi adeguato l’incremento di valore dell’appartamento del quale il giardino era pertinenza), il ricorrente si limita a sollecitare l’espletamento di una CTU, laddove le stesse osservazioni del proprio consulente di parte (che è dato leggere tra i documenti prodotti nel fascicolo presentato unitamente al ricorso) si limitano a richiamare il testo della L. n. 122 del 1989, art. 9 senza in alcun modo fornire elementi per reputare fattibile dal punto di vista tecnico, e tenuto conto delle effettive dimensioni dell’area, un progetto di sfruttamento ai sensi della norma richiamata.

Ne consegue che anche su tale punto il ricorso mira unicamente ad una rivisitazione dei fatti di causa, aspirando quindi a trasformare il giudizio di legittimità in un giudizio di merito di terza istanza.

Il ricorso deve pertanto essere rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto al testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a (-quello dovuto per la stessa impugnazione.

PQM

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese in favore della controricorrente che liquida in complessivi Euro 4.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali pari al 15 % sui compensi, ed accessori come per legge;

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente del contributo unificato dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, art. 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 5 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 18 luglio 2019

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