Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19413 del 18/07/2019

Cassazione civile sez. VI, 18/07/2019, (ud. 14/03/2019, dep. 18/07/2019), n.19413

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. CIGNA Mario – rel. Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

Dott. D’ARRIGO Cosimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2936-2018 proposto da:

DITTA S.A., in persona dell’omonimo titolare,

elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE di

CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato GEMILA

ACCONCIAIOCA;

– ricorrente –

contro

B.E. SRL, in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la

CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e difesa

dall’avvocato GIUSEPPE AMEDEO CARATTI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1101/2017 della CORTE D’APPELLO di GENOVA,

depositata il 07/09/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 14/03/2019 dal Consigliere Relatore Dott. MARIO

CIGNA.

Fatto

RILEVATO

che:

S.A., quale titolare dell’omonima ditta, propone ricorso per Cassazione, affidato ad un unico motivo, avverso la sentenza 1101/2017 del 7-9-2017, con la quale la Corte d’Appello di Genova, nel respingergli il gravame, ha confermato la sentenza 456/2013 del Tribunale di Genova che aveva rigettato la domanda dallo stesso proposta nei confronti della B.E. srl, avente ad oggetto il pagamento della somma di Euro 15.484,80 a titolo di corrispettivo per prestazioni di trasporto merci.

In particolare la Corte, conforti temente a quanto già statuito dal primo Giudice, dopo avere evidenziato che la B.E. srl nella comparsa di costituzione in primo grado aveva eccepito l’avvenuto pagamento di quanto richiesto ed aveva allegato la relativa documentazione, ha rilevato che il S. non aveva tempestivamente eccepito a sua volta una diversa imputazione di pagamento; ed invero siffatta diversa imputazione era stata eccepita solo con la seconda memoria ex art. 183 c.p.c., quando quindi si era già consolidata la non contestazione dell’effettuato pagamento.

Resiste con controricorso la B.E. srl.

Il relatore ha proposto la trattazione della controversia ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c.; detta proposta, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in Camera di consiglio non partecipata, è stata ritualmente notificata alle parti.

Entrambe le parti hanno depositato ulteriore memoria.

Diritto

RILEVATO

che:

La memoria della ditta S.A., trasmessa per posta e ricevuta dalla Cancelleria in data 7-3-2019, non è ammissibile; ed invero, come già precisato da questa S.C. “l’art. 134 c.p.c., comma 5, disp. att., a norma del quale il deposito del ricorso e del controricorso, nei casi in cui sono spediti a mezzo posta, si ha per avvenuto nel giorno della spedizione, non è applicabile per analogia al deposito della memoria, poichè quest’ultimo è diretto esclusivamente ad assicurare al giudice ed alle altre parti la possibilità di prendere cognizione dell’atto con il congruo anticipo – rispetto alla udienza di discussione – ritenuto necessario dal legislatore e che l’applicazione del cit. art. 134 finirebbe con il ridurre, se non con l’annullare, con lesione del diritto di difesa delle controparti” (Cass. 7704/2016); in tal senso anche Cass. 30592/2018, secondo cui “in tema di giudizio di cassazione, ai fini della tempestività delle memorie ex art. 380 bis c.p.c. inviate a mezzo posta, rileva la data della loro ricezione da parte della Cancelleria, e non quella della spedizione, non essendo applicabile analogicamente l’art. 134 c.p.c., comma 5, disp. att., il quale consente di dare per avvenuto il deposito nel giorno della spedizione esclusivamente con riferimento al ricorso ed al controricorso”.

Ritiene comunque il Collegio che il cit. art. 134 nemmeno può trovare applicazione alla memoria sotto il profilo della (Ndr: Testo originale non comprensibile) del deposito.

Con l’unico articolato motivo il ricorrente deduce – ex art. 360 c.p.c., n. 3 e 5 – violazione e falsa applicazione di norme di diritto, e segnatamente dell’art. 2697, commi 1 e 2, circa l’imputazione dei pagamenti, con efficacia estintiva, ai crediti portati in giudizio dalla ditta S., nonchè omesso esame di fatti decisivi provati in causa ed oggetto di contraddittorio sullo specifico punto, e infine violazione dei principi di cui agli artt. 115 e 116 c.p.c. ed all’art. 2730 c.c., comma 2, in materia di esame del materiale probatorio acquisito nel processo e, in particolare, delle dichiarazioni confessorie rese dalla controparte.

Nello specifico il ricorrente evidenzia che, contrariamente a quanto sostenuto dalla Corte territoriale, la B.E. srl, rispetto ai crediti azionati dalla ditta S., non aveva affatto dimostrato l’esistenza di un pagamento estintivo, ossia puntualmente eseguito con specifico riferimento ad un determinato credito, avendo infatti allegato e dimostrato in comparsa solo l’esistenza di quattro pagamenti con assegni, eseguiti con specifico riferimento a crediti anteriori e diversi, tali risultanti dalle sue produzioni; non era stata data, quindi, la prova del fatto estintivo e, pertanto, non poteva sorgere, a carico della B.E. srl, l’onere di eccepire la diversa imputazione di pagamento; la diversa imputazione era indicata negli atti di controparte, sicchè il S. non aveva l’onere di contestare tempestivamente che i pagamenti indicati da controparte fossero da imputare a crediti diversi.

Il ricorrente si duole, inoltre, che la Corte non abbia considerato l’effetto confessorio in sede giudiziale, ex art. 2730 c.c., della dichiarazione della B.E. srl di aver corrisposto con bonifico 24-11-2010 Euro 8.000,00 a titolo di “acconto” rispetto alle fatture oggetto di causa.

Il Collegio ritiene che il complesso motivo, articolato nelle menzionate censure, sia, in primo luogo, inammissibile ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 6, in quanto i documenti e gli atti processuali sui quali sin fonda, particolarmente le fatture, gli assegni con le pretese indicazioni delle causali di pagamento sulle matrici, la comparsa di risposta e la memoria ai sensi dell’art. 183 c.p.c. non sono indicati nel rispetto dell’onere di indicazione specifica di cui all’art. 366 c.p.c., n. 6; ciò, sia sotto il profilo dell’omessa diretta, o almeno indiretta, riproduzione del contenuto di detti documenti e atti, con precisazione della parte del documento corrispondente all’indiretta riproduzione, sia sotto quello della localizzazione dello stesso in questo giudizio di legittimità al fine di consentirne l’esame da parte della Corte (oneri imposti dall’esegesi dell’art. 366 c.p.c., n. 6, fornita da questa S.C. a partire da Cass. 22303 del 2008 e Cass., Sez. Un. 28547 del 2008, seguita da Cass. Sez. Un. 7161 del 2010, e, per gli atti processuali, da Cass. Sez. Un. 22726 del 2011).

Il complesso motivo è, comunque, ulteriormente inammissibile, non cogliendo appieno la ratio decidendi dell’impugnata sentenza.

La Corte territoriale, invero, ha fatto corretta applicazione del riportato principio di questa S.C. secondo cui “il creditore che agisce per il pagamento ha l’onere di provare il titolo del suo diritto, non anche il mancato pagamento, giacchè il pagamento integra un fatto estintivo, la cui prova incombe al debitore che l’eccepisca. L’onere della prova torna a gravare sul creditore il quale, di fronte alla comprovata esistenza di un pagamento avente efficacia estintiva, ossia puntualmente eseguito con riferimento a un determinato credito, controdeduca che il pagamento deve imputarsi ad un credito diverso da quello indicato dal debitore” (Cass. 19527/2012).

Il ricorrente non contesta l’esattezza di tale principio, limitandosi a sostenere che la documentazione depositata da controparte per comprovare l’asserito pagamento del credito azionato fosse già di per sè idonea a dimostrare che siffatto pagamento non era completo ed integrale; di conseguenza, a suo dire, non essendo provato il completo e puntuale pagamento con specifico riferimento al determinato credito azionato, non poteva sorgere l’onere di eccepire la diversa imputazione del pagamento.

Siffatta argomentazione non può essere condivisa.

A fronte, infatti, della deduzione della B. di avere pagato ogni attività, ad estinzione del credito azionato, per una somma di Euro 32.696,60 (e, quindi, per una somma “ben superiore all’asserito debito azionato nel presente giudizio”), con specificazione di date e modalità degli avvenuti pagamenti e con produzione anche delle matrici degli assegni specificamente menzionati, costituiva onere della creditrice dedurre tempestivamente la diversa imputazione dei detti pagamenti, non potendo la stessa discendere dalla mera osservazione della esibita documentazione; siffatta diversa imputazione è stata, invece, eccepita solo nella seconda memoria ex art. 183 c.p.c., utilizzabile solo per richiedere la prova contraria, e quindi tardivamente, essendo stato già definito il thema decidendum.

Non sussiste, pertanto, la violazione dell’art. 2697 c.c., che, come ribadito da Cass. S.U. 16598, “si configura se il giudice di merito applica la regola di giudizio fondata sull’onere della prova in modo erroneo, cioè attribuendo onus probandi a una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione della fattispecie basate sulla differenza fra fatti costituivi ed eccezioni”.

Nè può ritenersi sussistente la violazione dell’art. 115 c.p.c. che, come precisato da Cass. 11892/2016, può essere dedotta come vizio di legittimità solo denunciando (il che non è avvenuto nella specie) che il giudice ha dichiarato espressamente di non dover osservare la regola contenuta nella norma, ovvero ha giudicato sulla base di prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri o fficiosi riconosciutigli.

Non sussiste neanche la violazione dell’art. 116 c.p.c. (norma che sancisce il principio della libera valutazione delle prove, salva diversa previsione legale), che, come precisato da Cass. 11892 del 2016 e ribadito da Cass. S.U. 16598/2016, è idonea ad integrare il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 4, solo quando (e non è il caso di specie) il giudice di merito disattenda tale principio in assenza di una deroga normativamente prevista, ovvero, all’opposto, valuti secondo prudente apprezzamento una prova o risultanza probatoria soggetta ad un diverso regime.

Infondato è il motivo anche con riferimento alla dedotta violazione dell’art. 2730 c.c., non potendo avere valore confessorio ma, al limite elemento indiziario liberamente valutabile dal giudice per la formazione del suo convincimento, la dichiarazione (peraltro di contenuto non univoco) contenuta in comparsa di costituzione, di cui non si adduce la sottoscrizione anche della parte personalmente, relativa alla qualifica di “acconto” del pagamento del bonifico di Euro 8.00,00 (conf. Cass. 23634/2018).

In conclusione, pertanto, il ricorso va dichiarato inammissibile.

Le spese di lite relative al presente giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, poichè il ricorso è stato presentato successivamente al 30-1-2013 ed è stato dichiarato inammissibile, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del cit. art. 13, comma 1 bis.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente, al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano in Euro 3.000,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge; dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale.

Così deciso in Roma, il 14 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 18 luglio 2019

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