Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19417 del 22/08/2013


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Civile Sent. Sez. L Num. 19417 Anno 2013
Presidente: DE RENZIS ALESSANDRO
Relatore: TRIA LUCIA

SENTENZA

sul ricorso 22472-2010 proposto da:
COMAU S.P.A. 00952120012, in persona del legale
rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata
in ROMA, VIALE GIULIO CESARE 21/23, presso lo studio
dell’avvocato DE LUCA TAMAJO RAFFAELE, che la
rappresenta e difende unitamente agli avvocati ROPOLO
2013

LUCA, BONAMICO FRANCO, giusta delega in atti;
– ricorrente –

1450

contro

ROMANO

SALVATORE

RMNSVT52P18B42A,

elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA VITTORIA COLONNA 32, presso

Data pubblicazione: 22/08/2013

lo studio dell’avvocato MENGHINI MARIO, che lo
rappresenta

e

difende

unitamente

all’avvocato

CARAPELLE ROBERTO, giusta delega in atti;
– controricorrente

avverso la sentenza n. 249/2010 della CORTE D’APPELLO

udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del

22/04/2013

dal Consigliere Dott. LUCIA

TRIA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. GIULIO ROMANO che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

di TORINO, depositata il 12/03/2010 R.G.N. 1178/2009;

Udienza del 22 aprile 2013 — Aula A
n. 7 del ruolo — RG n. 22472/10
Presidente: De Renzis – Relatore: Tria

1.— La sentenza attualmente impugnata conferma la decisione di primo grado, di accoglimento
della domanda proposta da Salvatore Romano nei confronti della COMAU s.p.a., volta ad ottenere:
1) la dichiarazione di illegittimità della sua collocazione in cassa integrazione guadagni
straordinaria (d’ora in poi: CIGS) nel periodo 20 dicembre 2002-26 settembre 2003; 2) la condanna
della suindicata società alla pagamento della differenza tra l’ordinaria retribuzione di propria
spettanza e quanto percepito a titolo di trattamento di CIGS.
La Corte d’appello di Torino, in estrema sintesi, precisa che:
a) la attuale controversia presenta aspetti solo marginalmente diversi dai numerosi giudizi già
decisi da questa Corte in ordine al ricorso alla CIGS da parte della FIAT AUTO s.p.a. (cui poi è
succeduta FIAT GROUP AUTOMOBILES s.p.a.) a partire dal dicembre 2002;
b) infatti, la società COMAU — in particolare, nel ramo di azienda denominato “Service”,
destinato alla fornitura di servizi di manutenzione e assistenza di funzionamento degli impianti di
produzione della FIAT — svolgeva una attività “interdipendente” rispetto all’attività produttiva della
FIAT;
c) pertanto, benché nel presente caso la causa della sospensione sia stata solo indirettamente
individuata nella crisi del mercato automobilistico, tuttavia, in considerazione della ripercussione di
tale crisi sull’attività della società COMAU, il ricorso alla CIGS da parte di quest’ultima società si è
collocato nell’ambito delle analoghe sospensioni disposte dalle aziende del gruppo;
d) conseguentemente la comunicazione di avvio della procedura di CIGS è avvenuta — come
per la FIAT — in data 31 ottobre 2002, inoltre in entrambe le procedure i criteri di individuazione
dei lavoratori da sospendere sono stati individuati nello stesso modo e anche la disciplina della
sospensione “in via continuativa” è stata la medesima;
e) del resto, le questioni attualmente prospettate dalla società COMAU sono del tutto
sovrapponibili, nella sostanza, a quelle già esaminate nelle numerose sentenze riguardanti la CIGS
del gruppo FIAT, nelle quali è stato sottolineato che, in base all’art. 1, comma 7, della legge n. 223
del 1991 — la cui disciplina non è stata modificata dall’art. 2, comma 5, del d.P.R. n. 218 del 2000
— il datore di lavoro fin dall’inizio della procedura aveva l’obbligo di indicare per iscritto i criteri di
scelta e le ragioni dell’eventuale mancata previsione della rotazione tra i dipendenti;

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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

f) nella specie, i criteri indicati nella comunicazione di avvio della procedura erano generici,
in quanto non consentivano di verificare la coerenza tra il criterio indicato e la selezione dei
lavoratori da sospendere, il che rendeva illegittima la sospensione in CIGS dei dipendenti;
g) inoltre, l’accordo intervenuto tra datore e 00.SS. in data 18 settembre 2003, a conclusione
della procedura di consultazione, non poteva assumere efficacia sanante delle rilevate omissioni,
ripercuotendosi sull’intera procedura il vizio originario della comunicazione.

Entrambe le parti depositano anche memorie ex art. 378 cod. proc. civ.
MOTIVI DELLA DECISIONE
I — Sintesi ed esame delle censure

1.—I motivi del presente ricorso contestano — consapevolmente — i numerosi e univoci
precedenti di questa Corte di cassazione riguardanti il ricorso alla CIGS da parte della FIAT AUTO
s.p.a. (cui poi è succeduta FIAT GROUP AUTOMOBILES s.p.a.) a partire dal dicembre 2002 e le
cormesse problematiche, senza offrire argomenti idonei a modificare gli orientamenti consolidati in
essi espressi, assurti al rango di “diritto vivente” (vedi, fra le più recenti: Cass. 31 gennaio 2011, n.
2155, n. 2156 e n. 2157 del 2011; Cass. 21 febbraio 2011, n. 4151 e n. 4152; Cass. 5 giugno 2012,
n. 9084; Cass. 5 febbraio 2013, n. 2586; Cass. 6 febbraio 2013, n. 2862 e n. 2863; Cass. 19 febbraio
2013, n. 4117).
Come esattamente risulta dalla sentenza attualmente impugnata — e come riconosce anche
l’attuale ricorrente — il ricorso alla CIGS da parte della COMAU s.p.a. si è collocato nell’ambito
delle analoghe sospensioni disposte dalle aziende del gruppo FIAT, tanto che la comunicazione di
avvio della procedura di CIGS è avvenuta — come per la FIAT — in data 31 ottobre 2002, con
l’applicazione dei medesimi criteri di individuazione dei lavoratori da sospendere e con la
previsione della stessa disciplina della sospensione “in via continuativa”.
Del resto, la società COMAU — in particolare nel ramo di azienda denominato “Service” — si
occupava della fornitura di servizi di manutenzione e assistenza di funzionamento degli impianti di
produzione della FIAT sicché la crisi del mercato automobilistico posta a base della scelta della
FIAT di fare ricorso, a partire dal dicembre 2002, alla CIGS non poteva non avere ripercussione
sull’attività della società COMAU.
2.—Tutte le censure hanno il loro fulcro nelle doglianze avanzate con il primo motivo, con il
quale la società ricorrente denuncia — in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ. — violazione o
falsa applicazione: a) della legge 15 marzo 1997, n. 59, art. 20, in relazione alla legge n. 223 del
1991, art. 1 e al d.P.R. n. 218 del 2000; b) dell’art. 15 delle preleggi, in relazione al rapporto fra il
d.P.R. n. 218 del 2000 e la legge n. 223 del 1991, art. 1.

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2.— Il ricorso della COMAU s.p.a. domanda la cassazione della sentenza per cinque motivi;
resiste, con controricorso, Salvatore Romano.

Ne consegue che la questione fondamentale posta a base del ricorso è quella di stabilire se la
Corte d’appello abbia correttamente applicato la legge n. 223 del 1991, art. 1, commi 7 e 8, o se la
normativa in questione debba ritenersi implicitamente abrogata dal d.P.R. n. 218 del 2000.

2.1.- La tesi principale della COMAU è che il suindicato decreto, emanato in forza della legge
15 marzo 1997, n. 59, art. 20, avrebbe delegificato il procedimento amministrativo di autorizzazione
e concessione della CIGS e, quindi, tutti i suoi momenti od atti coordinati e collegati in serie (frase
preparatoria, introduttiva, di istruzione e di decisione), con abrogazione implicita di tutte le
disposizioni già vigenti.
Ne deriverebbe che le modalità di rotazione e l’indicazione delle ragioni che eventualmente la
escludono, potrebbero essere indicate non solo con la comunicazione di apertura della procedura
inviata alle 00.SS., ma anche all’esito dell’esame congiunto tra imprenditore ed 00.SS. sulla crisi
aziendale e sulle conseguenti esigenze di organizzazione della produzione.
Nel caso di specie, le parti sindacali avevano raggiunto un accordo circa le modalità della
rotazione il 18 settembre 2003, all’esito dell’esame congiunto, dopo che la COMAU, nel dicembre
2002, aveva aderito al più generale Accordo di programma, il cui perfezionamento costituiva la
base per l’assunzione di impegni amministrativi da parte del Governo a supporto del superamento
della più generale crisi aziendale. Avrebbe dunque errato il Giudice del merito a ritenere preminente
il presupposto formale della comunicazione e della consultazione rispetto al contenuto dell’accordo
raggiunto con le 00.SS. il 18 settembre 2003, che assumeva invece valore sanante; ne sarebbe,
infatti, rimasta esclusa la possibilità per le parti stipulanti di elaborare in corso di trattativa criteri
diversi di gestione della crisi (vedi: quinto motivo di ricorso).
2.2.- Conseguenza di tale erronea preminenza assegnata al dato formale, sarebbe stata la
disapplicazione del verbale di esame congiunto del Ministero del Lavoro del 5 dicembre 2002, (cui
ha fatto seguito l’emissione del decreto ministeriale di autorizzazione della CIGS) avente natura di
atto pubblico a contenuto certificativo, costituente prova della procedura di consultazione svolta con
la mediazione governativa (vedi: secondo motivo di ricorso).
La comunicazione 31 ottobre 2002 di avvio della procedura di CIGS — che individuava come
criterio per la scelta dei lavoratori interessati alla sospensione dell’attività lavorativa quello delle
“esigenze tecniche, organizzative e produttive, avuto riguardo anche alle esigenze professionali e
funzionali delle attività di supporto e di staff” — era comunque idonea allo scopo di esternare le
intenzioni del datore di lavoro in ordine alle ricadute del programma di superamento della crisi
aziendale in relazione alla situazione dei singoli lavoratori, pur residuando la possibilità di
procedere a specificazione in sede di esame congiunto, all’esito dell’acquisizione da parte delle
00.SS. di una completa informazione(vedi: terzo motivo di ricorso).
2.3.- In ogni caso, avrebbe dovuto essere valutata in concreto la posizione soggettiva dei
singoli dipendenti — e, per quel che qui interessa, di Salvatore Romano — in quanto, ove pure per
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Tutti gli altri motivi sono strettamente collegati — tra loro e al suddetto primo motivo — sicché
la totalità delle censure deve essere trattata unitariamente.

3.- Per quanto riguarda la questione principale (vedi sopra paragrafo 2) deve osservarsi che la
legge 23 luglio 1991, n. 223 — che ha introdotto una visione organica della COS, ricollegandone la
fruizione a particolari requisiti soggettivi dell’impresa e all’esistenza di uno stato di crisi aziendale,
nonché alla proposizione da parte dell’imprenditore di precisi programmi, limitati nel tempo —
prevede che dopo l’accertamento dello stato di crisi e l’approvazione dei programmi e per tutta la
loro durata, all’esito di una articolata procedura, il Ministero del Lavoro con decreto conceda il
trattamento straordinario di integrazione salariale (arti. 1-2). Il datore di lavoro deve scegliere i
lavoratori da collocare in CIGS, adottando meccanismi di rotazione tra i dipendenti che svolgono le
stesse mansioni e sono occupati nell’unità produttiva interessata.
I “criteri di individuazione dei lavoratori” e “le modalità della rotazione” sono oggetto di
consultazione sindacale, in forza del dettato normativo, che impone la loro comunicazione alle
00.SS. e l’esame congiunto di cui alla legge 20 maggio 1975, n. 164, art. 5.
Qualora il datore, per ragioni di carattere tecnico-organizzativo, non intenda attuare la
rotazione dovrà indicarne i motivi nel programma di ristrutturazione (legge n. 223, art. 1, commi 7 e
8). Il Ministro del lavoro, pur approvando il programma e concedendo la cassa integrazione, può
ritenere non giustificata la non adozione della rotazione e promuovere un incontro tra le parti. Ove
non si pervenga ad un accordo entro tre mesi dalla concessione del trattamento di integrazione il
Ministro stabilisce l’adozione di meccanismi di rotazione sulla base delle proposte formulate dalle
parti (comma 8, secondo periodo).
3.1.- Su tale assetto è intervenuto il d.P.R. 10 giugno 2000, n. 218, emanato per delega
conferita dalla legge di semplificazione amministrativa 15 marzo 1997, n. 59, art. 20, che ha inserito
il procedimento per la concessione della CIGS – come regolato dalla legge n. 223 del 1991 – tra
quelli sottoposti a delegificazione mediante regolamento emesso ai sensi della legge 23 agosto
1988, n. 400, art. 17, comma 2, (art. 20, comma 8, in relazione al n. 90 dell’allegato 1 alla legge
stessa).
I rapporti tra le due fonti sono stati definiti dalla consolidata e condivisa giurisprudenza di
questa Corte nel senso che la disciplina del d.P.R. n. 218 non ha abrogato la legge n. 223 del 1991 e
ha lasciato, quindi, intatti gli oneri di comunicazione fissati dall’art. 1 di quest’ultima. Il d.P.R. n.
218 non ha inciso, infatti, sulle disposizioni del combinato disposto della legge n. 164 del 1975, art.
5 e della legge n. 223 del 1991, art. 1, comma 7 – riguardanti l’obbligo datoriale di comunicare alle
organizzazioni sindacali, in avvio della procedura, i criteri di individuazione dei lavoratori da
sospendere nonché le modalità di rotazione poste da tali disposizioni in capo dell’imprenditore atteso che la disciplina da esso fissata attiene unicamente alla fase propriamente amministrativa del
procedimento di concessione della integrazione salariale (vedi, per tutte: Cass. 28 novembre 2008,
n. 28464).
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ragioni formali fosse dichiarata illegittima tutta la procedura, pur tuttavia avrebbe dovuto valutato
se la risoluzione di collocare i lavoratori in CIGS fosse coerente con i criteri di scelta concretamente
indicati ab initio nella comunicazione di avvio della procedura sindacale (vedi: quarto motivo di
ricorso).

Può, dunque, affermarsi con questa impostazione (poi ripresa da numerose altre sentenze, tra
le quali quelle dianzi citate sopra al paragrafo 1) si è stabilito che:
a) in base alla legge n. 223 del 1991, art. 1, comma 7, il datore è tenuto a comunicare alle
00.SS. i criteri di scelta dei lavoratori da sospendere, in relazione a quanto previsto dalla legge n.
164 del 1975, art. 5;

c) tale ultima disciplina non ha abrogato o modificato le suindicate disposizioni ma si è
limitata a regolamentare in modo diverso il procedimento amministrativo, di rilevanza pubblica, di
concessione di integrazione salariale.
3.2.- Ad analoga conclusione questa Corte è pervenuta per quel che riguarda gli obblighi
datoriali di rilevanza collettiva (legge n. 223, art. 1, commi 7 e 8), precisando che la detta normativa
regolamentare non ha spostato l’informazione sui criteri di scelta e sulle modalità della rotazione
dal momento iniziale della comunicazione di avvio della procedura a quello immediatamente
successivo dell’esame congiunto, in quanto, altrimenti, il contenuto della norma di cui al d.P.R. n.
218 cit., art. 2 sarebbe estraneo all’esigenza di semplificazione del procedimento amministrativo e
avrebbe come conseguenza solo l’alleggerimento degli oneri della parte datoriale con compressione
dei diritti di informazione spettanti al sindacato, dando luogo ad un sistema di consultazione
sindacale palesemente inadeguato (vedi, per tutte: Cass. 9 giugno 2009 n. 13240 e Cass. 1 luglio
2009 n. 15393, entrambe emanate a conclusione del procedimento per condotta antisindacale
promosso dalle 00.SS. nei confronti della FIAT con riferimento alla procedura di CIGS, avviata
con la comunicazione del 31 ottobre 2002, cui si collega quella della COMAU ora in esame).
4.- Sulla base di queste considerazioni, all’esito dell’esame delle questioni sub 3.1 e 3.2, può
ritenersi corretto l’assunto della Corte torinese secondo cui – pur dopo l’entrata in vigore del d.P.R.
n. 218 del 2000 – la comunicazione che il datore, ai sensi della legge n. 164 del 1975, art. 5, è tenuto
a dare alle rappresentanze sindacali aziendali debba contenere l’indicazione dei criteri di
individuazione dei lavoratori da sospendere e le modalità della rotazione, i quali solo in un
momento successivo dovranno costituire dell’esame congiunto.
5.- A ciò consegue l’irrilevanza della questione attinente il rilievo assegnato alla
documentazione di provenienza ministeriale (vedi sub paragrafo 2.2), in quanto, se i criteri di
individuazione e le modalità di rotazione devono essere indicate ab initio nella comunicazione di
avvio, è superfluo esaminare la tesi che assegna valore asseverativo ad un documento che attesta
che quell’indicazione è avvenuta solo in un momento successivo, e cioè in sede di esame congiunto.
6.- Neppure può sostenersi che l’accordo del 18 settembre 2003 abbia sanato ogni eventuale
vizio della procedura attivata con la lettera del 31 ottobre 2002.

Va precisato, infatti, che la giurisprudenza richiamata al riguardo dalla ricorrente (Cass. 2
agosto 2004, n. 14721, Cass. 21 agosto 2003, n. 12307 ed altre) non si attaglia alla presente
5

b) la suddetta normativa tutela, nella gestione della cassa integrazione, i diritti dei singoli
lavoratori e le prerogative delle 00.SS., anche dopo l’entrata in vigore della disciplina del d.P.R. 10
giugno 2000, n. 218;

Nel caso di specie, invece, l’accordo — intervenuto a procedura già iniziata e quando molte
centinaia di lavoratori erano già stati posti in cassa integrazione — si è limitato a formulare un
generale sistema di rotazione a partire dall’aprile 2003, senza alcuna indicazione in merito al
procedimento di individuazione dei soggetti interessati, il che esclude quel carattere esaustivo sopra
rilevato.
Inoltre, per il fatto di essere intervenute a procedura già iniziata, le modalità concordate in
sede di accordo non possono soddisfare l’essenziale esigenza cui la preventiva comunicazione è
preposta, e cioè quella di consentire — non solo alle 00.SS. ma anche ai lavoratori coinvolti nella
procedura — di confrontarsi sul punto, tanto prima che dopo il raggiungimento dell’accordo, di
verificare se l’utilizzo della cassa integrazione da parte del datore di lavoro sia coerente al
programma di superamento della crisi adottato e, quindi, di tutelare la loro posizione individuale,
nella sostanza controllando il potere del datore di disporre il collocamento in cassa integrazione
(vedi, tra le altre: anche Cass. 10 maggio 2010, n. 11254 e Cass. 19 febbraio 2013, n. 4115).
7.- La Corte territoriale, escludendo il carattere sanante dell’accordo del 18 settembre 2003 ed
assegnando natura ostativa alla omissioni della comunicazione, si è attenuto ad una lettura della
normativa basata su un principio pacifico, affermato da Cass. S.U. 11 maggio 2000, n. 302, secondo
cui, in caso di intervento straordinario di integrazione salariale, per l’attuazione di un programma di
ristrutturazione, riorganizzazione o conversione aziendale che implichi una temporanea eccedenza
di personale, il provvedimento di sospensione dall’attività lavorativa è illegittimo qualora il datore
— sia che intenda adottare il meccanismo della rotazione sia nel caso contrario — ometta di
comunicare alle 00.SS., ai fini dell’esame congiunto, gli specifici criteri, eventualmente diversi
dalla rotazione, di individuazione dei lavoratori che debbono essere sospesi (in base al combinato
disposto della legge n. 223 del 1991, art. 1, comma 7, e legge n. 164 del 1975, art. 5, commi 4 e 5) e
la suddetta illegittimità può essere fatta valere dai lavoratori interessati davanti al giudice ordinario,
in via incidentale, per ottenere il pagamento della retribuzione piena e non integrata.
8.- Quanto all’incidenza della comunicazione 31 ottobre 2002 sulla posizione del lavoratore
(vedi sopra paragrafo 2.3), va ricordato che la giurisprudenza di questa Corte ha, da tempo,
affermato che “i criteri di individuazione dei lavoratori da sospendere …”, di cui alla legge n. 223
del 1991, art. 1, debbono essere connotati dal requisito della specificità, ovvero, dalla “idoneità dei
medesimi ad operare la selezione e nel contempo a consentire la verifica della corrispondenza della
scelta ai criteri”, precisando che l’aggettivazione “non individua una specie nell’ambito del genere
criterio di scelta ma esprime la necessità che esso sia effettivamente tale, e cioè in grado di operare
da solo la selezione dei soggetti da porre in cassa integrazione”, atteso che “un criterio di scelta
generico non è effettivamente tale, ma esprime soltanto, non un criterio, ma un generico indirizzo
6

fattispecie in quanto detta giurisprudenza ha esaminato delle situazioni nelle quali l’accordo era
stato esaustivo delle esigenze conoscitive e di esternazione imposte dal combinato normativo della
legge n. 164, art. 5 e della legge n. 223, art. 1, commi 7 e 8, sicché, per tale ragione, è stato
affermato che sarebbe solo inutile formalismo imporre al datore di comunicare alle 00.SS. i criteri
di selezione individuati proprio con le parti sociali (Cass. 3 maggio 2004, n. 8353).

nella scelta” (vedi, per tutte: Cass. 1 luglio 2009, n. 15393, che richiama Cass. 23 aprile 2004, n.
7720 e fa chiaro riferimento a Cass. S.U. n. 302 del 2000, citata).
Tale specificità non è stata riscontrata dalla Corte d’appello che – analizzando il contenuto
specifico dei documenti in considerazione – ha ritenuto non evidenziato con sufficiente specificità il
percorso aziendale che ha portato all’individuazione dei singoli lavoratori da sospendere in cassa
integrazione. Si tratta di valutazioni di merito che, in quanto congruamente motivate, non sono
suscettibili di censura in sede di legittimità.
Conclusioni

9.- In sintesi, il ricorso è infondato e deve essere rigettato. Le spese del presente giudizio di
cassazione — liquidate nella misura indicata in dispositivo — seguono la soccombenza e vanno
distratte in favore dell’Avv. Roberto Carapelle, dichiaratosi antistatario.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente
giudizio di cassazione, liquidate in euro 50,00 (cinquanta/00) per esborsi, euro 3000,00 (tremila/00)
per compensi professionali, oltre accessori come per legge, con distrazione in favore
dell’antistatario Avv. Roberto Carapelle.
Così deci o in Roma Ila camera di consiglio della Sezione lavoro, il 22 aprile 2013.

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