Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19414 del 18/07/2019

Cassazione civile sez. VI, 18/07/2019, (ud. 14/03/2019, dep. 18/07/2019), n.19414

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. CIGNA Mario – rel. Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

Dott. D’ARRIGO Cosimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3027-2018 proposto da:

M.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA BENACO 5,

presso lo studio dell’avvocato MARIA CHIARA MORABITO, rappresentato

e difeso dall’avvocato GIUSEPPE VILLA;

– ricorrente –

contro

COMUNE di FERMO, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA BANCO DI S. SPIRITO, 48, presso lo studio

dell’avvocato AUGUSTO D’OTTAVI, rappresentato e difeso dall’avvocato

RENATO COLA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1635/2017 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 03/11/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 14/03/2019 dal Consigliere Relatore Dott. CIGNA

MARIO.

Fatto

RILEVATO

che:

Con citazione 22-5-2007 M.A. convenne in giudizio il Comune di Fermo per sentirlo dichiarare responsabile del sinistro occorsogli il 29-8-2004 in (OMISSIS), allorquando, mentre assisteva alla manifestazione delle Frecce Tricolori nella (OMISSIS), era caduto a causa della pavimentazione sconnessa ed aveva subito un danno, consistente in un trauma discorsivo del piede destro con frattura del quinti metatarso, per il quale chiese, a titolo di risarcimento, il pagamento della complessiva somma di Euro 73.313,64.

Con sentenza 633/2011 del 10-10-2011 l’adito Tribunale di Fermo, nel contradditorio con il Comune, espletata l’istruttoria, rigettò la domanda.

Con sentenza 1635/2017 del 3-11-2017 la Corte d’Appello di Ancona ha rigettato il gravame proposto dal M.; nello specifico la Corte territoriale ha concordato con il primo Giudice in ordine alla carenza di prova sulla dinamica del sinistro (in particolare sulla riferita caduta del M. in una buca e sulla stessa presenza della detta buca sul manto stradale) e, conseguentemente, sul difetto di responsabilità del Comune; al riguardo ha evidenziato, innanzitutto, che i testi P. e T. nulla avevano riferito sulla dinamica del sinistro e sulla stessa presenza della buca sul manto stradale e, in secondo luogo, che dalle depositate fotografie non si evinceva la presenza di fossi o buche sul piano stradale della piazza comunale; la cosa, pertanto, doveva ritenersi custodita in tutta sicurezza ed inidonea ex se a generare un danno a terzi, e quindi non oggettivamente pericolosa, mentre il comportamento del M., che nel frangente non aveva adottato alcuna minima cautela, doveva considerarsi quale caso fortuito idoneo ad interrompere il nesso di causalità con la res.

Avverso detta sentenza il M. propone ricorso per Cassazione, affidato ad un unico motivo.

Il Comune di Fermo resiste con controricorso.

Il relatore ha proposto la trattazione della controversia ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c.; detta proposta, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio non partecipata, è stata ritualmente notificata alle parti.

Entrambe le parti hanno depositato ulteriore memoria.

Considerato che:

Con l’unico motivo il M. deduce “violazione dell’art. 365 c.p.c., in relazione agli art. 115,116 e 132 c.p.c., per avere il Giudice di Appello disatteso una prova legale, ritenendola falsamente inesistente, ed omettendo, pertanto, di valutare un fatto decisivo della controversia, specifico oggetto dei motivi di impugnazione, rendendo una decisione palesemente contraria alle obiettive risultanze istruttorie”; nello specifico il ricorrente si duole che la Corte abbia omesso di esaminare un fatto decisivo per il giudizio, trascurando di valutare in modo autonomo le fotografie prodotte dall’attore e l’esistenza della buca sul piano di calpestio, violando in tal modo l’art. 115 c.p.c..

Il motivo è inammissibile.

Contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, il dedotto fatto decisivo è stato espressamente preso in considerazione dalla Corte territoriale, che ha esaminato sia le fotografie in atti, ritenendo che dalle stesse non si evincesse “la presenza di fossi o di buche sul piano stradale della piazza comunale”, sia l’esistenza della buca, evidenziando che i testi P. e T. nulla avevano riferito “in ordine alla presenza di una buca sul manto stradale in cui l’attore asserisce di essere finito prima di cadere rovinosamente a terra”.

La censura è quindi inammissibile, in quanto, pur facendo riferimento agli artt. 115,116 e 132 c.p.c., si risolve in una diversa valutazione del materiale probatorio, non consentita in sede di legittimità, a maggior ragione dopo la novella dell’art. 360 c.p.c., n. 5, che ha ridotto al minimo costituzionale il controllo in sede di legittimità sulla motivazione (v. Cass. sez. unite 8053, 8054 e 19881 del 2014); v. anche Cass. 11892/2016, secondo cui il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 nè in quello del precedente n. 4, disposizione che – per il tramite dell’art. 132 c.p.c., n. 4 – dà rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante.

In particolare la doglianza, ove sostiene che la Corte abbia disatteso una “prova legale”, è inammissibile anche per genericità, non essendo stato in alcun modo specificato quale fosse detta “prova legale”; in ogni modo, qualora il ricorrente avesse inteso fare riferimento alla certificazione 13-11-2017 del Cancelliere della Corte d’Appello di Ancona in ordine all’esistenza negli atti di ufficio della perizia tecnica di parte del geometra G. ed all’allegata documentazione fotografica, la censura è comunque infondata, avendo la Corte (come detto) fatto espresso riferimento alle fotografie in atti.

Per completezza, ove il riferimento agli artt. 115,116 e 132 c.p.c. fosse da intendere come violazione di legge, va rilevato che non sussiste la violazione dell’art. 116 c.p.c. (norma che sancisce il principio della libera valutazione delle prove, salva diversa previsione legale), che, come precisato da Cass. 11892 del 2016 e ribadito (in motivazione) da Cass. S.U. 16598/2016, è idonea ad integrare il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 4, solo quando (e non è il caso di specie) il giudice di merito disattenda tale principio in assenza di una deroga normativamente prevista, ovvero, all’opposto, valuti secondo prudente apprezzamento una prova o risultanza probatoria soggetta ad un diverso regime.

Nè sussiste la violazione dell’art. 115 c.p.c., che, come precisato dalla cit. Cass. 11892/2016, può essere dedotta come vizio di legittimità solo denunciando che il giudice ha dichiarato espressamente di non dover osservare la regola contenuta nella norma, ovvero ha giudicato sulla base di prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, e non anche quando (come nella specie) il medesimo, nel valutare le prove proposte dalle parti, ha apprezzato le stesse in modo non conforme con quello auspicato dalla parte.

Non sussiste infine la violazione dell’art. 132 c.p.c..

Costituisce consolidato principio di questa Corte che la mancanza di motivazione, quale causa di nullità per mancanza di un requisito indispensabile della sentenza, si configura “nei casi di radicale carenza di essa, ovvero del suo estrinsecarsi in argomentazioni non idonee a rivelare la “ratio decidendi” (cosiddetta motivazione apparente), o fra di loro logicamente inconciliabili, o comunque perplesse od obiettivamente incomprensibili (Cass. 20112/2009; Cass. sez unite 8053/2014); nella specie la Corte di appello ha espresso le ragioni della adottata decisione, con argomentazioni logicamente conciliabili, non perplesse ed obiettivamente comprensibili.

Alla luce di tali considerazioni, pertanto, il ricorso va dichiarato inammissibile.

Le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, poichè il ricorso è stato presentato successivamente al 30-1-2013 ed è stato rigettato, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del citato art. 13, comma 1 bis.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano in Euro 4.000,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge; dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale.

Così deciso in Roma, il 14 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 18 luglio 2019

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