Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19413 del 23/09/2011

Cassazione civile sez. lav., 23/09/2011, (ud. 28/06/2011, dep. 23/09/2011), n.19413

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIDIRI Guido – Presidente –

Dott. AMOROSO Giovanni – Consigliere –

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Consigliere –

Dott. BRONZINI Giuseppe – Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 2501/2009 proposto da:

CASSA DI RISPARMIO IN BOLOGNA S.P.A., (già BIMER BANCA S.P.A.), in

persona del legale rappresentante pro tempore elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA F. MICHELINI TOCCI 50, presso lo studio

dall’avvocato VISCONTI Carlo, che la rappresenta e difende unitamente

all’avvocato MONTUSCHI LUIGI, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

R.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GERMANICO

172, presso lo studio dell’avvocato PANICI Pier Luigi, che lo

rappresenta e difende unitamente agli avvocati ALLEVA PIERGIOVANNI,

SIMONETTI GIOVANNI CAMILLO, giusta delegai, in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 709/2008 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 16/05/2008 r.g.n. 1494/07;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

28/06/2011 dal Consigliere Dott. FEDERICO BALESTRIERI;

udito l’Avvocato CIERI EDUARDO per delega CARLO VISCONTI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FUCCI Costantino, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso depositato il 18 settembre 2007, R.F. riassumeva il giudizio, ex art. 392 c.p.c., a seguito della sentenza 9 ottobre 2006 n. 21652 di questa Corte (che aveva cassato con rinvio la sentenza della corte d’appello di Bologna del 25 settembre 2001, confermativa del rigetto di ogni sua pretesa diretta a riconoscimento – alle dipendenze di Bimer Banca S.p.A., poi Cassa di Risparmio in Bologna s.p.a. – della qualifica di quadro dal gennaio 1986, con le relative differenze retributive ed accessori, e del risarcimento del danno per essere stato demansionato dal settembre 1990 fino alla cessazione del rapporto).

Al riguardo con il ricorso ex art. 392 c.p.c., il R., deducendo che la pronuncia della Suprema Corte aveva affidato al giudice del rinvio il compito di una rinnovata e più approfondita indagine circa l’esistenza nel caso concreto dei requisiti per l’attribuzione della qualifica di quadro a norma della L. n. 190 del 1985, reiterava la sua richiesta di riforma della sentenza del Tribunale e concludeva quindi per l’accoglimento di tutte le sue originarie domande, precisando che le differenze retributive connesse alla superiore qualifica e maturate fino alla data del pensionamento (15 ottobre 2000), ammontavano complessivamente a 34.433,59 Euro, mentre il danno per demansionamento, a suo dire, poteva essere ragguagliato e liquidato in via equitativa in misura pari alle retribuzioni del periodo (Euro 209.212,11) o in quella risultante di giustizia. La Banca convenuta in riassunzione, ora Cassa di Risparmio di Bologna S.p.A., concludeva per il rigetto di ogni pretesa e dunque per la implicita conferma della sentenza del Tribunale. In proposito, la Cassa contestava che il R. avesse mai svolto; pur anche in base alla semplice applicazione della citata L. n. 190 del 1985, mansioni di quadro; negava comunque che egli fosse stato demansionato ed avesse sofferto un danno risarcibile ex art. 2103 cod. civ..

Con sentenza del 16 maggio 2008, la Corte d’appello di Firenze condannava la Cassa di Risparmio al pagamento, in favore del R., di Euro 34.433,59 per differenze retributive, oltre accessori, e di ulteriori Euro 52.000,00 a titolo risarcitorio anche non patrimoniale.

Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione la Banca, affidato ad unico motivo, poi illustrato con memoria.

Resiste il R. con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con unico motivo la Banca ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e art. 112 c.p.c., per avere la corte territoriale erroneamente ritenuto sussistente una domanda attorea di risarcimento di danni non patrimoniali, e per avere comunque liquidato tali danni in assenza di una valida prova degli stessi.

Formulava il prescritto quesito di diritto.

Il motivo è infondato.

Come correttamente osservato dalla corte di merito non vi è infatti dubbio che, avendo il R. richiesto, come riportato nello stesso odierno ricorso, il “risarcimento del danno alla figura e capacità professionale del ricorrente” (pag. 15 ricorso introduttivo), lamentando una “umiliazione subita per anni” (pag.

13), abbia inteso non solo richiedere il danno patrimoniale inerente il mancato riconoscimento della categoria quadri, ma anche il danno non patrimoniale conseguente il prolungato demansionamento.

La ricorrente non spiega adeguatamente perchè tale domanda dovesse intendersi come limitata solo alla prima posta di danno. Quanto al danno non patrimoniale ed alla sua prova, va premesso che, secondo il consolidato orientamento di questa Corte (per tutte, Cass. sez. un. 24 marzo 2006 n. 6572), il demansionamento è fonte non solo di danno patrimoniale, ma anche di danno non patrimoniale inerente la persona del lavoratore complessivamente intesa, indicando altresì i parametri probatori, anche presuntivi, cui il giudice di merito può attenersi.

La corte territoriale ha adeguatamente e congruamente valutato, in linea con la citata pronuncia (cui adde, Cass. n. 15915 del 2009, Cass. n. 29832 del 2008, Cass. n. 13877 del 2007, Cass. n. 19965 del 2006), la mancata predisposizione di adeguate iniziative di aggiornamento per il personale che, come il R., essendo ultracinquantenne si riteneva prossimo alla pensione; i vari periodi di inoperosità in cui i ricorrente fu lasciato presso la Banca; il lunghissimo (circa dieci anni) demansionamento, pervenendo così alla liquidazione del danno non patrimoniale riferita e nel quantum non contestata.

La Cassa ricorrente si limita infatti a lamentare l’assenza di prova, ed anzi un riconoscimento del danno non patrimoniale in re ipsa, che invece la corte di merito non ha compiuto, prendendo correttamente in considerazione -ed a tal scopo richiamando – i concordanti elementi presuntivi di cui sopra, in linea con la giurisprudenza citata.

Il ricorso deve pertanto respingersi.

Le spese di causa seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 50,00, Euro 3.000,00 per onorari, oltre spese generali, I.V.A. e C.P.A..

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 28 giugno 2011.

Depositato in Cancelleria il 23 settembre 2011

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