Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19406 del 03/08/2017


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Cassazione civile, sez. un., 03/08/2017, (ud. 04/07/2017, dep.03/08/2017),  n. 19406

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMOROSO Giovanni – Primo Presidente f.f. –

Dott. DI CERBO Vincenzo – Presidente di sez. –

Dott. CRISTIANO Magda – Consigliere –

Dott. MANNA Antonio – Consigliere –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Consigliere –

Dott. FRASCA Raffaele – rel. Consigliere –

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – Consigliere –

Dott. PERRINO Angelina Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 2984-2016 proposto da:

AZIENDA PUBBLISERVIZI BRUNICO, in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA FEDERICO

CONFALONIERI 5, presso lo studio dell’avvocato LUIGI MANZI, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato CHRISTOF BAUMGARTNER;

– ricorrente –

contro

LANIFICIO MOSSMER S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GIOSUE’ BORSI 4,

presso lo studio dell’avvocato FEDERICA SCAFARELLI, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato ARTHUR FREI;

PROVINCIA AUTONOMA DI BOLZANO, in persona del Presidente pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA BASSANO DEL GRAPPA 24, presso

lo studio dell’avvocato MICHELE COSTA, che la rappresenta e difende

unitamente agli avvocati LUKAS PLANCKER, STEPHAN BEIKIRCHER, RENATE

VON GUGGENBERG e CRISTINA BERNARDI;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 238/2015 del TRIBUNALE SUPERIORE DELLE ACQUE

PUBBLICHE, depositata il 02/10/2015;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

04/07/2017 dal Consigliere Dott. RAFFAELE FRASCA;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. CAPASSO Lucio, che ha concluso per l’inammissibilità

del ricorso per sopravvenuta carenza di interesse; motivi comunque

infondati;

uditi gli Avvocati Christof Baumgartner, Michele Costa e Federica

Scafarelli.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. L’Azienda Pubbliservizi Brunico ha proposto ricorso alle Sezioni Unite della Corte di cassazione, contro la s.p.a. Lanificio Mossmer e la Provincia Autonoma di Bolzano, avverso la sentenza del Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche del 22 ottobre 2015, con cui sono stati rigettati sia il suo ricorso inteso ad ottenere l’annullamento del Decreto 28 marzo 2012, n. 113 della Giunta Provinciale, sia i motivi aggiunti da essa successivamente presentati contro altri provvedimenti inerenti alla stessa vicenda.

2. Quest’ultima traeva origine dall’accoglimento, da parte della Giunta Provinciale, della domanda, presentata il 2 novembre 2009, con cui la Soc. Mossmer aveva chiesto il rinnovo di una concessione di piccola derivazione sul fiume (OMISSIS) e dal rigetto, invece, della domanda, presentata il 16 novembre 2009 dall’Azienda Pubblici Servizi Brunico, intesa ad ottenere il rilascio di una concessione di grande derivazione da realizzare sullo stesso fiume mediante l’utilizzo di opere di presa appartenenti alla soc. Mossmer.

L’Azienda Pubbliservizi Brunico, prospettando vari motivi di illegittimità, impugnava il suddetto decreto di rinnovo della concessione in favore della soc. Mossmer, perchè lo stesso sarebbe stato lesivo delle aspettative a veder accolta la sua domanda di concessione di grande derivazione, da realizzare attraverso la razionalizzazione dei tre impianti esistenti, due dei quali appartenenti alla soc. Mossmer.

Al ricorso originario seguiva un primo ricorso per motivi aggiunti, con cui veniva impugnata la nota dell’11 settembre 2012 avente ad oggetto l’autorizzazione alla sostituzione, da parte della soc. Mossmer, di due turbine Francis con una turbina Pit e rotore Kaplan con conseguente aumento della potenza nominale media da KW 764,80 a KW 823,92.

Con successivi motivi aggiunti la qui ricorrente impugnava la Delib. Giunta Provinciale 27 agosto 2012, n. 1220 che aveva disposto di archiviare tutte le domande pendenti di grandi concessioni idroelettriche per le quali non era stato individuato il nuovo concessionario e con ulteriori motivi aggiunti veniva impugnato il Decreto 6 novembre 2012, n. 312 ed il disciplinare suppletivo n. 23486/201, concernenti la derivazione della Mossmer.

3. Il Tribunale Superiore ha motivato il rigetto del ricorso in questi termini:

“Con il gravame, l’Azienda Pubbliservizi Brunico impugna il decreto di rinnovo di una concessione di piccola derivazione in favore della soc. Messmer perchè lesivo della sua domanda di concessione di grande derivazione. Il motivo è inammissibile perchè il rinnovo della concessione della Meossmer spa, anche se in asserita violazione del divieto di rinnovo automatico delle piccole derivazioni, non incide sul diritto della società ricorrente perchè le due domande non sono tra loro in concorrenza essendo le stesse, ai sensi del T.U. sulle acque, soggette a diverse ed autonome discipline procedimentali, anche perchè il progetto di ristrutturazione dell’impianto presentato dalla soc. Mossmer è stato rigettato per motivi ambientali. Ciò comporta l’inammissibilità delle ulteriori censure correlate, con le quali si sostiene la violazione dei principi comunitari e partecipativi. Gli ulteriori motivi proposti con i motivi aggiunti, relativi all’archiviazione della domanda di concessione della società ricorrente, presentano profili di inammissibilità perchè non strettamente consequenziali all’atto impugnato in via principale, e devono, quindi, ritenersi non impugnabili con motivi aggiunti. Inoltre, va anche rilevato che l’impugnativa avverso la Delib. n. 1220 del 2012 è anche improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse, posto che la stessa è stata già annullata da questo Tribunale, in accoglimento di altri gravami proposti avverso la stessa delibera. In relazione a quanto esposto, il ricorso deve ritenersi infondato e va, di conseguenza, respinto”.

4. Al ricorso per cassazione, affidato a sei motivi, hanno resistito con separati controricorsi la s.p.a. Mossmer e la Provincia Autonoma di Bolzano.

5. Parte ricorrente e la resistente Mossmer hanno depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso si deduce “violazione di legge ai sensi dell’art. 111 Cost. e art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 in relazione alla violazione e falsa applicazione dell’art. 100 c.p.c. e del R.D. n. 1775 del 1933, art. 143 in combinazione con la L.P. 30 settembre 2005, n. 7, art. 3 nonchè in relazione alla violazione e falsa applicazione rispettivamente della L.P. Bolzano 22 ottobre 1993, n. 17, art. 7 e della L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 3 per omessa motivazione circa un fatto decisivo”.

Il motivo censura la motivazione con cui il TSAP, facendo riferimento all’impugnazione da parte dell’Azienda Pubbliservizi Brunico del “decreto di rinnovo di una concessione di piccola derivazione in favore della soc. Messmer perchè lesivo della sua domanda di concessione di grande derivazione” e, quindi, al ricorso originario, ha osservato che “il motivo è inammissibile perchè il rinnovo della concessione della Mossmer spa, anche se in asserita violazione del divieto di rinnovo automatico delle piccole derivazioni, non incide sul diritto della società ricorrente perchè le due domande non sono tra loro in concorrenza essendo le stesse, ai sensi del T.U. sulle acque, soggette a diverse ed autonome discipline procedimentali”.

La critica a tale motivazione si articola con i seguenti rilievi: a) la conclusione del TSAP in ordine all’inesistenza dell’interesse in capo alla ricorrente viene “contestata” perchè il Decreto n. 113 del 2012 non avrebbe disposto un rinnovo della concessione alla Mossmer, ma rilasciato una nuova concessione, che come tale avrebbe dovuto essere preceduta dall’apertura di una istruttoria sulla domanda ai sensi della L.P. Bolzano n. 7 del 2005, art. 3 a cui la ricorrente avrebbe potuto partecipare non sussistendovi “alcuna preclusione” nè ai sensi di tale norma, nè in base al T.U. sulle acque pubbliche; b) dall’eventuale accoglimento del ricorso sarebbe potuto derivare per la ricorrente “una concreta utilità che, trattandosi di una procedura concorsuale, consisteva nel vantaggio potenziale derivante dalla rimessa in discussione del rapporto controverso”, il quale non si sarebbe potuto negare, essendo la ricorrente “un’impresa del settore, titolare dell’approvvigionamento energetico nel Comune di Brunico”; c) tanto troverebbe ancora maggiore giustificazione nel fatto che l’Amministrazione non aveva ancora bandito, sul tratto del fiume (OMISSIS) alcuna gara ai sensi del D.Lgs. n. 79 del 1999, art. 12 per una nuova concessione di grande derivazione e che perdurava la mancata emanazione da parte del Ministero competente dei decreti attuativi; d) che il decreto de quo di rinnovo della concessione e di reiezione del presentato dalla ricorrente era stato comunicato alla medesima e, pertanto, essa rientrava nel novero dei soggetti legittimati all’impugnazione; d) che, prima di una visita istruttoria dell’ottobre 2010, la ricorrente aveva formulato un’osservazione scritta all’Ufficio Elettrificazione, dove aveva precisato che il progetto di risanamento della derivazione della Mossmer non costituiva un rinnovo della concessione, ma una nuova concessione, il che imponeva di seguire il procedimento ai sensi della L.P. citata, art. 3 ed il TSAP non aveva preso in considerazione la relativa censura; e) che, “a conferma dell’interesse al ricorso” valeva il fatto che, ai sensi dell’art. 16 L.P. un rinnovo automatico per le concessioni idroelettriche era escluso e, dunque, non esisteva nella Provincia di Bolzano il c.d. di insistenza per le piccole derivazioni, mentre l’automaticità del rinnovo era stata pure esclusa dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 114 del 2012; f) che “sotto tale profilo (sarebbe) palese, dunque, l’interesse a ricorrere della ricorrente, anche perchè il riconoscimento di una proroga trentennale fa scattare gli obblighi connessi alla sottensione di impianti, costringendo l’odierno ricorrente eventualmente ad indennizzare l’impianto da sottendere, con un’evidente lievitazione dei costi, una minore redditività del progetto ma anche minori benfici (imposte e benefici ambientali) a favore della collettività”.

1.1. Il motivo, che nemmeno evoca il concetto normativo di fatto controverso, come avrebbe dovuto fare per quanto attiene al vizio ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 per quanto attiene, invece, alle censure in iure (che dovrebbe risultare finalizzato a svolgere in ossequio alla sua intestazione, prima fra tutte quella di violazione dell’art. 100 c.p.c.), è inammissibile, in quanto le ragioni che prospetta non risultano in alcun modo idonee a criticare la pur scarna motivazione della sentenza impugnata.

Motivazione che – si badi – la stessa ricorrente non ha inteso criticare per tale sua connotazione, cioè sotto il profilo della sua oggettiva inidoneità, al di là della sua presenza formale, ad integrare una motivazione, non avendo prospettato che essa avrebbe violato l’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, o, più verosimilmente, l’art. 88, comma 2, lett. d) cod. proc. amm.

Essendosi la ricorrente posta nella logica di non porre in discussione l’essere quella del TSAP una effettiva motivazione, la critica ad essa doveva articolarsi con deduzioni volte a porre in evidenza perchè il (pur scarno) ragionamento in essa espresso fosse erroneo sul piano giuridico.

E sotto tale profilo sarebbe stato necessario argomentare e dimostrare: aa) o che, al contrario di quanto affermato dal TSAP, il provvedimento impugnato, nella sua efficacia dispositiva del rinnovo della concessione, incidesse sul diritto della ricorrente perchè la domanda volta ad ottenerlo era in concorrenza con quella della stessa ricorrente; bb) o che il ragionamento del TSAP fosse errato in iure, perchè l’idoneità a determinare incidenza sulla posizione giuridica della ricorrente non dipendeva dall’essere le due domande in concorrenza e tanto perchè il giudizio sull’impugnazione del Decreto n. 113 del 2012 non aveva come disciplina giuridica di riferimento della situazione sostanziale dedotta il presupposto dell’essere la ricorrente e la Mossmer in concorrenza.

Nell’uno come nell’altro caso, avendo la ricorrente scelto di criticare la motivazione del TSAP, avrebbe avuto l’onere anche di evidenziare i dati normativi che giustificavano l’una o l’altra opzione prescelta.

Ebbene, rilevano le Sezioni Unite che l’illustrazione del motivo non si è mossa nè secondo l’una nè secondo l’altra opzione.

Nessuna delle argomentazioni proposte si premura di spiegare nè perchè le due domande erano in concorrenza fra loro, indicando i referenti normativi atti a giustificare tale assunto, nè perchè il problema dell’essere le due domande in concorrenza non fosse rilevante ai fini di giustificare l’ammissibilità del ricorso contro il citato decreto.

In particolare, si rileva che non è stata data alcuna spiegazione del come e del perchè la questione dell’aver dato luogo il decreto ad una nuova concessione, piuttosto che ad un rinnovo, determinasse un’incidenza sul problema dell’essere le domande in concorrenza oppure dovesse rilevare come giustificativa dell’elisione del problema della concorrenza. Sicchè, le argomentarono conseguenti sopra riferite cadono automaticamente.

Non è stato spiegato come e perchè il fatto che il decreto de quo, di rinnovo della concessione e di reiezione del progetto presentato dalla ricorrente, fosse stato comunicato alla medesima, potesse determinare la conseguenza che la posizione delle due parti fosse in concorrenza.

E, se anche si intendesse la decisione di inammissibilità adottata dal TSAP come scevra da questa considerazione, il non essere le parti in concorrenza, e la si considerasse basata sulla negazione di una generica situazione di interesse a ricorrere della ricorrente, si dovrebbe rilevare – ma lo si osserva in via meramente enunciativa – che la comunicazione era doverosa per il contenuto del provvedimento di reiezione, mentre di per sè non può essere considerata indicativa dell’interesse legittimante all’impugnativa del provvedimento adottato a favore della Mossmer, che è quello che è stata oggetto della decisione del TSAP.

Anche riguardo all’affermazione relativa ad un “interesse a ricorrere della ricorrente, anche perchè il riconoscimento di una proroga trentennale fa scattare gli obblighi connessi alla sottensione di impianti, costringendo l’odierno ricorrente eventualmente ad indennizzare l’impianto da sottendere, con un’evidente lievitazione dei costi, una minore redditività del progetto ma anche minori benefici (imposte e benefici ambientali) a favore della collettività”, si rileva parimenti che nulla essa ha a che fare con il tenore della motivazione del TSAP: se anche tale interesse fosse sussistito, sarebbe stato prima necessario dimostrare in iure che esso dovesse fare aggio sull’affermazione del medesimo TSAP circa il non essere in concorrenza le posizioni delle due parti.

1.2. Il motivo, per le ragioni esposte, poichè non si correla alla ratio decidendi è, dunque, inammissibile alla stregua del principio di diritto (a suo tempo enunciato da Cass. n. 359 del 2005 e seguito da numerose conformi, e ribadito di recente da Cass., Sez. Un., nn. 16598 e 22226 del 2016, nonchè n. 7074 del 2017, secondo cui: “Il motivo d’impugnazione è rappresentato dall’enunciazione, secondo lo schema normativo con cui il mezzo è regolato dal legislatore, della o delle ragioni per le quali, secondo chi esercita il diritto d’impugnazione, la decisione è erronea, con la conseguenza che, in quanto, per denunciare un errore bisogna identificarlo e, quindi, fornirne la rappresentazione, l’esercizio del diritto d’impugnazione di una decisione giudiziale può considerarsi avvenuto in modo idoneo soltanto qualora i motivi con i quali è esplicato si concretino in una critica della decisione impugnata e, quindi, nell’esplicita e specifica indicazione delle ragioni per cui essa è errata, le quali, per essere enunciate come tali, debbono concretamente considerare le ragioni che la sorreggono e da esse non possono prescindere, dovendosi, dunque, il motivo che non rispetti tale requisito considerarsi nullo per inidoneità al raggiungimento dello scopo. In riferimento al ricorso per Cassazione tale nullità, risolvendosi nella proposizione di un “non motivo”, è espressamente sanzionata con l’inammissibilità ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 4″.

1.3. Si deve aggiungere, inoltre, che la motivazione criticata inidoneamente con il primo motivo lo è stata anche senza la considerazione dell’affermazione finale fatta dal TSAP per coerenziare, sebbene ulteriormente, l’esclusione della concorrenzialità fra le due domande, cioè che “il progetto di ristrutturazione dell’impianto presentato dalla società Mossner è stato rigettato per motivi ambientali”.

2. Con un secondo motivo si denuncia “violazione di legge ai sensi dell’art. 111 Cost. e art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 in relazione alla violazione e falsa applicazione della L.P. 30 settembre 2005, n. 7, art. 8 nonchè del R.D. 11 dicembre 1933, n. 1775, art. 49 e i relazione alla violazione alla L.P. n. 17 del 1993, art. 7 e del principio del buon andamento ex art. 97 Cost.”.

L’illustrazione esordisce facendo riferimento alla circostanza che dal testo della sentenza impugnata si desume che “l’inammissibilità del ricorso viene fatta discendere anche dalla circostanza che “il progetto di ristrutturazione dell’impianto presentato dalla società Mossner è stato rigettato per motivi ambientali”. Si assume, quindi, così ponendosi nella logica della censura ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 che il TSAP avrebbe omesso l’esame di un fatto storico che risultava dagli atti processuali e la cui considerazione avrebbe avuto senz’altro rilievo decisivo ai fini di un esito diverso della controversia.

Senonchè, il fatto in questione viene identificato nella circostanza che il progetto successivamente realizzato dalla Mossmer configurava una variante sostanziale e non un mero rinnovo, con conseguente obbligo di procedere all’istruttoria.

Dopo di che, si procede ad una serie di considerazioni che ragionano di questa configurazione.

2.1. Il motivo non coglie nel segno nella sua stessa logica espositiva: è sufficiente osservare (anche senza richiamare quanto si è detto a proposito dell’esame del primo motivo riguardo alla deduzione della stessa circostanza), che tutto il discorrere in tal senso non è in alcun modo correlato alla motivazione che la stessa ricorrente, all’inizio dell’esposizione, assume di voler criticare, posto che essa riguarda l’essere stato rigettato il progetto della Mossmer per motivi ambientali e, quindi, un’affermazione che non si comprende che abbia a che fare con il preteso fatto decisivo, e considerato, altresì, che quanto enunciato dal TSAP, come s’è detto in chiusura dell’esame del motivo precedente, lo è stato per coerenziare la decisiva affermazione del non essere concorrenziali le domande delle parti.

Il motivo, dunque, non solo svolge un’argomentazione della quale sfugge la correlazione con il tenore della decisione, ma che ancora prima, nello stesso suo svolgimento, non si correla alla motivazione che si vorrebbe criticare.

Le argomentazioni in iure svolte successivamente sulla differenza fra rinnovo e variante sostanziale risultano del tutto prive di rilevanza, così come l’affermazione finale che risulterebbe riduttiva l’affermazione del TSAP che la ricorrente avesse impugnato il decreto di rinnovo “solo perchè lesivo della sua domanda di concessione di derivazione”: quest’ultima è del tutto eccentrica rispetto alla pregressa esposizione e parrebbe imputare al TSAP di avere omesso l’esame di una ragione di impugnazione, ma nemmeno lo si dice e la prospettazione è del tutto generica, sicchè questa anodina deduzione impinge in inammissibilità anche per assoluta difetto di specificità (Cass., Sez. Un., n. 7074 del 2017), al di là dell’assoluta mancanza di correlazione con l’intestazione del motivo e della totale mancanza di chiarezza dell’assunto.

3. Con il terzo motivo si denuncia “violazione di legge ai sensi dell’art. 111 Cost. e art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4 in relazione alla violazione e falsa applicazione della L.P. Bolzano 22 ottobre 1993, n. 17, art. 7 e della L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 3 per difetto di motivazione”.

Vi si censura l’affermazione fatta dal TSAP, dopo la motivazione considerata dai motivi precedenti, che “ciò comporta l’inammissibilità delle ulteriori censure correlate, con le quali si sostiene la violazione dei principi comunitari e partecipativi”.

L’assunto è che “in base a siffatta motivazione è semplicemente impossibile risalire alle ragioni per cui il Tribunale Superiore reputa irrilevante la violazione dei principi comunitari e partecipativi, mentre le restanti censure avanzate nel ricorso introduttivo e nei ricorsi per motivi aggiunti, non sono neppure presi in considerazione.”.

Per tali ragioni il TSAP avrebbe violato le norme evocate nella intestazione del motivo.

3.1. Il motivo, in disparte che la motivazione del TSAP non si riferisce ai motivi aggiunti, di cui esso si occupa dopo, è privo di fondamento.

Lo è: a) non solo perchè evoca la violazione di una legge sostanziale provinciale che non è dato comprendere come possa rilevare per un sindacato di incomprensibilità della motivazione del detto tenore; b) e perchè evoca una legge statale che, regolando il procedimento amministrativo, non è dato comprendere come possa non essere stata osservata da un ufficio giudiziario nell’adempimento del suo dovere di motivazione. Dovere che è disciplinato dall’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 per le decisioni del giudice civile e per quelle del giudice amministrativo e, dunque, nei casi di ricorsi di legittimità in unico grado, del TSAP, ai sensi del R.D. n. 1775 del 1993, art. 208 dall’art. 88, comma 2, lett. d) cod. proc. amm.

3.2. Ove, peraltro, alla stregua del principio di diritto enunciato da Cass., Sez. Un., n. 17931 del 2013, si intendesse il motivo come diretto a denunciare l’ora indicato paradigma del codice di rito, non solo il motivo risulterebbe meramente assertorio, ma anche e comunque infondato, perchè, una volta ravvisata l’inammissibilità del ricorso originario per le ragioni giuste o sbagliate che siano, ma ormai consolidate – ben il TSAP doveva esprimersi come s’è espresso, per essere il decisum dirimente e preclusivo di ogni altra ragione posta con il detto ricorso.

4. Con il quarto motivo si denuncia “violazione di legge ai sensi dell’art. 111 Cost. e art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4 in relazione al D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 104, art. 43 e R.D. n. 1775 del 1933, art. 208”.

Vi si censura la motivazione con cui, a proposito dei motivi aggiunti, il TSAP ha affermato che “gli ulteriori motivi proposti con i motivi aggiunti, relativi all’archiviazione della domanda di concessione della società ricorrente, presentano profili di inammissibilità perchè non strettamente consequenziali all’atto impugnato in via principale, e devono, quindi, ritenersi non impugnabili con motivi aggiunti”.

La censura è innanzitutto sostenuta argomentano dalla formulazione della L. n. 1034 del 1971, art. 21 siccome modificato dalla L. n. 205 del 2000, anzichè con riguardo alla norma del Codice del processo amministrativo, indicata nella intestazione, che era applicabile ai sensi del R.D. n. 1775 del 1933, art. 208.

In secondo luogo, la cennata motivazione non si impugna analogamente a quanto non era stato fatto a proposito della motivazione criticata con il primo motivo – per violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4 o, più verosimilmente dell’art. 88, comma 2, lett. d) cod. proc. amm.

Ne consegue che parte ricorrente, per dimostrare la violazione della norma dell’art. 43 cod. proc. amm. (pur individuata come parametro corretto della censura), si è assunta l’onere di argomentare in modo specifico e chiaro, se del caso con opportuni riferimenti alla giurisprudenza amministrativa in punto di c.d. motivi aggiunti, perchè l’affermazione del TSAP sarebbe erronea.

Senonchè, nulla di tutto ciò si coglie nella illustrazione, che in modo assertorio si limita a dire che i provvedimenti oggetto dei motivi aggiunti erano stati adottati “tra le stesse parti” ed erano “connessi all’oggetto del ricorso”, senza fornire alcuna spiegazione, che si sarebbe dovuta, peraltro, dare con riferimento al concetto di domanda, ora evocato dall’art. 43 citato. In tale situazione il motivo ha delegato alle Sezioni Unite di individuare se le domande proposte con i motivi aggiunti fossero connesse a quella principale e ciò costituisce abdicazione vera e propria all’onere di articolazione di un motivo di impugnazione e determina inammissibilità del motivo, alla stregua del principio di diritto, già affermato da Cass. n. 4741 del 2005, seguita da numerose conformi, ed ora ribadito dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 7074 del 2017 (oltre che rintracciabile nel noto Protocollo del dicembre 2015), secondo cui: “Il requisito di specificità e completezza del motivo di ricorso per cassazione è diretta espressione dei principi sulle nullità degli atti processuali e segnatamente di quello secondo cui un atto processuale è nullo, ancorchè la legge non lo preveda, allorquando manchi dei requisiti formali indispensabili per il raggiungimento del suo scopo (art. 156 c.p.c., comma 2). Tali principi, applicati ad un atto di esercizio dell’impugnazione a motivi tipizzati come il ricorso per cassazione e posti in relazione con la particolare struttura del giudizio di cassazione, nel quale la trattazione si esaurisce nella udienza di discussione e non è prevista alcuna attività di allegazione ulteriore (essendo le memorie, di cui all’art. 378 c.p.c., finalizzate solo all’argomentazione sui motivi fatti valere e sulle difese della parte resistente), comportano che il motivo di ricorso per cassazione, ancorchè la legge non esiga espressamente la sua specificità (come invece per l’atto di appello), debba necessariamente essere specifico, cioè articolarsi nella enunciazione di tutti i fatti e di tutte le circostanze idonee ad evidenziarlo.”).”.

In pratica, nella specie, la Corte dovrebbe di sua iniziativa, tra l’altro non certo solo sulla base di quanto riferito nell’esposizione del fatto, ma anche accedendo agli atti, individuare essa stessa se i motivi erano “aggiunti” oppure no.

Si deve, poi, rilevare che nel caso di specie, l’affermazione di inammissibilità del ricorso principale avrebbe dovuto indurre il TSAP, verosimilmente, anche ad interrogarsi su se i motivi aggiunti, pur connessi, potessero sfuggire alla stessa valutazione e, dunque, la ricorrente avrebbe dovuto articolare il motivo anche argomentando in senso contrario.

Il motivo è, dunque, inammissibile.

5. Con il quinto motivo si prospetta “violazione di legge ai sensi dell’art. 111 Cost. e art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4 in relazione agli artt. 100 e 112 c.p.c.”, censurandosi la motivazione con cui il TSAP, dopo avere enunciato quella generale sull’inammissibilità dei motivi aggiunti, ha osservato che “inoltre, va anche rilevato che l’impugnativa avverso la Delib. n. 1220 del 2012 è anche improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse, posto che la stessa è stata già annullata da questo Tribunale, in accoglimento di altri gravami proposti avverso la stessa delibera”.

L’esame delle ragioni enunciate nel motivo è superfluo, atteso che, una volta consolidatasi la motivazione enunciata preliminarmente in via generale, questa ulteriore specifica motivazione per il relativo motivo aggiunto, essendo stata enunciata espressamente in via aggiuntiva, diventa irrilevante ai fini di sorreggere la decisione del TSAP.

Tanto rende anche irrilevanti le argomentazioni che nella memoria vengono esposte dalla Lanificio Mossmer con riferimento all’essere sopravvenuti giudicati di annullamento conseguenti a sentenze di queste Sezioni Unite sulle decisioni del TSAP.

6. Il sesto motivo denuncia “violazione di legge (art. 132 c.p.c., n. 4 e art. 111 Cost. anche in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4) per motivazione inesistente ovvero soltanto apparente, per intrinseca inidoneità della sentenza a consentire il controllo delle ragioni che stanno ala base della decisione; violazione e falsa applicazione del R.D. 11 dicembre 1933, n. 1775, art. 143”.

Vi si censura la stessa motivazione impugnata con il terzo motivo.

6.1. Il motivo è privo di fondamento per quanto enunciato sopra nel paragrafo 3.1.

7. Il ricorso è, conclusivamente, rigettato.

Le spese seguono la soccombenza nei confronti di entrambe le resistenti e si liquidano in dispositivo ai sensi del D.M. n. 55 del 2014.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, si deve dare atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del citato art. 13, comma 1 bis.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente alla rifusione alle resistenti delle spese del giudizio di cassazione, liquidate, a favore di ciascuna in Euro seimila, oltre duecento per esborsi, le spese generali al 15% e gli accessori come per legge. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del citato art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio delle Sezioni Unite Civili, il 4 luglio 2017.

Depositato in Cancelleria il 3 agosto 2017

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