Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19405 del 08/07/2021

Cassazione civile sez. trib., 08/07/2021, (ud. 26/03/2021, dep. 08/07/2021), n.19405

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –

Dott. PERRINO Angelina Maria – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. CASTORINA Rosaria Maria – rel. Consigliere –

Dott. GORI Pierpaolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 27696/2015 R.G. proposto da:

P.G., rappresentato e difeso dall’avv. Domenico

Siciliano, presso il cui studio in Roma, via Antonio Gramsci, 14 è

elettivamente domiciliato per procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, rappresentata e difesa dall’Avvocatura

Generale dello Stato, presso la quale in Roma, via dei Portoghesi n.

12, è domiciliata;

– controricorrente –

e contro

Riscossione Sicilia s.p.a.;

– intimata –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Sicilia n. 3375/18/14, depositata il 30.10.2014.

Udita la relazione svolta alla udienza camerale del 26.3.2021 dal

Consigliere’ Rosaria Maria Castorina.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza n. 3375/18/2014, depositata in data 30.10.2014, la Commissione tributaria regionale della Sicilia accoglieva l’appello dell’Agenzia delle Entrate nei confronti di P.G. avverso la sentenza n. 260/9/2009 della Commissione tributaria provinciale di Catania la quale aveva accolto il ricorso proposto dal contribuente avverso una cartella di pagamento emessa a seguito di controllo automatizzato, D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 36 bis, e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54 bis, della dichiarazione Unico 2004 per l’anno di imposta 2003, per omessi e tardivi versamenti IVA, Irap e ritenute alla fonte.

La CTR affermava che non sussisteva l’obbligo dell’avviso bonario e che la cartella di pagamento era stata regolarmente notificata.

Avverso la sentenza della CTR, il contribuente propone ricorso per cassazione affidato a quattro motivi, illustrati con memoria.

L’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.

Riscossione Sicilia s.p.a. non ha spiegato difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorrente deduce la violazione e/o falsa applicazione del combinato disposto del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 18 e 53, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per non essere stato l’atto di appello sottoscritto da un funzionario, eccezione implicitamente rigettata dalla CTR.

La censura non è fondata.

Questa Corte ha ripetutamente precisato che “in tema di contenzioso tributario, il D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 10, e art. 11, comma 2, riconoscono la qualità di parte processuale e conferiscono la capacità di stare in giudizio all’ufficio locale dell’Agenzia delle entrate nei cui confronti è proposto il ricorso, organicamente rappresentato dal direttore o da altra persona preposta al reparto competente, da intendersi con ciò stesso delegata in via generale, sicché è validamente apposta la sottoscrizione dell’appello dell’ufficio finanziario da parte del preposto al reparto competente, anche ove non sia esibita in giudizio una corrispondente specifica delega, salvo che non sia eccepita e provata la non appartenenza del sottoscrittore all’ufficio appellante o, comunque, l’usurpazione del potere d’impugnare la sentenza” (cfr. Sez. 5, 21/03/2014, n. 6691; Cass. Sez. 5-6, 26/07/2016, n. 15470). E’ stato soggiunto che “nei gradi di merito del processo tributario gli uffici periferici dell’Agenzia delle Entrate, secondo quanto previsto dalle norme del Reg. di amministrazione n. 4 del 2000, adottato ai sensi del D.Lgs. n. 300 del 1999, art. 66, sono legittimati direttamente alla partecipazione al giudizio e possono essere rappresentati sia dal direttore, sia da altro soggetto delegato, anche ove non sia esibita in favore di quest’ultimo una specifica delega, salvo che non sia eccepita e provata la non appartenenza del sottoscrittore all’ufficio dovendosi altrimenti presumere che l’atto provenga dallo stesso e ne esprima la volontà” (Cass. Sez. 5, 30/10/2018, n. 27570). Recentemente, questa Corte (cfr. Sez. 5, 31/01/2019 n. 2901, Rv. 652337-01) ha chiarito che a differenza di quanto accadeva nell’assetto organizzativo preesistente all’attivazione delle Agenzie fiscali – ove, ai fini dell’ammissibilità dell’appello principale avverso le sentenze di primo grado sfavorevoli all’Amministrazione finanziaria, occorreva il preventivo avallo, di cui al D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 52, comma 2 – nell’assetto successivo all’istituzione di tali Agenzie (a far data dal primo gennaio 2001), alle quali è stata trasferita la generalità delle funzioni precedentemente esercitate dai dipartimenti e dagli uffici del Ministero del finanze, anche le sezioni distaccate delle direzioni regionali delle entrate sono legittimate processualmente senza bisogno di preventiva autorizzazione alla proposizione dell’appello principale, in quanto espressione del medesimo livello di organizzazione periferica delle direzioni regionali e godono del medesimo “status”, anche processuale, di queste ultime.

Nella specie lo stesso ricorrente ha riferito che l’atto di appello recava la sottoscrizione del capo area legale, soggetto di cui non è richiesta la qualifica dirigenziale, con dicitura “firma su delega del Direttore provinciale”, con la conseguenza che nessun effetto sulla validità di tali atti può conseguire dalla declaratoria d’incostituzionalità del D.L. n. 16 del 2012, art. 8, comma 24, convertito dalla L. n. 44 del 2012 (Cass. n. 22810 del 9/11/2015; Cass. n. 5177 del 2020).

Inconferente, appare dunque il riferimento alla sentenza della Corte Cost. n. 37 del 2015.

2. Con il secondo motivo deduce la violazione e/o falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 6 comma 5, e del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis, in relazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Lamenta che non era stato instaurato il contraddittorio preventivo con l’invio dell’avviso bonario.

La censura non è fondata.

Premesso che, nella specie, il recupero fiscale deriva da mero mancato versamento di imposte dichiarate deve rilevarsi che, da un lato, l’eventuale omessa trasmissione della comunicazione di irregolarità, citt. ex artt. 36-bis e 54-bis, costituisce mera irregolarità (v. Cass. n. 13759 del 2016) e non implica la nullità della cartella, e dall’altro, che tale sanzione è dettata solo dallo Statuto del contribuente, art. 6, comma 5, in relazione al c.d. avviso bonario.

Sul punto, peraltro, è costante l’insegnamento secondo cui “In tema di riscossione delle imposte, la L. n. 212 del 2000, art. 6, comma 5, non impone l’obbligo del contraddittorio preventivo in tutti i casi in cui si debba procedere ad iscrizione a ruolo, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis, ma soltanto “qualora sussistano incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione, situazione, quest’ultima, che non ricorre necessariamente nei casi soggetti alla disposizione appena indicata, la quale implica un controllo di tipo documentale sui dati contabili direttamente riportati in dichiarazione, senza margini di tipo interpretativo; del resto, se il legislatore avesse voluto imporre il contraddittorio preventivo in tutti i casi di iscrizione a ruolo derivante dalla liquidazione dei tributi risultanti dalla dichiarazione non avrebbe posto la condizione di cui al citato inciso” (Cass. n. 27716 del 2017). D’altra parte, secondo quanto affermato da Cass. n. 795 del 2011, non v’e’ spazio per la notifica dell’avviso bonario quando “non risulti dall’atto impositivo l’esistenza di incerte e rilevanti questioni interpretative”.

Infatti, secondo condivisibile orientamento, “In tema di controlli delle dichiarazioni tributarie, l’attività dell’Ufficio accertatore, correlata alla contestazione di detrazioni e crediti indicati dal contribuente, qualora nasca da una verifica di dati indicati da quest’ultimo e dalle incongruenze dagli stessi risultanti, non implica valutazioni, sicché è legittima l’iscrizione a ruolo della maggiore imposta ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 36-bis, e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54-bis, non essendo necessario un previo avviso di recupero” (così, Cass. n. 7076 del 2020; Cass. n. n. 4360 del 2017; v. anche Cass. n. 4392 del 2018, in motivazione).

La CTR ha accertato che nella specie non sussistevano “incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione” e, facendo corretta applicazione della giurisprudenza di questa Corte, che l’avviso bonario non era necessario.

3. Con il terzo motivo di ricorso si deduce la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, e degli artt. 148 e 156 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per la mancata compilazione del referto di notifica.

La censura non è fondata.

Si deve, in proposito, rilevare che il D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, comma 1, nel testo vigente ratione temporis, stabilisce che “La cartella è notificata dagli ufficiali di riscossione o da altri soggetti abilitati dal concessionario nelle forme previste dalla legge ovvero, previa eventuale convenzione tra comune e concessionario, dai messi comunali o dagli agenti della polizia municipale. La notifica può essere eseguita anche mediante invio di raccomandata con avviso di ricevimento; in tal caso, la cartella è notificata in plico chiuso e la notifica si considera avvenuta nella data indicata nell’avviso di ricevimento sottoscritto da una delle persone previste dal comma 2, o dal portiere dello stabile dove è l’abitazione, l’ufficio o l’azienda”. Come più volte affermato da questa Corte, la notifica della cartella di pagamento, eseguita ai sensi del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, comma 1, seconda parte, mediante invio diretto, da parte del concessionario, di raccomandata con avviso di ricevimento, costituisce una modalità di notifica alternativa rispetto a quella della prima parte della medesima disposizione. Essa si perfeziona alla data indicata nell’avviso di ricevimento sottoscritto dal ricevente o dal consegnatario, senza che sia necessario redigere un’apposita relazione di notificazione, né inviare alcuna raccomandata informativa al destinatario, trovando applicazione le norme del regolamento postale relative agli invii raccomandati e non quelle relative alla notifica a mezzo posta di cui alla L. n. 890 del 1982 (v., tra le tante, Cass., Sez. 6-5 civ., n. 10037 del 10/04/2019; Cass., Sez. 6-5 civ., n. 29710 del 19/11/2018; Cass., Sez. 6-5 civ., n. 28872 del 12/11/2018; Cass., Sez. L, n. 19270 del 19/07/2018; Cass., Sez. 5, n. 8293 del 04/04/2018; Cass., Sez. 6-5 civ., n. 12083 del 13/06/2016). Tale soluzione interpretativa ha superato il vaglio della Corte costituzionale (Corte Cost., sentenza n. 175 del 23/07/2018), la quale ha ritenuto che tale forma “semplificata” di notificazione trova giustificazione nell’accentuato ruolo pubblicistico dell’agente per la riscossione, volto ad assicurare la pronta realizzazione del credito fiscale a garanzia del regolare svolgimento della vita finanziaria dello Stato.

Secondo la Corte costituzionale, i rilevati scostamenti della disposizione in esame rispetto al regime ordinario della notificazione a mezzo posta, considerati nel loro complesso, segnano sì un arretramento del diritto di difesa del destinatario dell’atto, ma soddisfano il requisito dell’effettiva possibilità di conoscenza dell’atto, che costituisce il limite inderogabile alla discrezionalità del legislatore in materia.

Nella specie la CTR ha fatto corretta applicazione dei principi affermati dalla Corte, non senza rilevare -correttamente – che la nullità della notifica della cartella esattoriale è suscettibile di sanatoria per raggiungimento dello scopo, ai sensi degli artt. 156 e 160 c.p.c., atteso l’espresso richiamo, operato dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, alle norme sulle notificazioni del codice di rito (Cass. n. 384 del 2016; n. 1238 del 2014); più in generale va affermato che, “la notificazione è una mera condizione di efficacia e non un elemento dell’atto d’imposizione fiscale, sicché la sua nullità è sanata, a norma dell’art. 156 c.p.c., comma 2, per effetto del raggiungimento dello scopo, desumibile anche dalla tempestiva impugnazione” (Cass. n. 18480 del 2016).

4. Con il quarto motivo deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 115 c.p.c., in rapporto all’eccepita violazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 12 comma 4, in relazione al difetto di sottoscrizione del ruolo, eccezione rigettata implicitamente dalla CTR che sulla stessa non si era pronunciata.

La censura non è fondata.

La censura collide con il principio di diritto enunciato, anche di recente, da questa Corte (Cass. 30/10/2018, n. 27561), secondo cui: “In tema di requisiti formali del ruolo d’imposta, il D.P.R. n. 602 del 1973, art. 12, non prevede alcuna sanzione per l’ipotesi della sua omessa sottoscrizione, sicché non può che operare la presunzione generale di riferibilità dell’atto amministrativo all’organo da cui promana, con onere della prova contraria a carico del contribuente, che non può limitarsi ad una generica contestazione dell’esistenza del potere o della provenienza dell’atto, ma deve allegare elementi specifici e concreti a sostegno delle sue deduzioni. D’altronde, la natura vincolata del ruolo, che non presenta in fase di formazione e redazione margini di discrezionalità amministrativa, comporta l’applicazione del generale principio di irrilevanza dei vizi di invalidità del provvedimento, ai sensi della L. n. 241 del 1990, art. 21 octies.” (conf.: Cass. 18/05/2018, n. 12243, conf.: Cass. 21/12/2016, n. 26546).

Il ricorso deve essere, conseguentemente, rigettato.

Le spese seguono la soccombenza con l’Agenzia delle Entrate.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, da atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del citato art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida in complessivi Euro 2.300,00 oltre alle spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 26 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 8 luglio 2021

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