Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19420 del 22/08/2013


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Civile Sent. Sez. L Num. 19420 Anno 2013
Presidente: VIDIRI GUIDO
Relatore: TRIA LUCIA

SENTENZA
sul ricorso 12692-2011 proposto da:
– I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA
SOCIALE

80078750587,

in

persona

del

legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato
in ROMA, VIA DELLA FREZZA 17, presso l’Avvocatura
Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli
2013
161?

avvocati SGROI ANTONINO, D’ALOISIO CARLA, MARITATO
LELIO, giusta delega in atti;
– ricorrente contro

VAIRA MARIA GIUSEPPA VRAMGS29B50F631M, elettivamente

Data pubblicazione: 22/08/2013

domiciliata in ROMA, VIALE MAllINI
presso

lo

rappresentata

e

difesa

B INT.

2,

ENZO

AUGUSTO,

dall’avvocato

GENTILE

dell’avvocato

studio

73 SC.

PASQUALE, giusta delega in atti;
– controricorrente

186/2011 della CORTE D’APPELLO

di BARI, depositata il 02/02/2011 R.G.N. 3877/2008;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del

08/05/2013

dal Consigliere Dott. LUCIA

TRIA;
udito l’Avvocato SGROI ANTONINO;
udito l’Avvocato GENTILE PASQUALE;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. GIULIO ROMANO che ha concluso per
l’accoglimento del ricorso.

avverso la sentenza n.

Udienza dell’8 maggio 2013 — Aula B
n. 16 del ruolo — RG n. 12692/11
Presidente: Vidiri – Relatore: Tria

1.— La sentenza attualmente impugnata — in accoglimento dell’appello proposto da Maria
Giuseppa Vaira avverso la sentenza del Tribunale di Foggia del 26 settembre 2007 e in riforma di
detta sentenza — condanna l’INPS al pagamento, in favore della Vaira, “della somma di euro
36.489,27, oltre interessi e danno da svalutazione monetaria, nella misura corrispondente alla
differenza tra il tasso del rendimento medio annuo dei titoli di Stato di durata non superiore a 12
mesi e il saggio annuo degli interessi legali, dalla data del pagamento dei contributi indebiti fino al
soddisfo”.
La Corte d’appello di Bari, per quel che qui interessa, precisa che:
a) la prima censura formulata dall’INPS — secondo cui ove l’Istituto abbia applicato
agevolazioni contributive secondo misure stabilite per legge nulla può essere chiesto in restituzione,
permanendo comunque l’obbligo contributivo — è da considerare inammissibile perché non
formulata attraverso la precisa indicazione dei fatti di causa e delle ragioni di diritto (come è
accaduto in altra analoga controversia);
b) in ogni caso il richiamo dell’Istituto all’art. 9 della legge n. 67 del 1988 non è pertinente
perché tale disposizione riguarda le agevolazioni contributive parziali previste in favore dei datori
di lavoro agricolo operanti nei territori montani di cui all’art. 9 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 601
e nelle zone svantaggiate, delimitate ai sensi dell’art. 15 della legge 27 dicembre 1977, n. 984;
c) nella specie, invece, si controverte in merito all’esenzione totale dei contributi prevista per i
territori montani ai sensi dell’art. 3 della legge n. 1102 del 1971, come sostituito dall’art. 29 della
legge n. 142 del 1990, in materia di Comunità montane;
d) infondata è, poi, la seconda censura dell’INPS — secondo la quale mancherebbe la prova
che il Comune di Mattinata sia un comune montano ai sensi delle leggi n. 97 del 1994 e n. 991 del
1952 — in quanto agli atti vi è la certificazione rilasciata dall’Ispettorato dipartimentale delle foreste
di Foggia, attestante che Mattinata è un comune montano ai sensi della legge n. 991 del 1952;
e) inoltre l’interessata ha anche esibito documentazione da cui risulta che Mattinata è un
comune totalmente delimitato, ai sensi dell’art. 3, paragrafo 3, della direttiva 268/75/CEE;

I) a quel che si è detto consegue che il credito vantato dalla Vaina è sussistente;
g) per gli accessori, sulla base della giurisprudenza di legittimità, si deve affermare che
l’Istituto era in mala fede al momento della ricezione dei contributi in oggetto, visto che detti
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

contributi si riferiscono al periodo 1994-2003, ampiamente successivo alla pubblicazione della
sentenza della Corte costituzionale n. 370 del 1985 (richiamata nel ricorso introduttivo del presente
giudizio);
h) gli interessi sono quindi dovuti per l’intero periodo suindicato;
i) la svalutazione monetaria può essere liquidata nella suindicata misura determinata in
applicazione di quanto affermato da Cass. SU n. 19499 del 2009 (recte: 2008 n.d.r.).

3.—La causa è stata chiamata all’udienza del 14 giugno 2012, nella quale il Collegio — con
ordinanza interlocutoria n. 10341 del 21 giugno 2012 — ha disposto il rinvio a nuovo ruolo, data
“l’opportunità di acquisire una relazione del Massimario, sul coordinamento sistematico delle
norme sugli sgravi contributivi in questione, che tenga conto delle disposizioni richiamate nella
presente fattispecie, e in considerazione della confermata vigenza dell’art.8 della legge n. 991 del
25 luglio 1952 (cfr. d.lgs. n. 179 del 1° dicembre 2009 — Supplemento ordinario G.U. n 237 del
2009) e delle altre disposizioni nel frattempo intervenute”.
Di qui la successiva fissazione dell’udienza odierna, per la quale entrambe le parti hanno
depositato memorie ex art. 378 cod. proc. civ., nelle quali hanno approfondito questione relativa
all’efficacia del d.lgs. n. 179 del 2009 sulla persistente vigenza dell’art. 8 della legge n. 991 del
1952, pervenendo ad opposte conclusioni.
MOTIVI DELLA DECISIONE

I — Sintesi dei motivi di ricorso
1.—Con il primo motivo si denunciano: a) in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ.,
violazione e falsa applicazione dell’art. 436 cod. proc. civ.; b) in relazione all’art. 360, n. 5, cod.
proc. civ., vizio di motivazione.
Si contesta la dichiarazione di inammissibilità della prima “censura” formulata dall’INPS in
appello, sul rilievo secondo cui essendo l’Istituto appellato, integralmente vincitore in primo grado,
nella propria memoria difensiva non poteva formulare alcuna censura ma doveva limitarsi a
confutare le tesi dell’appellante, evidenziando l’erroneità della ricostruzione del quadro normativo
di riferimento effettuata dall’appellante, come è avvenuto.
2.—Con il secondo motivo si denunciano: a) in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ.,
violazione e falsa applicazione dell’art. 15 delle Preleggi, in connessione con l’art. 8 della legge 25
luglio 1952, n. 991 e con l’art. 9 della legge 11 marzo 1988, n. 67 e successive modificazioni e
integrazioni; b) in relazione all’art. 360, n. 5, cod. proc. civ., vizio di motivazione.
Si sottolinea che la questione centrale della presente controversia è rappresentata dalla
applicabilità, in favore della Vaira e in riferimento al periodo contributivo 1994-2004 dello sgravio
contributivo totale (previsto dall’art. 8 della legge n. 991 del 1952) per i datori di lavoro che
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2.—Il ricorso dell’INPS domanda la cassazione della sentenza per quattro motivi; resiste, con
controricorso, Maria Giuseppa Vaira.

operano in territori montani ovvero dello sgravio contributivo parziale di cui all’art. 9, comma 5,
della legge n. 67 del 1988, anch’esso previsto in favore dei datori di lavoro agricoli che operano in
territori montani, in conseguenza dell’abrogazione dell’art. 8 cit. da parte della indicata legge n. 67
del 1988.

Si sostiene che la Corte barese, nell’accogliere integralmente la domanda proposta dalla
Vaira, non ha considerato che l’INPS aveva provato documentalmente che, diversamente da quanto
risultava dal decreto ingiuntivo opposto, il versamento della contribuzione in oggetto riguardava il
periodo più limitato 1998-2004 e non il periodo 1994-2004, non avendo la Vaira versato alcuna
contribuzione prima del 1998.
Tale asserzione dell’Istituto non era stata contestata dalla controparte e di ciò la Corte
territoriale non ha tenuto conto, limitandosi ad effettuare una motivazione per relationem ad una
propria precedente sentenza, riguardante la medesima questione, introdotta però su appello
dell’INPS.
4.—Con il quarto motivo si denunciano: a) in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ.,
violazione e falsa applicazione dell’art. 2033 cod. civ.; b) in relazione all’art. 360, n. 5, cod. proc.
civ., vizio di motivazione.
Si contesta l’affermazione della Corte barese secondo cui l’Istituto avrebbe riscosso i
contributi in oggetto in mala fede, rilevandosi che i versamenti sono stati effettuati dalla Vaira “nel
periodo 1994-2004” in base alla legge, mentre la richiesta di fruizione dello sgravio totale è del
giugno 2004 e con essa sono stati domandati anche gli oneri accessori, con decorrenza dal momento
iniziale del pagamento dei contributi prima ancora dell’accertamento da parte dell’INPS della
sussistenza dei requisiti previsti dalla legge per la fruizione dello sgravio totale medesimo.
III — Esame delle censure
5.- Deve essere esaminato per primo, in ordine logico, il secondo motivo, nel quale — come
afferma anche l’Istituto ricorrente — viene affrontata la questione centrale della presente
controversia, rappresentata dalla determinazione del tipo di sgravio da applicare in favore della
Vaira e in riferimento al periodo contributivo di cui si tratta: se, cioè, sia applicabile lo sgravio
contributivo totale (previsto dall’art. 8 della legge n. 991 del 1952) per i datori di lavoro che
operano in territori montani o se, invece„ in conseguenza dell’abrogazione dell’art. 8 cit. da parte
della legge n. 67 del 1988, sia applicabile lo sgravio contributivo parziale di cui all’art. 9, comma 5,
della stessa legge n. 67 del 1988, anch’esso previsto in favore dei datori di lavoro agricoli che
operano in territori montani.
Il motivo è fondato, per le ragioni di seguito esposte.
5.1.- Per una migliore comprensione della suddetta questione appare opportuno effettuare una
ricostruzione del quadro normativo e della giurisprudenza costituzionale di riferimento in materia di
3

3.—Con il terzo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, n. 4, cod. proc. civ., violazione e
falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ.

5.2.— Fatte queste premesse, i principali passaggi dell’evoluzione della normativa e della
giurisprudenza nella materia qui considerata, tenendo conto anche della acquisita relazione del
Massimario di questa Corte, possono essere ricostruiti, come segue:
1) d.lgs. 27 giugno 1946, n. 98 — ratificato dall’art. unico della legge 28 dicembre 1952, n.
4437 e poi abrogato dall’art. 2 del d.l. 22 dicembre 2008, n. 200, convertito dalla legge 18 febbraio
2009, n. 9 — il cui articolo unico, per primo, conteneva il riferimento all’altitudine di 700 metri
s.l.m., esentando dall’imposta sui terreni e da quella sul reddito agrario i comuni il cui centro abitato
fosse situato ad un’altitudine non inferiore alla suindicata altitudine;
2) d.lgs.C.p.S. 7 gennaio 1947, n. 12 — anch’esso abrogato dall’art. 2 del d.l. n. 200 del 2008
cit. — il quale, modificando la norma sopra richiamata, concesse l’esenzione dalle menzionate
imposte a tutti i terreni siti a quota non inferiore ai 700 metri, estendendola, a domanda, anche a
quelli che si trovassero solo in parte a detta altitudine;
3) legge 25 luglio 1952, n. 991, che provvide alla prima disciplina organica in materia di
“territori montani”, procedendo (all’art. 1, poi abrogato dall’art. 29 delle legge 8 giugno 1990, n.
142) ad una più precisa e diversa determinazione di tali territori, non legata al mero dato altimetrico,
dal quale si stabilì che potesse addirittura del tutto prescindersi, essendo stata attribuita alla
Commissione censuaria centrale la facoltà di includere nell’elenco dei comuni considerati territori
montani, quelli, o porzione di quelli, “anche non limitrofi ai precedenti, i quali, pur non trovandosi
nelle condizioni di cui al primo comma del presente articolo, presentino pari condizioni economicoagrarie”;
4) l’art. 8 della legge stessa (rubricato: “Agevolazioni fiscali”) estendeva le agevolazioni
fiscali previste dal d.lgs.C.p.S. n. 12 del 1947 ai territori montani così individuati “con le stesse
4

esonero dal pagamento dei contributi agricoli in favore delle imprese ubicate in zone montane, con
le seguenti avvertenze: a) tale normativa di favore trova il suo fondamentale riferimento nell’art.
44, secondo comma, Cost., secondo cui “la legge dispone provvedimenti a favore delle zone
montane”; b) in ambito giuridico non si rinviene una unica e generale definizione di “zone
montane” e/o di “territori montani”, perché, nel diritto interno, tale definizione muta a seconda delle
finalità perseguite dal legislatore, mentre la definizione di “montagna” adottata nell’ordinamento
comunitario — ai sensi della direttiva 1975/268 e del regolamento n. 1698/2005 — non coincide con
quella propria della nostra legislazione nazionale, la quale, a sua volta, è diversa rispetto alle
definizioni adottate in altri Paesi della UE; c) l’esenzione dal pagamento dei contributi agricoli nei
territori montani originariamente è stata prevista come estensione delle analoghe esenzioni fiscali,
anche se con l’adozione di un criterio di individuazione dei territori di applicabilità del beneficio
contributivo più rigido di quello stabilito per il beneficio fiscale; d) il beneficio dell’esenzione
contributiva di cui si tratta nella presente controversia si riferisce ai contributi che l’imprenditore
agricolo è tenuto a versare per i propri lavoratori dipendenti, sicché esso si differenzia dai contributi
previdenziali dovuti dai coltivatori diretti, mezzadri e coloni, situazione disciplinata da una diversa
normativa di cui non si darà conto (su tale distinzione, vedi, per tutte: Cass. 24 ottobre 2000, n.
13981).

modalità” stabilite in tale ultimo d.lgs. e quindi con applicazione anche ai terreni che solo in parte
si trovassero ad una altitudine non inferiore ai 700 metri s.l.m.;

6) gli artt. 58 e 68 del d.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645 (Approvazione del testo unico delle
leggi sulle imposte dirette) hanno previsto una nuova normativa in materia di esenzione fiscale dei
terreni montani e di imposta sul reddito dominicale dei terreni, diversa da quella dettata dall’art. 8
della legge n. 991 del 1952, così tacitamente abrogando tale art 8, per la parte relativa alle
agevolazioni fiscali ivi contemplate (come affermato da Cass. 12 novembre 1977, n. 4909, sulla
quale vedi oltre);
7) la successiva legge 3 dicembre 1971, n. 1102, istitutiva delle Comunità montane, adottando
identici criteri di qualificazione – dopo aver proclamato all’art. 1 che la propria finalità era quella di
“promuovere, in attuazione degli artt. 44, ultimo comma, e 129 della Costituzione, la valorizzazione
delle zone montane, favorendo la partecipazione delle popolazioni, attraverso le Comunità
montane” – all’art. 3 (poi abrogato dall’art. 29, comma 7, lettera b, della legge n. 142 del 1990)
stabilì che “i territori montani sono quelli determinati in applicazione degli arti. 1, 14 e 15 della
legge 25 luglio 1952, n. 991, dell’articolo unico della legge 30 luglio 1957, n. 657 e dell’art. 2 della
legge regionale del Trentino-Alto Adige 8 febbraio 1956, n. 4” (tutte disposizioni che non
considerano l’altitudine di almeno 700 metri s.l.m. tra i requisiti sufficienti), soggiungendo, che “la
classifica dei territori montani predetti sarà valida a qualsiasi effetto di legge e di regolamento”;
8) Cass. 12 novembre 1977, n. 4909, intervenendo nella materia, stabilì che l’ari 12, quinto
comma, della legge n 1102 del 1971, secondo cui “le agevolazioni fiscali di cui all’art. 8 della legge
25 luglio 1952, n. 991,sono estese all’intero territorio montano”, comportava l’applicazione
dell’esenzione dei datori di lavoro dal pagamento dei contributi unificati per l’agricoltura “non solo
ai territori siti ad un’altitudine superiore a settecento metri sul livello del mare – che già
beneficiavano dell’esenzione a norma dello stesso articolo 8 – ma anche a quelli di altitudine
inferiore rientranti nella categoria descritta dall’ari 1 della stessa legge n 991. Infatti il citato
articolo 8 disponeva bensì anche le esenzioni dall’imposta sul reddito dominicale e dall’imposta sul
reddito agrario, ma queste sono state disciplinate nuovamente dagli artt. 58 e 68 del testo unico sulla
finanza locale, che hanno in tal modo parzialmente e tacitamente abrogato l’ari 8, potendo cosi
riferirsi l’ari 12 della legge n 1102 del 1971 alla sola, sopra nominata, esenzione del pagamento dei
contributi unificati”;
9) poco dopo l’art. 7, primo comma, del d.l. 23 dicembre 1977, n. 942, convertito in legge
dalla legge 27 febbraio 1978, n. 41, con norma interpretativa, stabilì che “dall’estensione delle
agevolazioni fiscali all’intero territorio montano, disposta dall’art. 12, ultimo comma, della legge 3
dicembre 1971, n. 1102, deve intendersi esclusa l’esenzione dal pagamento dei contributi agricoli
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5) lo stesso art. 8, introdusse, per la prima volta, l’esenzione dal pagamento dei contributi
agricoli unificati, tuttavia, per la relativa applicabilità adottò un criterio più rigido di quello stabilito
per le agevolazioni fiscali (attraverso il suddetto richiamo al d.lgs.C.p.S. n. 12 del 1947) perché
specificò che l’esenzione dal pagamento dei contributi unificati in agricoltura era limitata ai soli
“terreni situati a quota non inferiore ai 700 metri s.l.m.”, così adottando il solo criterio altimetrico di
identificazione;

10) il successivo art. 8 del d.l. cit. disponeva che, con decorrenza dal 1 gennaio 1978, “nei
territori montani di cui alla legge 25 luglio 1952, n. 991, e successive modificazioni ed integrazioni,
situati al di sotto dei 700 metri di altitudine, i contributi previdenziali ed assistenziali dovuti per i
lavoratori agricoli dipendenti sono ridotti del 40 per cento. Tale riduzione non si applica ai
contributi base dovuti per l’assicurazione generale obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia ed i
superstiti. A decorrere dalla data di cui al primo comma è abrogato l’art. 15, secondo comma, del
regio decreto 24 settembre 1940, n. 1949, e cessano di avere efficacia i provvedimenti agevolati
disposti in attuazione dell’articolo medesimo”;
11) la Corte costituzionale, con la sentenza n. 370 del 1985 – rilevando inadeguatezza
dell’adozione del solo criterio altimetrico per la determinazione del regime contributivo da
applicare nelle zone montane – ha dichiarato l’illegittimità costituzionale: a) degli artt. 8, legge 25
luglio 1952, n. 991 e 7, d.l. 23 dicembre 1977, n. 942 cit., “nelle parti in cui non prevedono
l’esenzione dal pagamento dei contributi unificati in agricoltura anche per i terreni compresi in
territori montani ubicati ad altitudine inferiore ai 700 metri sul livello del mare”; b) dell’art. 8 dello
stesso d.l. n. 942 del 1977, “in quanto si limita a ridurre del 40 per cento (a decorrere dal 1 gennaio
1978) l’entità dei contributi previdenziali ed assistenziali dovuti per i lavoratori agricoli dipendenti
nei territori montani siti a quota inferiore ai 700 metri, anziché prevedere l’esenzione totale dal
pagamento”;
12) con l’art. 9 della legge 11 marzo 1988, n. 67, sono state previste agevolazioni contributive
parziali in favore dei datori di lavoro agricolo operanti nei territori montani di cui all’art. 9 del
d.P.R. 29 settembre 1973, n. 601 e nelle zone svantaggiate, delimitate ai sensi dell’art. 15 della
legge 27 dicembre 1977, n. 984 (su tali agevolazioni si tornerà più avanti);
13) la stessa Corte costituzionale, con la successiva sentenza n. 254 del 1989, ha, invece,
dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 13, ultimo comma, decretolegge 29 luglio 1981, n. 402, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 settembre 1981, n. 537 e
dell’art. 9, punto 5, della legge 11 marzo 1988, n. 67, relativi al regime contributivo delle zone
agricole svantaggiate. La Corte costituzionale ha, in primo luogo, precisato che la precedente
sentenza n. 370 del 1985, non ha escluso che, nei terreni montani, la corresponsione dei contributi
possa essere contemplata, purché ciò avvenga senza un semplice collegamento al casuale criterio
altimetrico. Quindi ha sottolineato che la individuazione puntuale delle zone agricole svantaggiate,
basata sulla disciplina di cui alla legge 27 dicembre 1977, n. 984, è governato da peculiari principi
che sono diversi da quelli che propriamente attengono, invece, ai terreni montani, anche per quel
che concerne l’esenzione dal pagamento dei contributi unificati in agricoltura;
14) gli art. 28 (poi modificato dall’art. 7, comma 1, della legge 3 agosto 1999, n. 265) e 29
della legge 8 giugno 1990 n. 142, successivamente abrogati dal d.lgs. 18 agosto 2000 n. 267,
delinearono le funzioni e i compiti delle Comunità montane e abrogarono: a) l’art. 1 della legge 25
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unificati di cui al regio decreto-legge 28 novembre 1938, n. 2138, e successive modificazioni ed
integrazioni”, riconfermando, al secondo comma, che “le imprese con terreni ubicati ad una
altitudine non inferiore ai 700 metri sul livello del mare continuano ad essere esonerate dai
contributi agricoli anzidetti”;

luglio 1952, n. 991, come sostituito dall’articolo unico della legge 30 luglio 1957, n. 657, e il
secondo comma dell’art. 14 della citata legge n. 991 del 1952; b) gli artt. 3, 4, 5 e 7 della legge 3
dicembre 1971,n. 1102;

16) la legge 31 gennaio 1994, n. 97, che, all’art. 1, comma 3, ha stabilito che: “Quando non
diversamente specificato, le disposizioni della presente legge si applicano ai territori delle comunità
montane ridelimitate ai sensi dell’articolo 28 della legge 8 giugno 1990, n. 142. Ai fini della
presente legge, per ‘comuni montani’ si intendono ‘comuni facenti parte di comunità montane’
ovvero ‘comuni interamente montani classificati tali ai sensi della legge 3 dicembre 1971, n. 1102, e
successive modificazioni’ in mancanza della ridelimitazione”;
17) peraltro, gli artt. 3, 4, 5 e 7 della legge n. 1102 cit. erano già stati abrogati dalla legge n.
142 del 1990, sicché il suddetto richiamo, contenuto nella legge n. 97 cit., alla legge n. 1102
medesima non poteva — e non può — essere interpretato come un indiretto rinvio alla definizione di
terreni montani contenuta nella legge n. 991 del 1952, visto che, nella legge n. 1102 cit., il richiamo
a quest’ultima definizione era contemplato dall’art. 3 abrogato;
18) il successivo art. 18 della legge n. 97 del 1994 (nel testo risultante dalle modifiche
introdotte dall’art. 1 della legge 25 dicembre 1995, n. 213), ha previsto, poi, una ipotesi di esonero
previdenziale, stabilendo che: “le imprese e i datori di lavoro aventi sedi ed operanti nei comuni
montani, in deroga alle norme sul collocamento della mano d’opera, possono assumere senza oneri
previdenziali, a tempo parziale, ai sensi dell’articolo 5 del decreto-legge 30 ottobre 1984, n. 726,
convertito, con modificazioni, dalla legge 19 dicembre 1984, n. 863, o in forma stagionale,
coltivatori diretti residenti in comuni montani, iscritti allo SCAU”;
19) intanto, con decorrenza 10 luglio 1995, il Servizio per i contributi agricoli unificati
(SCAU) è stato soppresso e le relative funzioni con il personale sono stati trasferiti all’INPS e
all’INAIL secondo le rispettive competenze, per effetto dell’art. 19 della legge 23 dicembre 1994, n.
72;
20) gli artt. 27 e 28 del d.lgs. n. 267 del 2000 cit. hanno poi sostituito e sostanzialmente
recepito gli artt. 28 e 29 della legge n. 142 del 1990 cit. in materia di comunità montane, senza
peraltro contenere alcuna specifica normativa rilevante per il presente giudizio, ad eccezione del
comma 6 dell’art. 28 del d.lgs. n. 267 cit., che stabilisce che: “Gli interventi finanziari disposti dalle
Comunità montane e da altri soggetti pubblici a favore della montagna sono destinati
esclusivamente ai territori classificati montani”, senza, peraltro, individuare né il soggetto
competente alla determinazione dei territori montani né i parametri di riferimento per tale
determinazione;
21) la Corte costituzionale nelle sentenze n. 244 e n. 456 del 2005; n. 397 del 2006 ha
affermato che la disciplina delle comunità montane, pur in presenza della loro qualificazione come
7

15) per effetto dell’abrogazione dell’art. 1 della legge n. 991 del 1952 venne meno, per le
agevolazioni fiscali, il potere di classificazione dei territori montani della Commissione censuaria
nazionale operante presso il Ministero delle Finanze;

enti locali contenuta nel d.lgs. n. 267 del 2000, rientra nella competenza legislativa residuale delle
Regioni ai sensi dell’art. 117, quarto comma, Cost.;

23) la Corte costituzionale, con sentenza n. 237 del 2009 — nell’esaminare tale ultima
disciplina come modificata t ong.stkrtvinerktOfj dall’art. 4-bis, commi 5 e 6, del d.l. 3 giugno 2008,
n. 97, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 agosto 2008, n. 129 — ha, fra l’altro, dichiarato
non fondata, anche alla luce dell’art. 44, secondo comma, Cost., la questione di legittimità
costituzionale relativa ai suindicati commi 17 e 18, dettati con l’obiettivo della riduzione della spesa
corrente per il funzionamento delle Comunità montane;
24) tale ultimo comma, fra l’altro, stabilisce che le Regioni, nell’adozione delle leggi
regionali in materia, devono tenere conto di taluni «principi fondamentali», tra i quali: «a) riduzione
del numero complessivo delle comunità montane, sulla base di indicatori fisico-geografici,
demografici e socioeconomici e in particolare: della dimensione territoriale, della dimensione
demografica, dell’indice di vecchiaia, del reddito medio pro capite, dell’acclività dei terreni,
dell’altimetria del territorio comunale con riferimento all’arco alpino e alla dorsale appenninica, del
livello dei servizi, della distanza dal capoluogo di provincia e delle attività produttive extraagricole»;
25) il Giudice delle leggi ha sottolineato come il suddetto comma 18, in relazione ai contenuti
delle leggi regionali da adottare ai sensi del precedente comma 17, si limita a porre a disposizione
delle Regioni una serie di indicazioni che vengono ad integrare, in un rapporto di complementarità,
quelle contenute nel citato art. 27, comma 7, del testo unico sugli enti locali, secondo cui «ai fini
della graduazione e differenziazione degli interventi di competenza delle Regioni e delle comunità
montane, le Regioni, con propria legge, possono provvedere ad individuare nell’ambito territoriale
delle singole comunità montane fasce altimetriche di territorio, tenendo conto dell’andamento
orografico, del clima, della vegetazione, delle difficoltà nell’utilizzazione agricola del suolo, della
fragilità ecologica, dei rischi ambientali e della realtà socio-economica»;
26) la Corte, nella stessa sentenza, ha anche dichiarato l’inammissibilità della questione di
legittimità costituzionale del comma 19 dello stesso art. 2 cit., secondo cui: «i criteri di cui al
comma 18 valgono ai fini della costituzione delle comunità montane e non rilevano in ordine ai
benefici e agli interventi speciali per la montagna stabiliti dall’Unione europea e dalle leggi statali e
regionali», dopo avere escluso che la norma abbia capacità lesiva degli ambiti di autonomia
regionale, il Giudice delle leggi ha ricordato che una disposizione analoga era già contenuta nell’art.
27, cornma 5, del d.lgs. n. 267 del 2000, in base al quale la legge regionale può escludere dalla
comunità montana i comuni che presentino determinate caratteristiche, ma «l’esclusione non priva i
rispettivi territori montani dei benefici e degli interventi speciali per la montagna stabiliti
dall’Unione europea e dalle leggi statali e regionali»;
8

22) l’art. 2, commi da 17 a 22, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, ha previsto il riordino
delle Comunità montane, con finalità di riduzione, a regime, della spesa corrente per il
funzionamento di tali enti per un importo pari almeno ad un terzo della quota del fondo ordinario
assegnata per l’anno 2007 alle comunità montane presenti nella Regione;

28) contemporaneamente e anche negli anni successivi cui risalgono gli interventi legislativi
dianzi descritti il settore è stato oggetto di numerosi ulteriori interventi legislativi, aventi come
specifico oggetto la generale disciplina degli sgravi contributivi riferita ai territori montani, la cui
identificazione è stata effettuata tramite il rinvio all’elenco di cui all’art. 9 del d.P.R. 29 settembre
1973, n. 601 (in materia di agevolazioni tributarie), tranne che per le zone di montagna
svantaggiate, ai sensi dell’art. 2 del decreto legislativo 16 aprile 1997, n. 146, per le quali si è fatto
riferimento alla deliberazione del CIPE 25 maggio 2000. In particolare:
– con l’art. 10 del d.l. 22 maggio 1993, n. 155, convertito con modificazioni dalla legge 19
luglio 1993, n. 243 venivano elevate le percentuali dei contributi agricoli previste dall’art. 9, comma
5, della legge n. 67 del 1988 a carico del datore di lavoro e dei lavoratori;
– con l’art. 11, comma 27, della legge 24 dicembre 1993, n. 537 veniva sostituito il comma 5
dell’articolo 9 della legge n. 67 del 1988 (e venivano introdotti i commi 5-bis e 5-ter, onde
rafforzare la parte sanzionatoria della normativa), sicché, i premi ed i contributi relativi alle gestioni
previdenziali ed assistenziali, dovuti dai datori di lavoro agricolo per il proprio personale
dipendente, occupato a tempo indeterminato e a tempo determinato nei territori montani di cui
all’art. 9 del d.P.R. n. 601 del 1973, venivano “fissati nella misura del 20 per cento a decorrere
dall’ l ottobre 1994, del 25 per cento a decorrere dall’ l ottobre 1995 e del 30 per cento a decorrere
dall’ 1 ottobre 1996” (mentre i predetti premi e contributi dovuti dai datori di lavoro agricolo
operanti nelle zone agricole svantaggiate, delimitate ai sensi dell’articolo 15 della legge 27
dicembre 1977, n. 984, erano “fissati nella misura del 30 per cento a decorrere dall’I ottobre 1994,
del 40 per cento a decorrere dall’I ottobre 1995, del 60 per cento a decorrere dall’I ottobre 1996”);
– con l’art. 1, comma 51, del d.l. 31 gennaio 1997, n. 11, convertito con modificazioni dalla
legge 28 marzo 1997, n. 81, veniva prevista una riduzione – limitata nel tempo – della misura dei
contributi dovuti dai datori di lavoro agricolo operanti nei territori montani di cui all’art. 9 del citato
d.P.R. n. 601 del 1973 nonché nelle zone agricole svantaggiate;
– con l’art. 44, comma 1, del d.l. 30 settembre 2003, n. 269, convertito con modificazioni dalla
legge 24 novembre 2003, n. 326, in via di interpretazione autentica, è stato esclusa la possibilità di
cumulare i suddetti benefici con gli analoghi benefici previsti dalla disciplina a favore dei territori
del Mezzogiorno, stabilendosi che “l’articolo 9, comma 6, della legge 11 marzo 1988, n. 67, e
successive modificazioni e integrazioni, si interpreta nel senso che le agevolazioni di cui al comma
5 del medesimo articolo 9, così come sostituito dall’articolo 11 della legge 24 dicembre 1993 n.
537, non sono cumulabili con i benefici di cui al comma 1 dell’articolo 14 della legge 1 marzo
1986, n. 64, e successive modificazioni, e al comma 6 dell’articolo 1 del decreto-legge 30 dicembre
9

27) l’indirizzo interpretativo espresso nella suindicata sentenza – nel senso della legittimità di
interventi legislativi statali aventi l’obiettivo di ridurre gli oneri della finanza pubblica, pure se
incidenti sull’autonomia di spesa delle Regioni in genere e su ogni tipo di potestà legislativa
regionale, compresa quella residuale in materia di comunità montane – è stato seguito, con riguardo
a differenti fattispecie, nelle successive sentenze 326 del 2010; n. 91 e 207 del 2011; n. 151 del
2012;

- con l’art. 01, comma 2, del d.l. 10 gennaio 2006, n. 2 convertito con modificazioni dalla
legge 11 marzo 2006, n. 81, è stato introdotto un incremento – fino al 75 – dello sgravio
contributivo per i territori montani particolarmente svantaggiati e le zone agricole svantaggiate,
nonché per i territori di alcuni comuni specificamente individuati. In particolare la disposizione ha
previsto che “dall’ 1 gennaio 2006, per lo stesso periodo di cui al comma 1, le agevolazioni
contributive previste dall’articolo 9, commi 5, 5-bis e 5-ter, della legge 11 marzo 1988, n. 67, e
successive modificazioni, sono cosi determinate: a) nei territori montani particolarmente
svantaggiati la riduzione contributiva compete nella misura del 75 per cento dei contributi a carico
del datore di lavoro, previsti dal citato articolo 9, commi 5, 5-bis e 5-ter, della legge n. 67 del 1988;
b) nelle zone agricole svantaggiate, comprese le aree dell’obiettivo 1 di cui al regolamento (CE) n.
1260/1999 del Consiglio, nonché i territori dei comuni delle regioni Abruzzo, Molise e Basilicata,
la riduzione contributiva compete nella misura del 68 per cento”;
– con l’art. 1-ter, comma 1, del d.l. 3 novembre 2008, n. 171, convertito con modificazioni
dalla legge 30 dicembre 2008, n. 205, il regime delle maggiori agevolazioni “nei territori montani
particolarmente svantaggiati e nelle zone agricole svantaggiate” introdotte con il d.l. n. 2 del 2006 è
stato prorogato fino al 31 marzo 2009;
– con l’art. 8-octies del d.l. 10 febbraio 2009, n. 5, convertito con modificazioni dalla legge 9
aprile 2009, n. 33, è stato ulteriormente prorogato fino al 31 dicembre 2009 il regime di maggiore
sgravio previsto dal d.l. n. 171 del 2008, convertito nella legge n. 205 del 2008;
– con l’art. 2, comma 49, della legge 23 dicembre 2009, n. 191, tale ultimo termine è stato
ulteriormente prorogato fino al 31 luglio 2010;
– infine, con l’art. 1, comma 45, della legge 13 dicembre 2010, n. 220 sono stati
semplicemente ripristinati gli sgravi contributivi, eliminando le pregresse scadenze previste per
usufruire del maggior beneficio e ciò ancorché le stesse fossero già maturate;
29) intanto, la Corte costituzionale, nelle sentenza n. 11 del 2007, ha ribadito che il solo
criterio altimetrico, definito come «casuale», non è idoneo per l’attribuzione di benefici ai comuni
montani (richiamando le precedenti sentenze n. 370 del 1985 e n. 254 del 1989) e lo stesso
orientamento è stato seguito nella successiva sentenza n. 27 del 2010;
30) infine, il d.lgs. 1 dicembre 2009, n. 179 – con il quale è stata effettuata la ricognizione
delle disposizioni legislative statali anteriori all’ l gennaio 1970, di cui è stata ritenuta
indispensabile la permanenza in vigore, a norma dell’articolo 14 della legge 28 novembre 2005, n.
246 – ha incluso tra gli “atti normativi salvati” (vedi Allegato 1- n. 1266) la legge 25 luglio 1952, n.
991, eccettuando dal disposto “salvataggio” solo l’art. 1 e l’art. 14, secondo comma, della legge, già
espressamente abrogati dall’art. 29 della legge n. 142 del 1990;
31) pertanto, tra le norme di cui è stata ritenuta indispensabile la permanenza in vigore è stato
compreso nominatim anche l’art. 8 della legge stessa, cui originariamente si faceva riferimento per
10

1987, n. 536, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 febbraio 1988, n. 48, e successive
modificazioni e integrazioni”;

la definizione di “territori montani” ai fini del riconoscimento del beneficio dell’esenzione
contributiva.

La soluzione della suddetta questione implica, ovviamente, quella relativa all’efficacia del
d.lgs. n. 179 del 2009, nella parte in cui ha operato il “salvataggio” dell’art. 8 della legge n. 991 del
1952.
7.- A tale ultimo riguardo deve essere, in primo luogo, precisato che, come affermato dalla
Corte costituzionale, il d.lgs. n. 179 del 2009 “proprio in ragione della sua funzione meramente
ricognitiva … appare, …. sprovvisto di una propria e autonoma forza precettiva o, se si preferisce,
di quel carattere innovativo che si suole considerare proprio degli atti normativi: non è dubbio,
infatti, che, nell’individuare le disposizioni da mantenere in vigore, esso non ridetermini né in alcun
modo corregga le relative discipline, limitandosi a confermare, peraltro indirettamente — attraverso,
cioè, la mera individuazione di atti da “salvare”—, la persistente e immutata loro efficacia”. Ciò
significa che con l’entrata in vigore, il 15 dicembre 2009, del d.lgs. n. 179 del 2009, »Il si è
determinata la “reintroduzione” o la “reviviscenza” nell’ordinamento delle norme “salvate”, ma si è
semplicemente “consentito di vederne confermata la vigenza, sull’ovvio presupposto … che esso
non l’avesse perduta e che perciò, altrettanto evidentemente, non avesse necessità di riacquistarla”.
Tale perdita di vigenza, dal testo della relativa delega (art. 14, commi 14 e seguenti della legge 28
novembre 2005, n. 246, quale risultante dalla sostituzione ad opera dell’art. 4, comma 1, lettera a),
della legge 18 giugno 2009, n. 69), si desume che possa essere rappresentata anche dalla tacita o
implicita abrogazione ovvero dal trattarsi di norme «comunque obsolete» (Corte cost. sentenza n.
346 del 2010 e nello stesso senso, sentenza n. 80 del 2012).
Del resto, l’art, 14, comma 14, cit., ha indicato, tra i principi e criteri direttivi della delega per
l’emanazione di “decreti legislativi che individuano le disposizioni legislative statali, pubblicate
anteriormente al 1° gennaio 1970, anche se modificate con provvedimenti successivi, delle quali
si ritiene indispensabile la permanenza in vigore”, per primi, i seguenti principi: “a) esclusione delle
disposizioni oggetto di abrogazione tacita o implicita; b) esclusione delle disposizioni che abbiano
esaurito la loro funzione o siano prive di effettivo contenuto normativo o siano comunque
obsolete”.
Inoltre, nell’art. 1, comma 3, lettera d, del d.lgs. n. 179 cit. si precisa che “permanenza in
vigore” deve essere stabilita anche ai sensi dell’articolo 15 delle disposizioni preliminari al codice
civile.

li

6.- Il complesso e articolato quadro normativo e giurisprudenziale fin qui delineato consente
di mettere a fuoco che la questione che la presente controversia impone di risolvere riguarda
principalmente la definizione di “territori montani” da applicare nella specie e, quindi, se tale
definizione debba essere ricavata dall’art. 8 della legge n. 991 del 1952 (come sostenuto dalla Vaira,
onde ottenere il riconoscimento del diritto allo sgravio contributivo totale) ovvero dall’art. 9,
comma 5, della legge n. 67 del 1988 (come sostenuto dall’Istituto ricorrente, al fine
dell’applicazione dello sgravio contributivo solo parziale).

8.- Dalla descritta evoluzione normativa si desume che l’art. 8 della legge n. 991 del 1952 non
può che rientrare tra le disposizioni tacitamente o implicitamente abrogate ovvero tra le disposizioni
che, al momento dell’emanazione del d.lgs. n. 179 del 2009, avevano esaurito la loro funzione o
erano comunque obsolete, sicché non potendo esso essere incluso, in base alla legge di delega, fra le
norme “salvate”, la relativa ricomprensione al suddetto fine nell’Allegato 1 – voce – n. 1266 tra le
disposizioni, specificamente indicate, della legge n. 991 del 1952 si deve considerare tamquam non
esset, frutto di un lapsus calami, sulla base di una interpretazione rispettosa dell’art. 15 delle
preleggi e costituzionalmente orientata, nel senso della coerenza e ragionevolezza dell’ordinamento
(art. 3 Cost.), del rispetto dei principi e criteri direttivi della legge di delega (art. 76 Cost.), alla luce
anche dell’art. 44, secondo comma, Cost.
A tale conclusione conducono numerosi elementi, desumibili dal riportato
normativo:

excursus

a) l’art. 8 della legge n. 991 del 1952 aveva un duplice contenuto perché per le zone montane
prevedeva sia agevolazioni fiscali sia, per la prima volta, l’esenzione dal pagamento dei contributi
agricoli unificati, tuttavia, mentre per le agevolazioni fiscali (attraverso il suddetto richiamo al
d.lgs.C.p.S. n. 12 del 1947 e combinandosi con l’art. 1 della stessa legge n. 991 cit.) adottava un
criterio di identificazione dei territori montani non legato soltanto all’altimetria, per l’esenzione
contributiva adottò, invece, il rigido criterio della applicabilità ai soli “terreni situati a quota non
inferiore ai 700 metri s.l.m.”;
b) gli artt. 58 e 68 del d.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645 hanno previsto una nuova normativa,
per quanto riguarda le esenzioni fiscali dei terreni montani e l’imposta sul reddito dominicale dei
terreni, diversa da quella dettata dall’art. 8 della legge n. 991 del 1952, così tacitamente abrogando
il suddetto art 8, per la parte relativa alle agevolazioni fiscali ivi contemplate (come affermato da
Cass. 12 novembre 1977, n. 4909);
c) sulla parte “residua” dell’art. 8 è intervenuta la Corte costituzionale, con la sentenza n. 370
del 1985, dichiarandone l’illegittimità (unitamente a quella degli artt. 7 e 8 del d.l. 23 dicembre
1977, n. 942 cit.) per inadeguatezza dell’adozione del solo criterio altimetrico per la determinazione
del regime contributivo da applicare nelle zone montane;
d) la legge 3 dicembre 1971, n. 1102, istituì le Comunità montane, adottando criteri identici a
quelli previsti in precedenza per la qualificazione dei territori montani e stabilendo (art. 12, comma
quinto) che “le agevolazioni fiscali di cui all’art. 8 della legge 25 luglio 1952, n. 991, sono estese
all’intero territorio montano”;

e) intanto, ai fini fiscali, una nuova definizione di territori montani comprensiva e più ampia
delle precedenti veniva dettata dall’art. 9 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 601;

12

Tale ultima disposizione, com’è noto, disciplina l’abrogazione delle leggi, espressa o tacita
“per incompatibilità tra le nuove disposizioni e le precedenti o perché la nuova legge regola l’intera
materia già regolata dalla legge anteriore”.

g) gli art. 28 e 29 della legge n. 142 del 1990 successivamente abrogati dal d.lgs. 18 agosto
2000 n. 267, abrogarono, fra l’altro: a) l’art. 1 della legge 25 luglio 1952, n. 991, come sostituito
dall’articolo unico della legge 30 luglio 1957, n. 657 (che prevedeva il potere di classificazione dei
territori montani della Commissione censuaria nazionale operante presso il Ministero delle Finanze)
e il secondo comma dell’art. 14 della citata legge n. 991 del 1952; b) gli artt. 3, 4, 5 e 7 della legge 3
dicembre 1971, n. 1102;
h) la legge 31 gennaio 1994, n. 97 (nel testo risultante dalle modifiche introdotte dall’art. 1
della legge 25 dicembre 1995, n. 213) ha previsto un esonero previdenziale totale per le assunzioni
a tempo parziale da parte delle imprese e dei datori di lavoro “aventi sedi ed operanti nei comuni
montani”, da intendere come “comuni facenti parte di comunità montane” se ridelimitate ovvero
“comuni interamente montani classificati tali ai sensi della legge 3 dicembre 1971, n. 1102, e
successive modificazioni” in mancanza della ridelimitazione;
i) tale ultimo richiamo, contenuto nella legge n. 97 cit., alla legge n. 1102 cit. non può essere
inteso come un indiretto rinvio alla definizione di terreni montani contenuta nella legge n. 991 del
1952 in quanto, nella legge n. 1102 cit., il richiamo a quest’ultima definizione era contemplato
dall’art. 3, già abrogato, insieme con gli artt. 4, 5 e 7 della legge n. 1102 cit. dalla legge n. 142 del
1990; del resto anche Cass. 17 luglio 2007, n. 15907 ha sottolineato come l’art. 29 della legge n.
142 del 1990 abbia espressamente abrogato le “precedenti disposizioni della normativa del 1952 e
1971 concernenti la individuazione e la classificazione dei comuni montani”;
1) dopo la riforma del Titolo V della Parte seconda della Costituzione la Corte costituzionale
ha reiteratamente affermato (vedi: nelle sentenze n. 244 e n. 456 del 2005; n. 397 del 2006; 237 del
2009) che la disciplina delle comunità montane, pur in presenza della loro qualificazione come enti
locali contenuta nel d.lgs. n. 267 del 2000, rientra nella competenza legislativa residuale delle
Regioni ai sensi dell’art. 117, quarto comma, Cost. e comprende anche l’individuazione degli
indicatori da cui desumere il carattere “montano” della Comunità, in un rapporto di
complementarità, rispetto a quelli risultanti dalla normativa statale, i quali comunque “non rilevano
in ordine ai benefici e agli interventi speciali per la montagna stabiliti dall’Unione europea e dalle
leggi statali e regionali”.
9.- Ne deriva che l’art. 8 in argomento — già implicitamente abrogato per la parte relativa alle
agevolazioni fiscali prima dagli arti. 58 e 68 del d.P.R. n. 645 del 1958 e poi dall’art. 9 del d.P.R. n.
601 del 1973 — colpito, per la parte relativa ai benefici contributivi, dalla sentenza di accoglimento
della Corte costituzionale n. 370 del 1985, coinvolto sia pure indirettamente nell’abrogazione
dell’art. 3 della legge n. 1102 del 1971 ad opera dell’art. 29 della legge n. 142 del 1990, non più
richiamato dal legislatore, per quel che riguarda i benefici contributivi in favore delle zone montane,
a partire dalla legge n. 67 del 1988 (essendosi fatto normalmente riferimento alla definizione di
territori montani contenuta nell’art. 9 del d.P.R. n. 601 del 1973), non può che considerarsi
13

O a partire dall’art. 9 della legge 11 marzo 1988, n. 67, ai fini delle agevolazioni contributive —
normalmente parziali — in favore dei datori di lavoro agricolo operanti nei territori montani si è
generalmente fatto riferimento al suddetto art. 9 del d.P.R. n. 601 del 1973 (vedi retro n. 28
dell’ excursus normativo);

Di ciò si ha conferma anche nell’art. 18 della legge 31 gennaio 1994, n. 97, che, come si è
detto, ha previsto — con una norma speciale — una ipotesi di esonero previdenziale per le imprese e i
datori di lavoro aventi sedi ed operanti nei comuni montani, in caso di assunzioni di personale a
tempo parziale. Tale norma è stata emanata pochi giorni dopo l’art. 11, comma 27, della legge n.
537 del 1993, con il quale è stata, invece, rideterminata la quota di sgravio contributivo spettante ai
datori di lavoro suindicati, con riferimento ai lavoratori dipendenti assunti a tempo indeterminato o
determinato.
Ora, è evidente che il suddetto art. 18 appare sicuramente coerente con un regime generale di
sgravi (più o meno articolato) quale quello configurato dall’art. 9, comma 5, della legge n. 67 del
1988 (e successive modifiche ed integrazioni), mentre è del tutto incompatibile con la
sopravvivenza di un regime generale di esenzione contributiva quale risultante dall’art. 8 della legge
n. 991 del 1952. Infatti — anche su un piano logico — sarebbe da considerare priva di significato un
nuova disposizione — di carattere speciale — diretta a prevedere una particolare ipotesi di esenzione
(per le assunzioni a tempo parziale) se la si dovesse intendere inserita in un sistema nel quale fosse
prevista l’esenzione da ogni contribuzione in favore dei datori di lavoro agricolo operanti nei
territori montani da applicare alla generalità dei dipendenti, come disposto dall’art. 8 della legge n.
991 del 1952.
In sintesi, l’inserimento dell’art. 8 della legge n. 991 del 1952 tra le norme “salvate” ad opera
del d.lgs. n. 179 del 2009 appare il frutto di un errore in quanto tale norma non aveva le
caratteristiche proprie di quelle da includere nel suddetto “salvataggio”, essendone stata la relativa
abrogazione implicita già riconosciuta, fin dal 1958, per la parte riguardante le agevolazioni fiscali
ed essendo stata, la parte relativa ai benefici contributivi, prima dichiarata costituzionalmente
illegittima (nel 1985) e poi implicitamente abrogata per “incompatibilità” con i successivi interventi
legislativi in materia, da quando, a partire dalla legge n. 67 del 1988, per le zone montane
all’esonero contributivo ivi previsto è stato sostituito un sistema di sgravi, variamente articolato,
basato sulla definizione di territori montani contenuta nell’art. 9 del d.P.R. n. 601 del 1973.
IV — Conclusioni
10.- In sintesi, per le suindicate ragioni, il secondo motivo del ricorso deve essere accolto.
All’accoglimento del suddetto motivo consegue l’assorbimento di tutti i restanti motivi del
ricorso.

La sentenza impugnata deve essere, quindi, cassata, in relazione al motivo accolto, con rinvio,
anche per le spese del presente giudizio di cassazione, alla Corte d’appello di Bari, in diversa
composizione, che si atterrà, nell’ulteriore esame del merito della controversia, a tutti i principi su
affermati e, quindi, anche al seguente:

14

implicitamente abrogato, tanto più che esso prevede un regime di totale esenzione contributiva che
— come criterio generalizzato da applicare ai territori montani — risulta essere stato abbandonato dal
legislatore, a partire dalla legge n. 67 del 1988 cit.

P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso, assorbiti gli altri. Cassa la sentenza
impugnata, in relazione al motivo accolto, e rinvia, anche per le spese del presente giudizio di
cassazione, alla Corte d’appello di Bari, in diversa composizione.
Cos’ • eciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione lavoro, il giorno 8 maggio 2013.

“l’art. 8 della legge n. 991 del 1952 — già implicitamente abrogato per la parte relativa alle
agevolazioni fiscali prima dagli artt. 58 e 68 del d.P.R. n. 645 del 1958 e poi dall’ art. 9 del d.P.R. n.
601 del 1973 — colpito, per la parte relativa ai benefici contributivi, dalla sentenza di accoglimento
della Corte costituzionale n. 370 del 1985, coinvolto, sia pure indirettamente, nell’abrogazione
dell’art. 3 della legge n. 1102 del 1971 ad opera dell’art. 29 della legge n. 142 del 1990, non più
richiamato dal legislatore, per quel che riguarda i benefici contributivi in favore delle zone montane,
a partire dalla legge n. 67 del 1988 (in quanto le relative disposizioni hanno fatto principalmente
riferimento alla definizione di territori montani contenuta nell’art. 9 del d.P.R. n. 601 del 1973), non
può che considerarsi implicitamente abrogato, tanto più che esso prevede un regime di totale
esenzione contributiva che — come criterio generalizzato da applicare ai territori montani — risulta
essere stato abbandonato dal legislatore, a partire dalla legge n. 67 del 1988 cit. Ne consegue che,
come si desume dall’art. 1, comma 3, lettera d, del d.lgs. n. 179 n. 2009 e dalla relativa legge di
delega, il suddetto art. 8 non poteva essere incluso fra le norme “salvate” dal d.lgs. n. 179 cit.,
avente carattere meramente ricognitivo e non innovativo (Corte cost. sentenze n. 346 del 2010 e n.
80 del 2012). Pertanto, la relativa ricomprensione al suddetto fine nell’Allegato 1 – voce – n. 1266
(di tale d.lgs.) tra le disposizioni, specificamente indicate, della legge n. 991 del 1952 da
“mantenere in vigore” si deve considerare tamquam non esset, frutto di un lapsus calami, sulla base
di una interpretazione rispettosa dell’art. 15 delle preleggi e costituzionalmente orientata, nel senso
della coerenza e ragionevolezza dell’ordinamento (art. 3 Cost.), del rispetto dei principi e criteri
direttivi della legge di delega (art. 76 Cost.), alla luce anche dell’art. 44, secondo comma, Cost.”.

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