Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19420 del 11/09/2010

Cassazione civile sez. II, 11/09/2010, (ud. 22/06/2010, dep. 11/09/2010), n.19420

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SETTIMJ Giovanni – Presidente –

Dott. PETITTI Stefano – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

B.S., rappresentato e difeso, in forza di procura

speciale a margine del ricorso, dall’Avv. TOMASELLO Giuseppe,

elettivamente domiciliato in Roma, Via Boezio, n. 92, presso lo

studio dell’Avv. Pietrangelo Jaricci;

– ricorrente –

contro

A.V., rappresentato e difeso, in forza di procura

speciale a margine del controricorso, dall’Avv. LOMBARDO Salvatore,

elettivamente domiciliata in Roma, via Val Cristallina, n. 3, presso

lo studio dell’Avv. Amilcare Sesti;

– controricorrente –

per la revocazione della sentenza della Corte di cassazione, Sezione

Seconda Civile, 16 giugno 2008, n. 16216.

Udita, la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

22 giugno 2010 dal Consigliere relatore Dott. Alberto Giusti.

 

Fatto

RITENUTO IN FATTO

che il Consigliere designato, Cons. Dott. Ippolisto Parziale, ha depositato, in data 22 gennaio 2010, la seguente proposta di definizione, ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc. civ.:

” B.S. impugna per revocazione la sentenza n. 16216 del 2008 di questa Corte, depositata il 16 giugno 2008 e non notificata, che rigettava il suo ricorso avverso la sentenza n. 609 del 2003 della Corte d’appello di Catania del 17 gennaio 2003.

La vicenda giudiziaria conclusasi con la sentenza impugnata riguardava la domanda di risoluzione per inadempimento del contratto preliminare di compravendita di un immobile del quale l’odierno ricorrente era promittente venditore e l’odierna controricorrente promissaria acquirente, e la domanda riconvenzionale di quest’ultima ex art. 2932 cod. civ..

La Corte d’appello al riguardo aveva respinto la domanda di risoluzione del contratto, avanzata dall’odierno ricorrente, sulla base di una valutazione dei rispettivi dedotti inadempimenti, all’esito della quale aveva ritenuto più grave quello riferibile all’odierno ricorrente. La sentenza di questa Corte, impugnata oggi per revocazione, rigettava, tra l’altro, il primo motivo di ricorso, nel quale si lamentava l’erroneità della decisione della Corte d’appello “che non avrebbe tenuto conto della non essenzialità di tale mancanza del termine e, comunque, della non significatività del ritardo al riguardo, tenuto conto che nel contratto preliminare non era stato previsto alcun termine al riguardo, nè per la stipula dell’atto traslativo”, ritenendo che esso si risolvesse “in una serie di palesi censure in fatto, proponenti una diversa valutazione delle risultanze processuali, avverso la valutazione dei giudici di merito con la quale, a fronte dei reciproci addebiti di inadempienza, quella ascritta al promittente venditore è stata ritenuta prevalente e tale da giustificare, ai sensi dell’art. 1460 cod. civ., la sospensione dell’adempimento delle obbligazioni contrattualmente assunte dal promissario acquirente”. La sentenza impugnata ulteriormente osserva che il giudizio comparativo indicato è riservato al giudice di merito ed, in quanto tale, “ove adeguatamente motivato, si sottrae al sindacato di legittimità” (pagina 5 della sentenza). Il ricorrente articola un unico motivo di ricorso col quale rileva che questa Corte avrebbe “adottato la propria decisione di rigetto, ritenendo l’erronea sussistenza di un obbligo in capo al B. a fronte della convocazione presso il notaio da parte del signor A.”.

Vi sarebbe travisamento dei fatti: nel preliminare di vendita “non venne pattuita alcuna data nè fissato alcun termine per la stipula dell’atto pubblico di vendita” e quindi “la convocazione presso il notaio di cui alla raccomandata con avviso di ricevimento 13 luglio 1987 non aveva determinato (nè può aver determinato) alcun obbligo in capo al B.”, posto che “in mancanza di un termine contrattualmente stabilito, esso può essere fissato solo al giudice, a norma dell’art. 1133 c.c., comma 1”. Inoltre l’art. 1460 cod. civ., sempre secondo il ricorrente, “non può trovare applicazione nel caso in esame in quanto, per ciò che è stato osservato, nell’accordo tra le parti le contrapposte obbligazioni del rapporto sinallagmatico…

non sono previste con contestualità di esecuzione”.

Il ricorrente non articola alcun quesito di diritto in relazione alla censura esposta.

Resiste con controricorso l’intimata.

Il ricorso non è conforme all’art. 366 bis cod. proc. civ., applicabile ratione temporis, non essendo stato formulato alcun quesito il diritto. Il ricorso è, quindi, inammissibile in relazione al principio già affermato da questa Corte, a Sezioni Unite, con ordinanza n. 26022 del 2008, che ha affermato: “L’art. 366 bis cod. proc. civ., introdotto dal D.Lgs. n. 40 del 2006, è applicabile anche al ricorso per revocazione, ai sensi dell’art. 391 bis c.p.c., avverso le sentenze della Corte di cassazione (pubblicate a decorrere dal 2 marzo 2006, data di entrata in vigore del detto D.Lgs.), con la conseguenza che la formulazione del motivo deve risolversi nell’indicazione specifica, chiara ed immediatamente intelligibile, del fatto che si assume avere costituito oggetto dell’errore e nell’esposizione delle ragioni per cui l’errore presenta i requisiti previsti dall’art. 395 cod. proc. civ.”).

Il ricorso appare anche infondato, posto che non è stato illustrato alcun vizio revocatorio, avendo invece la sentenza impugnata esaminato specificamente il motivo di ricorso relativo alla valutazione dell’assenza del termine nel contratto preliminare, avendo la Corte d’appello motivato adeguatamente senza porre a fondamento delle sue valutazioni l’esistenza o meno di un termine nel contratto preliminare, avendo invece valutato la gravità dei rispettivi inadempimenti”.

Lette le memorie depositate dalle parti in prossimità della camera di consiglio.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che il Collegio condivide la soluzione prospettata nella relazione di cui sopra, con le precisazioni che seguono;

che va ribadito, in premessa, che l’art. 366 bis cod. proc. civ., introdotto dal D.Lgs. n. 40 del 2006, è applicabile anche al ricorso per revocazione ai sensi dell’art. 391 bis c.p.c., contro le sentenze della Corte di cassazione (pubblicate a decorrere dal 2 marzo 2006, data di entrata in vigore del detto D.Lgs.), atteso che detta norma è da ritenere oggetto di rinvio da parte della previsione del comma 1 dello stesso art. 391 bis, là dove dispone che la revocazione è chiesta con ricorso ai sensi dell’art. 365, e segg.; la formulazione del motivo deve, pertanto, risolversi nell’indicazione specifica, chiara ed immediatamente intelligibile, del fatto che si assume avere costituito oggetto dell’errore e nell’esposizione delle ragioni per cui l’errore presenta i requisiti previsti dall’art. 395 cod. proc. civ.;

che nella specie il quesito di sintesi è cosi formulato: “in conclusione, la decisione impugnata è fondata sulla sussistenza di un fatto (cioè, la sussistenza di una obbligazione) la cui verità è incontrastabilmente esclusa. Fatto che non ha costituito punto controverso su cui la sentenza ebbe a pronunciare. Essa deriva dall’ignoranza di atti e documenti di causa e va, pertanto, revocata ai sensi dell’art. 395 cod. proc. civ., n. 4”;

che il quesito proposto è, all’evidenza, inidoneo, posto che non reca nè l’indicazione chiara e sintetica del fatto la cui verità sarebbe incontrastabilmente esclusa (ma solo il generico riferimento alla sussistenza di una obbligazione, senza alcuna precisazione in ordine alla natura di essa), nè l’esposizione delle ragioni per cui l’errore presenta i requisiti previsti dall’art. 395 cod. proc. civ., omettendo la precisazione di quali sarebbero gli atti e documenti ignorati dal giudice;

che, contrariamente a quanto prospettato dal ricorrente, il prescritto quesito di sintesi deve sostanziarsi in una parte del motivo che si presenti a ciò specificamente e riassuntivamente destinata, di modo che non è possibile ritenere questo requisito rispettato quando, come nella specie, solo la completa lettura della complessiva illustrazione del motivo riveli – all’esito di un’attività di interpretazione svolta dal lettore e non di una indicazione da parte del ricorrente, deputata all’osservanza del requisito del citato art. 366 bis cod. proc. civ. – che il motivo stesso concerne un determinato fatto che si assume avere costituito oggetto dell’errore e che questo presenta i requisiti previsti dall’art. 395 cod. proc. civ.;

che, peraltro, a prescindere dal requisito formale ex art. 366 bis cod. proc. civ., va sottolineato che, per costante giurisprudenza di questa Corte (tra le tante, Cass., Sez. 1^, 20 aprile 2005, n. 8295), con riferimento alle sentenze emesse dalla cassazione, l’errore di fatto idoneo a costituire il vizio revocatorio previsto dall’art. 395 cod. proc. civ., n. 4, deve: 1) consistere in una errata percezione del fatto, in una svista di carattere materiale, oggettivamente e immediatamente rilevabile e tale da aver indotto il giudice a supporre la esistenza di un fatto la cui verità era esclusa in modo incontrovertibile, oppure a considerare inesistente un fatto accertato in modo paramenti indiscutibile; 2) essere decisivo, nel senso che, se non vi fosse stato, la decisione sarebbe stata diversa;

3) non cadere su di un punto controverso sul quale la Corte si sia pronunciata; 4) presentare i caratteri della evidenza e della obiettività, sì da non richiedere, per essere apprezzato, lo sviluppo di argomentazioni induttive e di indagini ermeneutiche; 5) non consistere in un vizio di assunzione del fatto nè in un errore nella scelta del criterio di valutazione del fatto medesimo; 6) riguardare gli atti interni, cioè quelli che la Corte esamina direttamente, con propria autonoma indagine di fatto, nell’ambito dei motivi di ricorso e delle questioni rilevabili d’ufficio, e avere quindi carattere autonomo, nel senso di incidere direttamente ed esclusivamente sulla sentenza della S.C., perchè, se invece l’errore è stato causa determinante della decisione di merito, in relazione ad atti o documenti che ai fini della stessa sono stati o avrebbero dovuto essere esaminati, il vizio che inficia la sentenza da adito agli specifici mezzi di impugnazione esperibili contro le sentenze di merito;

che nella specie non è configurabile il lamentato errore revocatorio, per una pluralità di ragioni;

che la sussistenza o meno in capo al B. di un obbligo a fronte della convocazione presso il notaio da parte dell’ A. costituiva un punto controverso, tant’è che lo stesso B. aveva denunciato con il primo motivo del ricorso per cassazione che nel preliminare di vendita non era previsto alcun termine entro il quale si sarebbe dovuto stipulare l’atto di vendita e che la Corte d’appello non avrebbe potuto attribuire rilevanza decisiva alla data fissata dall’ A.;

che, in secondo luogo, il supposto errore è privo del carattere dell’autonomia, perchè riguarderebbe, in primo luogo, (prima che la decisione della Corte di cassazione) la sentenza della Corte d’appello;

che, infine, l’accampato errore risulterebbe dal mancato esame di atti (il preliminare di vendita del (OMISSIS) e la raccomandata a.r. del 13 luglio 1987) che la Corte di cassazione non poteva esaminare direttamente con propria indagine di fatto;

che il ricorrente sostiene che “nella specie il denunciato errore revocatorio è riscontrabile dall’esame di immediata e diretta percezione del preliminare di vendita”, ma non considera che alla Corte di cassazione era precluso l’accesso diretto agli atti di causa e quindi l’esame, con propria indagine di fatto, delle risultanze processuali valutate dal giudice del merito;

che, pertanto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile;

che le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese processuali sostenute dal controricorrente, liquidate in complessivi Euro 2.200,00 di cui Euro 2.000,00 per onorari, oltre a spese generali e ad accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 22 giugno 2010.

Depositato in Cancelleria il 11 settembre 2010

 

 

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