Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19417 del 17/09/2020

Cassazione civile sez. lav., 17/09/2020, (ud. 30/06/2020, dep. 17/09/2020), n.19417

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – rel. Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1699-2017 proposto da:

L.G., domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR presso LA

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato CLAUDIO LALLI;

– ricorrente –

contro

A.R.S.T. S.P.A. – Azienda Regionale Sarda Trasporti, in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA PAOLA FALCONIERI n. 100, presso lo studio dell’avvocato

PAOLA FIECCHI, rappresentata e difesa dall’avvocato GIUSEPPE

MACCIOTTA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 227/2016 della CORTE D’APPELLO DI CAGLIARI

SEZ. DIST. DI SASSARI, depositata il 16/06/2016 R.G.N. 272/2014.

 

Fatto

RILEVATO IN FATTO

1. il Tribunale di Sassari aveva dichiarato la nullità del termine apposto al contratto di lavoro con decorrenza dal 27.11.2009, stipulato tra la A.R.S.T. – Azienda Regionale Sarda Trasporti SPA (anche A.R.S.T., di seguito) e L.G., aveva dichiarato la conversione del rapporto a termine in rapporto a tempo indeterminato, aveva condannato l’Azienda al risarcimento in misura pari 4 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto;

2. la Corte di Appello di Cagliari, adita dalla A.R.S.T. in via principale e dal L. in via incidentale, ha condiviso la sentenza impugnata quanto alla ritenuta illegittimità della clausola di durata ed ha evidenziato che la stessa mancava della necessaria specificità;

3. la Corte territoriale, pur dubitando della perdurante vigenza della L.R. n. 16 del 1974, art. 23 istitutiva dell’Azienda Regionale Sarda Trasporti come ente dotato di personalità di diritto pubblico, avuto riguardo alla disciplina transitoria contenuta nella L.R. n. 21 del 2005, che aveva trasformato l’Azienda in società per azioni, ha ritenuto che l’invocata conversione del rapporto a termine in rapporto a tempo indeterminato era, comunque, impedita dal D.L. n. 112 del 2008, art. 18, comma 2, convertito dalla L. n. 133 del 2008, con il quale il legislatore aveva imposto alle società a totale partecipazione pubblica di adottare metodi di reclutamento del personale rispettosi dei criteri di trasparenza, pubblicità e imparzialità;

4. la Corte territoriale accogliendo l’appello principale della ARST e rigettando l’appello incidentale del lavoratore, ha richiamato la L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 5 e ha rideterminato l’indennità risarcitoria in 2,5 dell’ultima retribuzione avuto riguardo al fatto che era intercorso un solo contrato a tempo determinato ed al fatto che il rapporto aveva avuto una durata breve; ha escluso che la L. n. 300 del 1970, art. 18, potesse essere applicata alla vicenda dedotta in giudizio “poichè nel caso in discussione è irrilevante la dimensione aziendale”;

5. avverso questa sentenza L.G. ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi, illustrati da successiva memoria, al quale l’A.R.S.T. ha resistito con controricorso;

sintesi dei motivi del ricorso.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

6. con il primo motivo è denunciata: violazione del D.L. n. 112 del 2008, art. 18, comma 2, convertito in L. n. 133 del 2008 e conseguente violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001 (per la ritenuta mancata abrogazione delle prime due norme ad opera del D.Lgs. n. 368 del 2001, per avere la Corte territoriale escluso la possibilità di conversione del rapporto a termine in rapporto a tempo indeterminato), motivazione omessa o comunque contraddittoria su un punto decisivo della controversia costituito dalla esistenza o meno di una modalità di reclutamento rispettosa dei criteri di trasparenza pubblicità e imparzialità; violazione e falsa applicazione dell’art. 36 Cost., comma 1 e della Direttiva 1999/70/CE;

7. il ricorrente invoca i principi affermati da questa Corte con la sentenza n. 23702/2013 per sostenere che per le società partecipate la previsione di criteri di trasparenza per l’assunzione del personale non comporta anche il divieto di conversione dei rapporti a termine in rapporti a tempo indeterminato e asserisce che l’affermata esclusione della conversione del rapporto di lavoro dedotto in giudizio in rapporto di lavoro a tempo indeterminato contrasta con le disposizioni contenute nel D.Lgs. n. 368 del 2001, con l’art. 36 Cost. e con la Direttiva 1999/70/CE;

8. con il secondo motivo è denunciata è denunciata violazione e/o falsa applicazione del D.L. n. 702 del 1978, e del D.L. n. 702 del 1978, convertito con modd. nella L. 8 gennaio 1979, n. 3, e violazione degli art. 3 Cost., art. 36 Cost., comma 1 e art. 97 Cost., per avere la Corte territoriale, nel negare la possibilità di conversione del rapporto di lavoro dedotto in giudizio in rapporto di lavoro a tempo indeterminato conversione, disatteso i principi affermati da questa Corte nella sentenza n. 23702 del 2013; il ricorrente richiama le prospettazioni difensive sviluppate nel primo motivo e, inoltre, addebita alla Corte territoriale il vizio di motivazione omessa e contraddittoria su un punto decisivo della controversia costituito dalla esistenza o meno di una modalità di reclutamento rispettosa dei criteri di trasparenza pubblicità e imparzialità.

9. con il terzo motivo è denunciata la violazione del principio di effettività del risarcimento del danno conseguente falsa applicazione della liquidazione equitativa, vizio di motivazione, conseguente violazione degli artt. 1218,1219,1223,1224,1225 e 1226 c.c.; il ricorrente richiama la sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte n. 5072/2016, sostiene che trova applicazione la L. n. 183 del 2010, art. 32 e assume che sul lavoratore non grava alcun onere probatorio in ordine al pregiudizio subito a causa della illegittima apposizione del termine;

10. in via preliminare va respinta l’eccezione di inammissibilità del ricorso formulata dalla controricorrente in quanto i requisiti imposti dall’art. 366 c.p.c., rispondono ad un’esigenza che non è di mero formalismo, perchè finalizzati a consentire al giudice di legittimità di acquisire il quadro degli elementi fondamentali in cui si colloca la decisione impugnata, indispensabile per comprendere il significato e la portata delle censure;

11. non è, quindi, necessario che la sentenza venga trascritta nei suoi esatti termini, essendo sufficiente che il ricorrente individui e sintetizzi le ragioni sulle quali poggia la decisione e li confuti con argomenti specificamente riferibili al “decisum”, ragioni che il ricorrente ha esplicitato nelle prospettazioni difensive sviluppate a sostegno dei vizi addebitati alla sentenza impugnata;

esame dei motivi;

12. è utile premettere che è indiscusso (cfr. conclusioni dell’appellato appellante incidentale riprodotte nella sentenza impugnata p. 2, memoria ricorrente ultima pagina ultimo capoverso) che il L. ha lavorato alle dipendenze della odierna controricorrente in virtù di un unico (cfr. sentenza impugnata pg. 9) contratto a tempo determinato avente decorrenza 27.11.2009;

13. le censure che attengono alla questione relativa alla conversione dei rapporti a tempo determinato in rapporti a tempo determinato stipulati dalla A.R.S.T. (primo e secondo motivo), da scrutinarsi congiuntamente in ragione della connessione logica che le avvince, sono già state affrontate da questa Corte in numerose pronunce (Cass. n. 6818/2018; Cass. n. 6672/2018; Cass. n. 5525/2018; Cass. n. 5524/2018; Cass. n. 5395/2018; Cass. n. 4897/2018; Cass. n. 4358/2018; Cass. n. 3621/2018) relative a fattispecie nelle quali, come nel caso in esame, veniva in rilievo la stipulazione di contratti a tempo determinato stipulati con la A.R.S.T. nella vigenza del D.L. 25 giugno 2008, n. 112, art. 18, conv. con modd. dalla L. 6 agosto 2008, n. 133;

14. nelle sentenze innanzi richiamate è stato affermato che:

15. il D.L. n. 112 del 2008, art. 18, convertito con modificazioni dalla L. n. 133 del 2008, nel testo applicabile “ratione temporis” risultante dalle modifiche apportate dalla L. n. 102 del 2009, di conversione del D.L. n. 78 del 2009, al comma 1 estende alle società a totale partecipazione pubblica che gestiscono servizi pubblici locali i criteri stabiliti in tema di reclutamento del personale dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 35, comma 3, ed al comma 2 prescrive alle “altre società a partecipazione pubblica totale o di controllo” di adottare “con propri provvedimenti criteri e modalità per il reclutamento del personale e per il conferimento degli incarichi nel rispetto dei principi, anche di derivazione comunitaria, di trasparenza, pubblicità e imparzialità”;

16. il comma 2 bis (introdotto dal D.L. 1 luglio 2009 n. 78, art. 19, comma 1, convertito, con modificazioni, dalla L. 3 agosto n. 102 del 2009 e non applicabile “ratione tempris” alla vicenda in esame) prevede che “le disposizioni che stabiliscono, a carico delle amministrazioni di cui al D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 1, comma 2, e successive modificazioni, divieti o limitazioni alle assunzioni di personale si applicano, in relazione al regime previsto per l’amministrazione controllante, anche alle società a partecipazione pubblica locale totale o di controllo che siano titolari di affidamenti diretti di servizi pubblici locali senza gara, ovvero che svolgano funzioni volte a soddisfare esigenze di interesse generale aventi carattere non industriale nè commerciale, ovvero che svolgono attività nei confronti della pubblica amministrazione a supporto di funzioni amministrative di natura pubblicistica inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall’Istituto nazionale di statistica (ISTAT) ai sensi della L. 30 dicembre 2004, n. 311, art. 1, comma 5”;

17. il legislatore nazionale, pur mantenendo ferma la natura privatistica dei rapporti di lavoro, sottratti alla disciplina dettata dal D.Lgs. n. 165 del 2001, ha inteso estendere alle società partecipate i vincoli procedurali imposti alle amministrazioni pubbliche nella fase del reclutamento del personale, perchè l’erogazione di servizi di interesse generale pone l’esigenza di selezionare secondo criteri di merito e di trasparenza i soggetti chiamati allo svolgimento dei compiti che quell’interesse perseguono (C.d.S. – Sezione Consultiva per gli atti normativi n. 2415/2010);

18. la norma recepisce i principi affermati dalla Corte Costituzionale già a partire dalla sentenza n. 466/1993, con la quale il Giudice delle leggi ha osservato che il solo mutamento della veste giuridica dell’ente non è sufficiente a giustificare la totale eliminazione dei vincoli pubblicistici, ove la privatizzazione non assuma anche “connotati sostanziali, tali da determinare l’uscita delle società derivate dalla sfera della finanza pubblica”;

19. la giurisprudenza costituzionale distingue, dunque, la privatizzazione sostanziale da quella meramente formale (Corte Cost. nn. 29/2006, 209/2015, 55/2017) e sottolinea che in detta seconda ipotesi viene comunque in rilievo l’art. 97 Cost., del quale il D.L. n. 112 del 2008, art. 18, costituisce attuazione, tanto da vincolare il legislatore regionale ex art. 117 Cost. (Corte Cost. n. 68/2011);

20. in tema di società partecipate le Sezioni Unite di questa Corte, chiamate a pronunciare sul riparto di giurisdizione fra giudice ordinario, contabile ed amministrativo, hanno evidenziato che la partecipazione pubblica non muta la natura di soggetto privato della società la quale, quindi, resta assoggettata al regime giuridico proprio dello strumento privatistico adoperato, salve specifiche disposizioni di segno contrario o ragioni ostative di sistema che portino ad attribuire rilievo alla natura pubblica del capitale impiegato e del soggetto che possiede le azioni della persona giuridica (cfr. fra le più recenti Cass. S.U. n. 24591/2016 e con riferimento ai rapporti di lavoro Cass. S.U. n. 7759/2017);

21. detta ricostruzione sistematica è stata fatta recentemente propria dal legislatore che del D.Lgs. n. 165 del 2016, art. 1, comma 3 (Testo Unico delle società a partecipazione pubblica) ha previsto che “Per tutto quanto non derogato dalle disposizioni del presente decreto, si applicano alle società a partecipazione pubblica le norme sulle società contenute nel codice civile e le norme generali di diritto privato”;

22. quanto ai rapporti di lavoro l’art. 19 richiama al comma 1 “le disposizioni del capo 1, titolo 2, del libro 5 del codice civile, delle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell’impresa, ivi incluse quelle in materia di ammortizzatori sociali, secondo quanto previsto dalla normativa vigente, e dai contratti collettivi” facendo, però, salve le diverse disposizioni speciali dettate dallo stesso decreto che, per quel che qui rileva, art. 19, comma 2, impone alle società a controllo pubblico di stabilire “criteri e modalità per il reclutamento del personale nel rispetto dei principi, anche di derivazione Europea, di trasparenza, pubblicità e imparzialità e dei principi di cui al D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 35, comma 3” ed al comma 4 prevede espressamente la nullità dei contratti di lavoro stipulati in difetto dei provvedimenti e delle procedure di cui al comma 2;

23. il legislatore del Testo Unico, quindi, pur ribadendo la non assimilabilità delle società partecipate agli enti pubblici e l’inapplicabilità ai rapporti di lavoro dalle stesse instaurati delle disposizioni dettate dal D.Lgs. n. 165 del 2001, ha previsto significative deroghe alla disciplina generale, che trovano la loro giustificazione nella natura del socio unico o maggioritario e negli interessi collettivi da quest’ultimo curati, sia pure attraverso il ricorso allo strumento societario;

24. dai principi affermati dalla giurisprudenza costituzionale e di legittimità nonchè dell’evoluzione del quadro normativo non si può prescindere nel pronunciare sulle conseguenze che derivano dalla violazione del D.L. n. 112 del 2008, art. 18, norma richiamata nella sentenza impugnata, e sui riflessi della normativa speciale rispetto a quella generale dettata in tema di contratti di lavoro flessibile;

25. quanto al primo aspetto, premesso che non può dubitarsi del carattere imperativo della disposizione in commento, l’omesso esperimento delle procedure concorsuali previste dal comma 1 e di quelle selettive richiamate nel comma 2 determini la nullità del contratto ai sensi dell’art. 1418 c.c., comma 1, perchè la violazione attiene al momento genetico della fattispecie negoziale e, quindi, la stessa non può essere solo fonte di responsabilità a carico del contraente inadempiente;

26. le Sezioni Unite di questa Corte (Cass. S.U. n. 26724 del 2017), nel delimitare l’ambito delle cosiddette nullità virtuali, hanno osservato che in linea generale occorre tener conto della “tradizionale distinzione tra norme di comportamento dei contraenti e norme di validità del contratto: la violazione delle prime, tanto nella fase prenegoziale quanto in quella attuativa del rapporto, ove non sia altrimenti stabilito dalla legge, genera responsabilità…. ma non incide sulla genesi dell’atto negoziale, quanto meno nel senso che non è idonea a provocarne la nullità”;

27. hanno, però, precisato che le norme che incidono sulla validità del contratto non sono solo quelle che si riferiscono alla struttura o al contenuto del regolamento negoziale ma anche quelle che “in assoluto, oppure in presenza o in difetto di determinate condizioni oggettive o soggettive, direttamente o indirettamente, vietano la stipulazione stessa del contratto: come è il caso dei contratti conclusi in assenza di una particolare autorizzazione al riguardo richiesta dalla legge, o in mancanza dell’iscrizione di uno dei contraenti in albi o registri cui la legge eventualmente condiziona la loro legittimazione a stipulare quel genere di contratto, e simili; se il legislatore vieta, in determinate circostanze, di stipulare il contratto e, nondimeno, il contratto viene stipulato, è la sua stessa esistenza a porsi in contrasto con la norma imperativa; e non par dubbio che ne discenda la nullità dell’atto per ragioni – se così può dirsi – ancor più radicali di quelle dipendenti dalla contrarietà a norma imperativa del contenuto dell’atto medesimo”;

28. l’omesso esperimento delle procedure concorsuali o selettive non genera solo responsabilità contabile a carico dei dirigenti delle società partecipate, posto che l’individuazione del contraente con modalità difformi da quelle prescritte dal legislatore, si risolve nella mancanza in capo a quest’ultimo dei requisiti soggettivi necessari per l’assunzione;

29. in merito al rapporto fra procedura concorsuale del D.Lgs. n. 165 del 2001 e contratto di lavoro, si è osservato che “sussiste un inscindibile legame fra la procedura concorsuale ed il rapporto di lavoro con l’amministrazione pubblica, poichè la prima costituisce l’atto presupposto del contratto individuale, del quale condiziona la validità, posto che sia la assenza sia la illegittimità delle operazioni concorsuali si risolvono nella violazione della norma inderogabile dettata dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 35, attuativo del principio costituzionale affermato dall’art. 97, comma 4, della Carta fondamentale” (Cass. n. 13884/2016).

30. va esclusa la portata innovativa del D.Lgs. n. 175 del 2016, art. 19, comma 4, che, nel prevedere espressamente la nullità dei contratti stipulati in violazione delle procedure di reclutamento, ha solo reso esplicita una conseguenza già desumibile dai principi sopra richiamati in tema di nullità virtuali in quanto sugli effetti del mancato rispetto degli obblighi imposti dal D.L. n. 112 del 2008, art. 18, la giurisprudenza di merito aveva espresso orientamenti opposti, sicchè la nuova normativa assume anche una valenza chiarificatrice della disciplina previgente (sulla possibilità che la norma sopravvenuta, seppure non di interpretazione autentica, possa non essere innovativa cfr. in motivazione Cass. S.U. n. 18353/2014 e Cass. n. 20327/2016).

31. Va affermato che per le società a partecipazione pubblica il previo esperimento delle procedure concorsuali e selettive condiziona la validità del contratto di lavoro, non può che operare il principio richiamato innanzi secondo cui anche per i soggetti esclusi dall’ambito di applicazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36, la regola della concorsualità imposta dal legislatore, nazionale o regionale, impedisce la conversione in rapporto a tempo indeterminato del contratto a termine affetto da nullità;

32. diversamente opinando si finirebbe per eludere il divieto posto dalla norma imperativa che, come già evidenziato, tiene conto della particolare natura delle società partecipate e della necessità, avvertita dalla Corte Costituzionale, di non limitare l’attuazione dei precetti dettati dall’art. 97 Cost., ai soli soggetti formalmente pubblici bensì di estenderne l’applicazione anche a quelli che, utilizzando risorse pubbliche, agiscono per il perseguimento di interessi di carattere generale;

33. dette conclusioni non contrastano con quanto affermato da Cass. n. 23702/2013 perchè in quel caso veniva in rilievo un contratto a termine stipulato in epoca antecedente all’entrata in vigore del D.L. n. 112 del 2008 e, quindi, in un contesto normativo diverso da quello che disciplina il contratto dedotto in giudizio;

34. le Sezioni Unite di questa Corte con le sentenze nn. 28330/2011 e 7759/2017, ribadita la inapplicabilità del D.Lgs. n. 165 del 2001, hanno solo escluso la giurisdizione del giudice amministrativo in relazione alle procedure concorsuali e selettive previste dal D.L. n. 112 del 2008, art. 18, commi 1 e 2, ma non hanno pronunciato sulle questioni che qui vengono in rilievo;

35. non v’è il denunciato contrasto con la direttiva 1999/70/CE e la eccepita illegittimità costituzionale della normativa per violazione dell’art. 3 Cost.;

36. la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha da tempo chiarito che spetta alle autorità nazionali adottare misure adeguate per far fronte agli abusi nella reiterazione dei contratti a termine e che queste ultime possono essere anche diverse dalla conversione in rapporto a tempo indeterminato, purchè rispettino i principi di equivalenza e siano sufficientemente effettive e dissuasive per garantire l’efficacia delle norme adottate in attuazione dell’Accordo quadro recepito dalla direttiva (v. da ult. C. Giust. UE, 12 dicembre 2013, C-50/13, Papalia; Id., 7 settembre 2006, C-53/03, Marrosu e Sardino; Id., 7 settembre 2006, C-180/04, Vassallo; Id., 4 luglio 2006, C212/04, Adeneler);

37. la Corte Costituzionale, che ha evidenziato la assimilabilità al lavoro pubblico dei rapporti instaurati con le società partecipate, ha escluso che una difformità di trattamento con l’impiego privato, rispetto alla sanzione generale della conversione di cui al D.Lgs. n. 368 del 2001, possa dirsi ingiustificata ove vengano in rilievo gli interessi tutelati dall’art. 97 Cost., ed in particolare le esigenze di imparzialità e di efficienza dell’azione amministrativa (Corte Cost. nn. 89/2003), esigenze che ad avviso della stessa Corte stanno alla base della disciplina dettata dal richiamato del D.L. n. 112 del 2008, art. 18 (Corte Cost. n. 68/2011);

38. il Collegio ritiene di dare continuità ai principi affermati nelle sentenze richiamate nel punto n. 13 di questa ordinanza condividendone tutte le ragioni esposte, da intendersi qui richiamate ex art. 118 disp. att. c.p.c., atteso che il ricorrente nel ricorso e nella memoria ex art. 380 bis c.p.c., non apporta argomenti decisivi che impongano la rimeditazione dell’orientamento giurisprudenziale innanzi richiamato, posto che la sentenza di questa Corte n. 5063 del 2018, invocata dal ricorrente nella memoria, costituisce un precedente isolato, superato dalle sentenze nn. Cass. n. 6818/2018; Cass. n. 6672/2018; Cass. n. 5525/2018; Cass. n. 5524/2018; Cass. n. 5395/2018);

39. tutte le considerazioni svolte determinano il rigetto del primo e del secondo motivo;

40. il terzo motivo il motivo così come proposto è inammissibile.

41. il ricorrente si duole del criterio di liquidazione del danno adottato dalla Corte d’Appello, in quanto il risarcimento, equitativo e forfettario, non sarebbe effettivo come, invece, nel caso della corresponsione di tutte le retribuzioni dalla scadenza del contratto alla sentenza.

42. in tal modo, tuttavia, prescinde, sia pure quanto al profilo risarcitorio, dall’intera “ratio decidendi” della statuizione del giudice di appello che ha come inscindibile presupposto logico-giuridico la legittima impossibilità di dare corso alla trasformazione e riconoscere al lavoratore un posto di lavoro a tempo indeterminato, a cui consegue la non assimilabilità della mancata trasformazione a voce di danno.

43. nè, pur richiamando la clausola 5 dell’accordo quadro allegato alla direttiva 1999/70 CE, considera che si è in presenza di un unico contratto.

44. quanto all’applicazione del D.Lgs. n. 183 del 2010, art. 32, statuizione che va ribadito non è stata impugnata dalla resistente ARST, il ricorrente non ne contesta la quantificazione, nè ha dedotto di aver allegato e provato danni ulteriori.

45. sono inammissibili, in applicazione dei principi affermati dalle Sezioni Unite di questa Corte nelle sentenze n. 8053 e n. 8054 del 2014, le censure che addebitano alla sentenza impugnata un generico vizio motivazionale (secondo motivo) ovvero il vizio di il vizio di omessa e comunque contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia (primo e secondo motivo) perchè estranee al perimetro del mezzo impugnatorio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel testo sostituito dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), convertito, con modificazioni, nella L. 7 agosto 2012, n. 134 (applicabile “ratione temporis” perchè la sentenza impugnata è stata pubblicata il 9 gennaio 2015);

46. in conclusione il ricorso va rigettato;

47. le spese, nella misura liquidata in dispositivo, seguono la soccombenza;

48. ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto (Cass. S.U. n. 4315/2020).

P.Q.M.

La Corte.

Rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 4.000,00 per compensi professionali, Euro 200,00 per esborsi, oltre 15%per rimborso spese generali forfetarie, oltre IVA e CPA.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 30 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 17 settembre 2020

 

 

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