Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19414 del 22/08/2013


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 19414 Anno 2013
Presidente: BERRUTI GIUSEPPE MARIA
Relatore: VINCENTI ENZO

Ud. 21/06/2013

SENTENZA
PU

sul ricorso 28359-2007 proposto da:
HENKEL

ITALIA

00100960608,

S.P.A.
in

(gia’

persona

del

HENKEL

S.P.A.)

Presidente

e

Amministratore delegato dott. VINCENZO VITELLI,
elettivamente domiciliata in ROMA, VIA L. BISSOLATI
76, presso lo studio dell’avvocato TOMMASO SPINELLI
GIORDANO, che la rappresenta e difende unitamente
all’avvocato DEL CONTE ELIO giusta delega in atti;
– ricorrente contro

FOSTER S.P.A.;

Data pubblicazione: 22/08/2013

- intimato –

sul ricorso 103-2008 proposto da:
FOSTER S.P.A. 00156900468, in persona del legale
rappresentante pro tempore GIORGIO MARTINI,
elettivamente domiciliata in ROMA, VIA LUDOVISI 35,

che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato
MENCHINI SERGIO giusta delega in atti;
– ricorrente contro

HENKEL ITALIA S.P.A.(gia’ HENKEL S.P.A.) 00100960608,
in persona del Presidente e Amministratore delegato
dott. VINCENZO VITELLI, elettivamente domiciliata in
ROMA, VIA L. BISSOLATI 76, presso lo studio
dell’avvocato TOMMASO SPINELLI GIORDANO, che la
rappresenta e difende unitamente all’avvocato DEL
CONTE ELIO giusta delega in atti;
– controricorrente –

avverso la sentenza n. 714/2007 della CORTE D’APPELLO
di GENOVA, depositata il 08/06/2007 R.G.N. 2004/2005;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 21/06/2013 dal Consigliere Dott. ENZO
VINCENTI;
udito l’Avvocato NICOLA RIVELLESE per delega;
udito l’Avvocato MARIO GIUSEPPE RIDOLA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore

2

presso lo studio dell’avvocato RIDOLA MARIO GIUSEPPE,

Generale Dott. GIANFRANCO SERVELLO che ha concluso
per l’accoglimento del ricorso principale, assorbito
il 1 0 motivo del ricorso incidentale e rigetto del 2 °

motivo dell’incidentale.

3

RITENUTO IN FATTO
1.

– La Foster S.p.A., operante nel settore della

produzione e commercializzazione dei capi di abbigliamento,
la cui attività ricomprendeva anche la fase del relativo
lavaggio, acquistava dal rivenditore Detersivificio Fratelli
Bertozzi n. 4073 confezioni di prodotto ammorbidente

applicazione in sede di lavaggio aveva determinato, nei capi
con esso trattati, delle variazioni di colore in
corrispondenza delle parti ripiegate, manifestatesi circa
trenta giorni dopo il lavaggio stesso.
Sicché la Foster S.p.A. conveniva in giudizio la Henkel
S.p.A. per sentirla condannare al risarcimento di tutti i
danni patiti a seguito dell’utilizzo dell’anzidetto prodotto.
Nel contraddittorio delle parti, l’adito Tribunale di
Massa, espletata l’istruttoria con consulenza tecnica,
rigettava la domanda attrice.
2.

– A seguito di gravame interposto dalla Foster

S.p.A., la Corte di appello di Genova, con sentenza resa
pubblica l’8 giugno 2007, riformava la sentenza di primo
grado ed accoglieva in parte la domanda risarcitoria
dell’appellante, originaria attrice, condannando la Henkel
S.p.A. al risarcimento del danno nella misura di euro
139.951,06, oltre accessori.
2.1. – La Corte territoriale, inquadrata la fattispecie
nell’ambito della responsabilità da prodotti difettosi, ai
sensi del d.P.R. 24 maggio 1988, n. 224 – normativa alla cui
applicazione non era ritenuto di ostacolo la “qualificazione
professionale della parte attrice” – assumeva che la causa
del danno era da riconoscersi, alla stregua delle risultanze
della c.t.u. espletata in corso di giudizio, “nell’avvenuta
sottoposizione di tessuti fatti oggetto di tintura con
coloranti diretti all’azione di ammorbidenti cationici”

3 Ls

denominato “PID”, prodotto dalla Henkel S.p.A., la cui

quale era il prodotto PID della Henkel – il cui uso aveva
determinato una alterazione dei colori dei tessuti così
trattati; alterazione che avrebbe potuto essere evitata solo
con l’utilizzo di ammorbidenti di tipo non ionico.
Ciò posto, il giudice di appello osservava che sulla
confezione del prodotto “non compariva alcuna indicazione che
segnalasse la necessità dell’impiego dell’ammorbidente solo

di tessuti a colorazione diretta”; ciò che si sarebbe reso
viepiù necessario tenuto conto delle dimensioni delle
confezioni del prodotto (di capienza di 4 litri ciascuna),
“certamente congruenti (anche) con la destinazione ad uso
industriale”. Ne conseguiva che il prodotto era da reputarsi
“difettoso” ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 5 del
d.P.R. n. 224 del 1988, là dove, inoltre, le conoscenze
scientifiche e tecniche al momento della sua messa in
circolazione erano tali da doversi ritenere nozione acquisita
quella della diminuzione della solidità dei colori dei
tessuti trattati con coloranti diretti ad opera del detersivo
cationico utilizzato per il loro lavaggio.
2.2. – La Corte di appello di Genova riteneva, altresì,
sussistente un concorso di responsabilità, nella misura di un
terzo del totale, in capo alla Foster S.p.A., giacché la
stessa versava “in una situazione professionale non
compatibile con un cieco affidamento nelle apparenti o
presumibili caratteristiche del prodotto, e tale da
consentirle, e da suggerirle, nel contesto dell’esperienza
maturata nell’utilizzazione industriale di prodotti del
genere, l’acquisizione degli elementi informativi e
l’adozione dei controlli preventivi che avrebbero evitato il
verificarsi dell’evento dannoso”. La Henkel S.p.A. veniva
così condannata a risarcire il danno nella misura dei due
terzi del totale.

4

per bucato a mano e ne sconsigliasse l’uso per il trattamento

3. – Per la cassazione di tale sentenza ricorre la
Henkel S.p.A., sulla base di un unico motivo, illustrato da
memoria.
Resiste con controricorso la Foster S.p.A., che ha
altresì proposto ricorso incidentale sulla base di due
motivi, di cui uno condizionato all’accoglimento del ricorso
principale.

controricorso avverso il ricorso incidentale.
Entrambe le parti hanno depositato memoria ai sensi
dell’art. 378 cod. proc. civ.
CONSIDERATO IN DIRITTO
l. – Preliminarmente, i ricorsi vanno riuniti ai sensi
dell’art. 335 cod. proc. civ., in quanto proposti avverso la
medesima sentenza.
1.1. – Sempre in via preliminare, va sin d’ora respinta
l’eccezione, sollevata dalla parte ricorrente, di tardività
del controricorso (cui è unito il ricorso incidentale), in
quanto risulta rispettato il termine di cui all’art. 370 cod.
proc. civ. Il ricorso, infatti, è stato notificato il 6
novembre 2007 e, dunque, il termine (di venti giorni) per il
deposito scadeva il successivo 26 novembre; sicché il termine
(di ulteriori venti giorni) per la notificazione del
controricorso scadeva il 16 dicembre 2007, che però cadeva di
domenica, con la conseguenza che lo stesso termine era
prorogato il giorno seguente 17 dicembre 2007, nel quale il
controricorso, per l’appunto, è stato spedito per la
notifica.
2. – Con l’unico motivo di ricorso principale della
Henkel S.p.A., è denunciata violazione e falsa applicazione
dell’art. 11 del d.P.R. 24 maggio 1988, n. 224.
La ricorrente osserva che la Corte territoriale, nel
decidere la controversia, ha fatto esclusivo riferimento alla
disciplina dettata dal d.P.R. n. 224 del 1988, errando però
nel ritenere la sua applicabilità alla fattispecie, posto che
5

La Henkel (divenuta Henkel Italia S.p.A.) ha proposto

l’art. 11 di detto decreto riserva la risarcibilità per
prodotto difettoso alla “distruzione” o al “deterioramento di
una cosa diversa dal prodotto difettoso, purché di tipo
normalmente destinato all’uso o consumo privato e così
principalmente utilizzato dal danneggiato”, là dove la Foster
S.p.A. era, incontestatamente, impresa industriale e
commerciale nel campo dell’abbigliamento, la quale non aveva

definitiva, la tutela apprestata dal citato d.P.R. n. 224 del
1988 riguarderebbe soltanto il consumatore e non già il
professionista, come la società attrice.
Viene, quindi, formulato il seguente quesito di diritto:
“se l’utilizzatore del prodotto ritenuto difettoso ai sensi
del DPR 224/1998 che abbia riportato un danno come previsto
dall’art. 11, lettera b, del suddetto decreto, abbia o meno
diritto alla tutela prevista da detta normativa qualora non
ne faccia uso o consumo privato, ma lo impieghi nel quadro
della sua attività imprenditoriale”.
3. – Il motivo è ammissibile e fondato.
3.1. – Sotto il primo profilo, vanno infatti disattese
entrambe le eccezioni sollevate dalla società
controricorrente, le quali attengono, l’una, all’inidoneità,
ex art. 366-bis cod. proc. civ., del quesito di diritto che
assiste il mezzo (profilo che, in ogni caso, è rilevabile
d’ufficio) e, l’altra, alla asserita denuncia di “una
valutazione di merito effettuata dal giudice del gravame”.
Invero, il formulato quesito appare sufficientemente
adeguato allo scopo, giacché in esso, seppur non si faccia
esplicito riferimento alla singolarità del caso, si assume
comunque la presenza degli elementi caratterizzanti la
fattispecie e la ratio decidendl della sentenza impugnata e
cioè la qualità professionale della parte danneggiata e la
affermata applicabilità del d.P.R. n. 224 del 1998 in
costanza di detto elemento fattuale.

6

utilizzato l’ammorbidente PID per “uso e consumo privato”. In

Inoltre, il vizio è prospettato effettivamente come
violazione di legge, giacché si postula essenzialmente
l’erroneità del principio giuridico applicato nella
controversia dal giudice del merito, deducendosi che l’art.
11, lett. b), del d.P.R. n. 224 non consentirebbe di tutelare
il professionista, non essendo in contestazione la qualità di
imprenditori delle parti in causa e il danno provocato dal

privato (come la merce confezionata dalla Foster S.p.A. e
destinata alla vendita).
Peraltro, non tocca il profilo qui esaminato il fatto
che la ricorrente abbia in parte frainteso il significato
della anzidetta norma, intendendo la relazione tra la cosa e
il suo uso o consumo privato quella investente il prodotto
difettoso e non già quella concernente la cosa danneggiata,
posto che la corretta interpretazione della legge è rimessa
al giudice, là dove, nella specie, rimane in ogni caso
evidente che il motivo è orientato a censurare
l’inapplicabilità del d.P.R. n. 224 del 1998 nella presente
controversia.
3.2. – Sulla fondatezza del motivo, si osserva quanto
segue.
3.2.1.

– L’art.

11 del citato d.P.R.,

recante

“Attuazione della direttiva CEE numero 85/374 relativa al
ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari
e amministrative degli Stati membri in materia di
responsabilità per danno da prodotti difettosi, ai sensi
dell’art. 15 della legge 16 aprile 1987, n. 183” – in vigore
nel periodo in cui si sono verificati i fatti all’origine
della presente controversia (anno 1990) – detta (va) la
disciplina del “danno risarcibile”, disponendo quanto segue:
“È risarcibile in base alle disposizioni del presente
decreto: a) il danno cagionato dalla morte o da lesioni
personali; b) la distruzione o il deterioramento di una cosa
diversa dal prodotto difettoso, purché di tipo normalmente
7

prodotto difettoso a beni non destinati all’uso e consumo

destinato all’uso o consumo privato e così principalmente
utilizzata dal danneggiato” (comma l). “Il danno a cose è
risarcibile solo nella misura che ecceda la somma di euro
trecentottantasette” (comma 2).
La disposizione mutua, senza discostarsene, l’art. 9
della direttiva 85/374/CEE – di cui, per l’appunto, è (stato)
attuazione – il quale, a sua volta, recitava: «Ai sensi

dalla morte o da lesioni personali,

b)

il danno o la

distruzione di una cosa diversa dal prodotto difettoso,
previa detrazione di una franchigia di 500 ECU, purché la
cosa i) sia del tipo normalmente destinato all’uso o consumo
privato e

il)

sia stata utilizzata dal danneggiato

principalmente per proprio uso o consumo privato. Il presente
articolo lascia impregiudicate le disposizioni nazionali
relative ai danni morali».
L’art. l della direttiva del 1985 – come, poi, l’art. l
del d.P.R. n. 224 – afferma che “il produttore è responsabile
del danno causato da un difetto del suo prodotto”.
In definitiva, l’art. 11 del d.P.R. del 1988, come già
l’art. 9 della direttiva, limita l’area del danno
risarcibile, selezionando, con ciò stesso, gli ambiti della
tutela predisposta dalla normativa, di matrice comunitaria,
in materia di responsabilità per danno da prodotti difettosi.
La medesima tecnica legislativa si registra nel codice
del consumo, di cui al d.lgs. 6 settembre 2005, n. 206 (che
ha sostituito, abrogandolo, il d.P.R. n. 224 del 1988), il
cui Titolo II si occupa, infatti, della responsabilità per
danno da prodotti difettosi, riproponendo all’art. 123 la
stessa formulazione del previgente art. 11 (salvo minimi
adattamenti resi necessari dalla diversità del corpo
normativo nel quale si innerva).
3.2.2. – Ritiene il Collegio che la legittimazione ad
avvalersi della tutela sostanziale predisposta dall’art. 11,
comma l, lett. b), del d.P.R. n. 224 del 1998 per il
8

dell’articolo l, per “danno” si intende: a) il danno causato

risarcimento del danno alle cose (che solo interessa nella
fattispecie) debba essere circoscritta in ragione ed in
funzione della indicazione che si desume dallo stesso tenore
della norma e, dunque, con esclusione della cosa destinata
all'”uso professionale”.
3.2.3. – In tale prospettiva, non può anzitutto
disconoscersi che vi sia convergenza del significato

(lett. b, dell’art. 11) con la ratio della tutela
somministrata dall’intero provvedimento e quale assunta,
significativamente, dalla normativa europea recepita, là
dove, quest’ultima, si orienta – come emerge dai suoi
“considerando” (segnatamente, primo, sesto e nono) primariamente alla protezione del consumatore.
Appare, dunque, coerente con siffatte premesse la
previsione per cui la cosa distrutta o deteriorata, diversa
dal prodotto difettoso, sia soltanto quella destinata, in
forza del suo standard di normalità, “all’uso o consumo
privato” e proprio secondo siffatta destinazione la stessa
cosa debba essere “principalmente utilizzata dal
danneggiato”.
3.2.4. – Un siffatto approdo ermeneutico, come detto, è
tributario della evidente sovrapposizione tra i due
significanti che fissano la portata semantica delle
rispettive disposizioni, quella della direttiva comunitaria e
quella della norma nazionale di recepimento. Ma non solo,
giacché al formante dell’anzidetto esito ermeneutico
concorre, proprio in forza del rapporto che sussiste tra le
due fonti, la cd. interpretazione adeguatrice al diritto
sovranazionale, che si avvale della sostanza della
giurisprudenza della Corte di giustizia nella materia.
Già con la sentenza del 10 maggio 2001, in C-203/99,
(Véedfald),

la Corte di Lussemburgo ebbe a precisare che

“l’art. 9 della direttiva deve essere interpretato nel senso
che, fatta eccezione per il danno morale – il cui
9

letterale della specifica disposizione da interpretarsi

risarcimento dipende esclusivamente dalle norme di diritto
interno – e per le esclusioni risultanti dalle precisazioni
apportate da tale disposizione con riferimento ai danni a
cose, uno Stato membro non può limitare i tipi di danno
materiale, derivanti da morte o da lesioni personali, o di
danno cagionato a una cosa o consistente nella distruzione di
una cosa, che saranno risarciti”. Là dove le ricordate

fatto che “il danno dev’essere d’importo pari o superiore a
500 Euro, mentre la cosa danneggiata dev’essere del tipo
normalmente destinato all’uso o consumo privato ed essere
stata utilizzata come tale dalla vittima”.
Una tale delimitazione [ribadita con la sentenza 25
aprile 2002, in C-154/00
Ellenica)]

(Commissione c. Repubblica

risulta del tutto evidente in forza della più

recente sentenza 4 giugno 2009, in C-258/08

(goteurs Leroy

Sonar), con cui si è affermato che, «sia dal testo che dalla
sistematica della direttiva 85/374, e particolarmente dai
suoi artt. l e 9 nonché dal suo nono “considerando”, che il
risarcimento dei danni cagionati ad una cosa destinata ad un
uso professionale e utilizzata in tal senso non fa parte
degli aspetti che la direttiva disciplina», non essendo
«siffatti danni … riconducibili al termine “danno” ai sensi
dell’art. l della direttiva 85/374, così come definito al suo
art. 9».
Con ciò, la Corte di giustizia, riconoscendo che
nell’ambito di disciplina e di tutela della citata direttiva
non è ricompreso il risarcimento dei danni cagionati ad una
cosa destinata ad un uso professionale e utilizzata in tal
senso, ha, tuttavia, ritenuto che ciò non impedisca “ad uno
Stato membro di prevedere a tal proposito un regime di
responsabilità corrispondente a quello instaurato dalla
direttiva stessa”.
Sicché, mutando il proprio precedente orientamento di
segno contrario – espresso, tra le altre, dalle sentenze C10

“precisazioni” riferite al danno alle cose riguardavano il

154/00, citata, e dalla coeva C-52/00
Repubblica Francese) –

(Commissione c.

radicato su una lettura restrittiva

anche dell’art. 13 della stessa direttiva 85/374/CEE (par cui
il regime attuato da quest’ultima “non esclude l’applicazione
di altri regimi di responsabilità contrattuale o
extracontrattuale purché essi si basino su elementi diversi,
come la garanzia dei vizi occulti o la colpa”) in ragione di

armonizzazione” delle legislazioni nazionali, la Corte di
Lussemburgo ha concluso “che la direttiva 85/374 deve essere
interpretata nel senso che essa non osta all’interpretazione
di un diritto nazionale ovvero all’applicazione di una
giurisprudenza interna consolidata secondo cui il danneggiato
può chiedere il risarcimento del danno cagionato ad una cosa
destinata ad un uso professionale e utilizzata in tal senso,
qualora detto danneggiato fornisca solamente la prova del
danno, del difetto del prodotto e del nesso causale tra il
suddetto difetto e il danno”.
Il diritto nazionale, coerentemente interpretato dalla
relativa giurisprudenza, alla base di tale recente mutamento
giurisprudenziale [confermato, in relazione ad ulteriori
aspetti della regolamentazione di settore, dalla sentenza 21
dicembre 2011, in C-495/10
de Besanpon),

(Centre hospitalier universitaire

“nell’ottica di rafforzamento della tutela del

consumatore”] è quello francese di recepimento della
direttiva in esame, avvenuto tramite la novellazione del
codice civile ad opera della legge n. 1998-389
(successivamente modificata dalla legge n. 2004-1343, con
l’introduzione della franchigia), il cui art. 1386-2 recita:
“Les dispositions du présent
réparation du dommage

qui

titre

s’appliquent à la

résulte d’une atteinte à la

personne. Elles s’appliquent également à la réparation du
dommage supérieur à un montant déterminé par décret,

qui

résulte d’une atteinte à un bien autre que le produit
défectueux lui-méme”.

11

esigenze, allora ritenute prevalenti, di “completa

Appare, dunque, evidente come tale norma, nel dare
attuazione alla direttiva 85/374/CEE, abbia – quanto al
risarcimento del danno alle cose – fatto riferimento al
pregiudizio “causato ad un bene diverso dal prodotto
difettoso stesso”, così da consentire una sua
interpretazione, effettivamente adottata dal “diritto
vivente” francese, ricomprensiva di “tutti i danni causati ai

citata sentenza in C-52/00 della Corte di giustizia).
3.2.5. – Analoga estensione applicativa non è consentita
in riferimento alla disposizione di cui all’art. 11, comma l,
lett. b), del d.P.R. n. 224 del 1988, che traspone fedelmente
l’art. 9 della direttiva 85/374/CEE e, dunque, può e deve
essere intesa coerentemente con la norma comunitaria, con la
conseguenza che anche la norma nazionale limita la
risarcibilità del danno alle cose normalmente destinate
all’uso o consumo privato e come tali utilizzate dalla
vittima, non consentendo, quindi, che in base al d.P.R. n.
224 del 1988 possano essere risarcite le cose destinate ad un
uso professionale e utilizzate in tal senso.
Pertanto, nella specie, è da escludere che la Foster
S.p.A. possa essere risarcita per il danno cagionato dal
prodotto della Henkel Italia S.p.A. (ammorbidente denominato
“PID”), che si assume difettoso, ai capi di abbigliamento
confezionati dalla stessa Foster e destinati alla vendita sul
mercato di settore, trattandosi, per l’appunto, di cose
destinate ad uso professionale e come tali utilizzate.
Peraltro, alla stregua di quanto messo in risalto dalla
più recente giurisprudenza europea, l’esclusione, nel caso di
specie, della tutela apprestata dal d.P.R. n. 224 del 1998
non inibisce, di per sé, che il danno possa essere comunque
risarcito in forza di altra (anche analoga) disciplina sulla
cui base si riconosca la responsabilità del produttore per i
pregiudizi arrecati dal prodotto difettoso alle cose ad uso
professionale.

12

beni privati e non privati” (come messo in risalto dalla

Del resto, questa Corte ha già avuto modo di affermare
che, “anche prima della entrata in vigore del d.P.R. 24
maggio 1988, n. 224, che disciplina la responsabilità del
produttore con effetto non retroattivo, ma secondo criteri
anche in precedenza applicabili per la loro coerenza logica
con quelli che regolano la responsabilità aquiliana, il danno
subito da colui che si serve di una cosa poteva essere

ed il costruttore poteva essere chiamato a risponderne, ai
sensi dell’art. 2043 cod. civ.” (Cass., 29 settembre 1999,
n. 10274; Cass., 3 aprile 2003, n. 5164).
3.2.6. – La soluzione cui si è pervenuti nella presente
controversia non confligge con quella assunta da questa
stessa Sezione in forza della sentenza n. 13458 del 29 maggio
2013, secondo la quale la legittimazione al risarcimento, in
base al d.P.R. n. 224 del 1988, si correla «al rischio
derivante dal prodotto difettoso, riferendosi la tutela
accordata all'”utilizzatore” in senso lato, e, quindi,
indubbiamente ad una persona fisica … ma non esclusivamente
al “consumatore” o all’utilizzatore non professionale».
In quell’occasione veniva in rilievo l’applicazione
della lett. a) del comma l dell’art. 11 del citato d.P.R. e
cioè l’ipotesi “danno causato dalla morte o da lesioni
personali”; si trattava, difatti, del danno da lesioni
(parestesie a due dita della mano destra) subito da un
medico-chirurgo per l’utilizzo, durante un intervento
chirurgico, di una pinza da taglio ad ultrasuoni, che si
assumeva difettosa.
La diversità tra le due fattispecie, regolate da
disposizioni differenti (sebbene inserite nello stesso
provvedimento con forza di legge) e concernenti la tutela di
beni distinti, non consente, dunque, di sovrapporre, di per
sé, gli esiti interpretativi che rispettivamente le
riguardano. Non solo l’apparato argomentativo che attiene
alla fattispecie di cui alla lett. b) dell’art. 11 si avvale
13

addebitato ad un difetto di costruzione della cosa medesima

di

un

sedimentato

orientamento

giurisprudenziale

sovranazionale che, parimenti, non si rinviene in relazione
alla lett. a), ma, soprattutto, non può sottacersi la
particolarità della formulazione di quest’ultima disposizione
(analogamente a quella dell’art. 9 della direttiva
comunitaria attuata), che non mostra altra specificazione che
non sia quella della natura del danno, con ciò sembrando

assumono i beni tutelati e cioè quelli della vita e della
integrità fisica.
4. – Con il primo motivo di impugnazione incidentale,
assistito da quesito

ex art. 366-bis cod. proc. civ., la

Foster S.p.A. denuncia vizio di motivazione “nella parte in
cui configura il concorso colposo di Foster S.p.A. nel fatto
dannoso per mancata adozione di controlli preventivi”.
La Corte territoriale avrebbe insufficientemente
motivato là dove ha ritenuto sussistente il concorso di
responsabilità della Foster per essersi essa astenuta, in
quanto operatore professionale del settore, dal predisporre
controlli preventivi e dall’acquisire elementi informativi
sul prodotto difettoso. Difatti, nell’atto di citazione
originario si dava conto dell’effettuazione, da parte della
medesima Foster nel maggio 1990, di prove di lavaggio con
ammorbidente PID di cui erano state acquistate 16 confezioni,
quale elemento che sarebbe riscontrato dalla fattura di
acquisto allegata in atti.
4.1. – Con il secondo mezzo del ricorso incidentale è
riproposta la “questione di applicabilità dell’art. 2043 c.c.
ai fatti accertati, anche ai fini di una eventuale decisione
nel merito ex art. 384, 2 ° comma, c.p.c.”.
4.2. – Il ricorso incidentale è tutto
dall’accoglimento del ricorso principale, giacché

assorbito
con tale

statuizione cade il presupposto stesso dell’intera decisione
sulla responsabilità della Henkel, che la Corte territoriale

14

fornire, di per sé, la misura stessa dell’importanza che

ha incentrato esclusivamente sull’applicazione della tutela
recata dal d.P.R. n. 224 del 1988.
5. – Va, dunque, accolto il ricorso principale e
dichiarato assorbito quello incidentale, con conseguente
cassazione della sentenza impugnata e rinvio della causa alla
Corte di appello di Genova, in diversa composizione.
Il giudice del rinvio dovrà attenersi al seguente

lett. b), del d.P.R. 24 maggio 1988, n. 224 limita la
risarcibilità del danno alle cose, diverse dal prodotto
difettoso, normalmente destinate all’uso o consumo privato e
come tali utilizzate dal danneggiato, escludendo, quindi, che
possano essere risarcite le cose destinate ad un uso
professionale e utilizzate in tal senso, come, nella specie,
i capi di abbigliamento confezionati dalla società attrice e
destinati dalla stessa alla vendita sul mercato di settore,
danneggiati dal prodotto della società convenuta, che si
assume difettoso”.
In applicazione di detto principio il giudice del rinvio
dovrà, quindi, nuovamente valutare il fondamento dell’azione
risarcitoria promossa dalla Foster S.p.A., facendo
riferimento ad una disciplina di tutela diversa da quella
dettata dal citato d.P.R. e sulla cui base, in ragione del
corredo allegatorio delle parti, provvederà ad apprezzare se
sussista, o meno, la dedotta responsabilità del produttore.
Il giudice del rinvio provvederà, infine, anche alla
regolamentazione delle spese del presente giudizio di
legittimità.
PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE
riunisce i ricorsi;
accoglie il ricorso principale della Henkel Italia
S.p.A. (già Henkel S.p.A.) e dichiara assorbito quello
incidentale della Foster S.p.A.;

15

principio di diritto: “La norma di cui all’art. 11, comma l,

cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte
di appello di Genova, in diversa composizione, anche per la
regolamentazione delle spese del presente giudizio di
legittimità.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della
Sezione Terza civile della Corte suprema di Cassazione, in

data 21 giugno 2013.

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