Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19404 del 23/09/2011

Cassazione civile sez. lav., 23/09/2011, (ud. 08/06/2011, dep. 23/09/2011), n.19404

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE LUCA Michele – Presidente –

Dott. IANNIELLO Antonio – Consigliere –

Dott. AMOROSO Giovanni – Consigliere –

Dott. BANDINI Gianfranco – Consigliere –

Dott. BERRINO Umberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 12295/2009 proposto da:

TECNOSERVIZI S.R.L. (già ECOSARNO S.C.A R.L.), in persona del legale

rappresentante prò tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

DEL BABUINO 99, presso lo studio dell’avvocato GUGLIELMUCCI Corrado,

che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato CARDILLO ORESTE,

giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

D.R.A., B.F., elettivamente domiciliati in

ROMA, VIA TACITO 50, presso lo studio dell’avvocato COSSU BRUNO,

rappresentati e difesi dagli avvocati MARANO Maurizio, RIZZO ANTONIO,

giusta delega in atti;

– controricorrenti –

e contro

COSTRUZIONI DONDI S.P.A., I.B.I. – IDROBIOIMPIANTI S.R.L., IMPEC

S.R.L.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 625/2008 della CORTE D’APPELLO di SALERNO,

depositata il 19/05/2008 r.g.n. 899/06;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

08/06/2011 dal Consigliere Dott. UMBERTO BERRINO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MATERA Marcello, che ha concluso per il rigetto, estinzione per B.

F..

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 6/2 – 19/5/08 la Corte d’Appello di Salerno rigettò l’impugnazione proposta dalla Tecnoservizi s.r.l. (già Ecosarno s.c.a. r.l.) avverso la sentenza del 24/3/05 del giudice del lavoro del Tribunale di Nocera Inferiore, con la quale era stata dichiarata l’illegittimità dei licenziamenti irrogati agli odierni intimati ed ordinata la loro reintegra nel posto di lavoro, e condannò l’appellante alle spese del grado.

La Corte salernitana addivenne a tale decisione sulla base, anzitutto, del convincimento della idoneità degli atti di impugnativa dei licenziamenti ai fini della interruzione del termine di decadenza di sessanta giorni di cui alla L. n. 604 del 1966, termine valevole anche per i licenziamenti collettivi, come quelli in esame; inoltre, fu ritenuta la sussistenza della violazione del dovere di informazione di cui alla L. n. 223 del 1991, art. 4, violazione che nella fattispecie era rappresentata dalla discordanza tra quanto comunicato dalla parte datoriale alle organizzazioni sindacali e la reale situazione lavorativa della società, essendo stato accertato che all’atto di avvio della procedura del licenziamento collettivo risultavano ancora lavori da farsi in misura superiore a quella asseverata, al punto che l’erroneità delle informazioni fornite si era riverberata sull’accordo sindacale del 26/11/01 avente ad oggetto l’adozione del criterio da seguire per l’esodo del personale, rendendolo nullo; infine, era apparso inadeguato, in quanto estremamente generico, come tale insuscettibile di controllo, il riferimento, in sede di accordo sindacale, al solo criterio di scelta delle esigenze tecnico-produttive dell’impresa.

Quanto al secondo licenziamento intimato il 22/2/2002 al D. R., la Corte d’appello osservò che tale atto di recesso era stato comunicato in epoca antecedente all’annullamento del primo, per cui, dovendosi considerare il rapporto lavorativo come ancora in essere alla predetta data del 22 febbraio 2002, ne conseguiva che il secondo atto di risoluzione finiva per essere sostanzialmente privo di oggetto.

Per la cassazione della sentenza propone ricorso la Tecnoservizi che affida l’impugnazione a sei motivi di censura.

Resistono con controricorso D.R.A. e B.F..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Preliminarmente va dichiarata l’estinzione del procedimento nei confronti di B.F. essendo intervenuta la conciliazione tra il medesimo e l’odierna ricorrente, come da copia del relativo verbale del 25/9/2009 depositato unitamente all’atto di rinunzia al presente ricorso da parte della difesa della società, rinunzia che risulta essere stata accettata dal suddetto intimato e dal suo difensore costituito.

Invero, dal predetto verbale risulta che le parti hanno raggiunto un accordo transattivo concernente la controversia “de qua”, posto che il B. ha rinunziato all’impugnativa del licenziamento accettando definitivamente la risoluzione del rapporto alla data del 14/12/2001, mentre il legale rappresentante della società ha offerto all’ex dipendente la somma di Euro 20.000,00, da quest’ultimo accettata al netto delle ritenute fiscali con contestuale rinunzia ad ogni ulteriore diritto od azione derivante dall’intercorso rapporto.

Osserva il Collegio che il suddetto verbale di conciliazione si palesa idoneo a dimostrare la cessazione della materia del contendere nel giudizio di cassazione ed il conseguente sopravvenuto difetto di interesse delle parti a proseguire il processo; alla cessazione della materia del contendere consegue, pertanto, la declaratoria di estinzione del processo, in quanto l’interesse ad agire, e quindi anche ad impugnare, deve sussistere non solo nel momento in cui è proposta l’azione o l’impugnazione, ma anche nel momento della decisione, in relazione alla quale, ed in considerazione della domanda originariamente formulata, va valutato l’interesse ad agire (Cass. S.U. 29 novembre 2006 n. 25278, Cass. 13-7-2009 n. 16341).

Non va adottata alcuna statuizione sulle spese avendo le parti già provveduto a regolarle tra di loro col suddetto accordo transattivo.

Va, pertanto, esaminato il ricorso solo nei confronti di D.R. A..

1. Col primo motivo viene denunziata l’omessa e/o contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., n. 5).

Attraverso tale motivo si contesta sia la genericità del riferimento contenuto in sentenza all’allegato n. 11, vale a dire la copia della missiva relativa all’impugnativa di licenziamento del 14/12/01, spedita dal L.R. il 24/12/01 (la Corte territoriale aveva ritenuto che era inidonea, al fine di impedire la decadenza dall’impugnativa, la missiva spedita dal solo legale del lavoratore), sia la ritenuta tempestività di una tale produzione documentale.

2. Col secondo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 414 c.p.c., n. 5 (art. 360 c.p.c., n. 4) contestandosi il fatto che i giudici d’appello hanno dato atto dell’esistenza di documenti depositati nonostante la mancata specificazione degli stessi, e quindi illegittimamente introdotti nel giudizio. A conclusione del motivo si pone il seguente quesito: “Se nel caso che il ricorrente abbia depositato documenti il cui contenuto non era stato specificamente individuato ai sensi dell’art. 414 c.p.c., n. 5, nel ricorso, avendo egli invece affermato, a conclusione dello stesso, che sarebbero stati depositati tutti i documenti richiamati in ricorso, erri il giudice che accerti l’esistenza di tali documenti, non potendo, invece egli tenerne alcun conto essendo stati introdotti nel processo illegittimamente, e perciò giuridicamente inesistenti, per effetto della mancata previa specificazione degli stessi che presuppone un’opzione per essi in quanto ritenuti idonei a comprovare i fatti allegati”.

3. Oggetto del terzo motivo di doglianza è la violazione e falsa applicazione dell’art. 414 c.p.c., n. 5; dell’art. 420 c.p.c. e art. 437 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4.

Si contesta, in pratica, l’avvenuta autorizzazione a produrre in corso di giudizio altro documento al quale è stata riconosciuta efficacia interruttiva della decadenza e si formula il seguente quesito di diritto: “Se erri il giudice che, alla parte cui sia stata contestata l’idoneità, a costituire impugnativa di licenziamento, di un documento prodotto con il ricorso introduttivo, consenta di produrre, nel corso del giudizio, altro documento che abbia, ad avviso della stessa, la predetta idoneità; affermando, per giustificare tale facoltà, che la decisione delle S.U. n. 8802 del 2005 e le successive che alla stessa si sono conformate, consente per qualsiasi sviluppo della vicenda processuale, siffatta produzione (tardiva) per il contemperamento del principio di immediata estrinsecazione di allegazioni fattuali e prove con quello di verità materiale dei fatti stessi, tanto in linea con quanto disposto con l’art. 420 c.p.c., n. 5; laddove, invece, le decisioni stesse hanno ribadito la decadenza dalla produzione documentale non avvenuta con gli atti introduttivi del giudizio consentendo, unicamente, anche per le prove c.d. costituite, la produzione successiva agli atti introduttivi del giudizio, solo ove ciò sia imposto da vicende processuali tipiche e sopravvenute; non potendosi consentire che la parte, una volta che abbia prescelto di produrre un determinato documento, nella sede propria degli atti introduttivi, per la sua idoneità a comprovare i fatti allegati, ne produca altro, di cui già disponeva, a seguito di contestazione della controparte”.

4. Col quarto motivo ci si duole dell’omessa e/o insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., n. 5) e si rileva che la Corte non ha spiegato su quali basi poggiava il proprio convincimento dell’avvenuta ricezione delle impugnative dei lavoratori (atti recettizi) e della loro tempestività.

5. Col quinto motivo si denunzia la violazione e falsa applicazione dell’art. 1334 c.c. (art. 360 c.p.c., n. 3) contestandosi il riferimento esclusivo operato dalla Corte territoriale alla data di spedizione della missiva contenente l’impugnativa del licenziamento.

Al riguardo si pone il seguente quesito di diritto: “Se erri il giudice, il quale dovendo accertare la idoneità di una lettera spedita dal lavoratore licenziato al datore di lavoro ad impugnare il licenziamento irrogatogli, riconosca alla stessa tale efficacia, facendo esclusivamente riferimento alla data di spedizione ed omettendo qualsiasì riferimento a quello di ricezione; cui, invece, andava fatto riferimento, attesa la natura recettizia, ai sensi dell’art. 1334 c.c, dell’atto di impugnativa del licenziamento”.

6. Con l’ultimo motivo si deduce la violazione dell’art. 1324 c.c., L. n. 300 del 1970, art. 18 e L. n. 223 del 1991, art. 5, comma 1 (art. 360 c.p.c., n. 3) e si formula il seguente quesito: “Se erri il giudice di merito che ha ritenuto invalido ed improduttivo di effetti il nuovo e diverso licenziamento intimato a lavoratore destinatario di precedente licenziamento collettivo dichiarato inefficace L. n. 223 del 1991, ex art. 5, comma 1, con pronunzia intervenuta in epoca successiva al secondo licenziamento sul presupposto che sinchè, per effetto dell’annullamento non siano stati rimossi gli effetti dell’esercizio del potere risolutorio da parte del datore di lavoro non possa irrogarsi altro licenziamento, essendo, invece, valido e produttivo di effetti tale diverso e successivo licenziamento per inidoneità del primo licenziamento, in quanto inefficace, a produrre effetti e, comunque, per l’inidoneità del licenziamento illegittimo ad estinguere il rapporto, determinando esso un’interruzione di fatto del rapporto di lavoro senza incidere sulla sua continuità retributiva e previdenziale”. In concreto si sostiene che gli effetti dell’annullamento del primo licenziamento intimato il 14/12/01, oggetto del procedimento conclusosi con la sentenza di primo grado del 24/3/05, a sua volta intervenuta allorquando era stato già da tempo intimato al dipendente in data 22/2/02 un secondo licenziamento per motivi disciplinari, dovevano necessariamente arrestarsi al momento dell’irrogazione di quest’ultimo provvedimento di risoluzione.

Osserva la Corte che i primi tre motivi possono essere trattati congiuntamente in quanto affrontano la stessa questione della presunta illegittima acquisizione nel processo degli atti di impugnativa dei recessi, tra i quali quello dell’odierno D. R., giudicati idonei dal giudice d’appello ad interrompere il termine di decadenza dei sessanta giorni dalla comunicazione del provvedimento di licenziamento L. n. 604 del 1966, ex art. 6.

Orbene, l’infondatezza dei suddetti motivi discende dalle seguenti considerazioni: anzitutto, non è dato ravvisare affatto il presunto vizio di genericità con riguardo alla indicazione, operata nella sentenza impugnata ai fini della ritenuta idoneità dell’atto di impugnativa, all’allegato n. 11, atteso che il giudice d’appello spiega chiaramente, con ragionamento assolutamente logico, che nell’originario ricorso i ricorrenti, tra i quali l’odierno D. R., diedero atto di aver impugnato di persona in via stragiudiziale il recesso (esattamente a pag. 4, punto K dell’atto introduttivo), allegando, come da indice del fascicolo di parte contenente i documenti depositati ex art. 415 c.p.c., comma 1, le relative missive in copia (vale a dire quelle di cui al suddetto allegato n. 11). Tra l’altro, l’indicazione, nella sentenza d’appello, della fonte di prova inerente la tempestività dell’impugnazione stragiudiziale del licenziamento, pone a carico della ricorrente l’onere di denunciare specificamente la non veridicità dell’assunto. Inoltre, con argomentazione scevra da vizi di carattere logico-giuridico, il medesimo giudicante aggiunge che alla prima udienza dell’11/7/03 il procuratore dei ricorrenti, cioè l’avv. Maurizio Marano, si riservava di produrre gli originali di dette missive, poi provvedendo in tal senso all’udienza del 30/10/03, senza che la difesa della Ecosarno obiettasse alcunchè al riguardo nelle prime difese o successivamente fino alla decisione della causa.

Nè, d’altra parte può sostenersi che si trattasse di documenti nuovi illegittimamente acquisiti agli atti del processo da parte del giudicante, in quanto si trattava della produzione degli originali di copie delle missive già indicate ed allegate nell’atto introduttivo del giudizio, senza che alcuna obiezione venisse mossa al riguardo dalla controparte.

In ogni caso, non si può trascurare di porre in rilevo che questa Corte ha già avuto modo di affermare (Cass. sez. lav. n. 6694 del 19/3/2009) che “la deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata con ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità non già il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito: il controllo di logicità del giudizio di fatto non equivale infatti ad una revisione del ragionamento decisorio, dovendo il giudice di legittimità limitarsi a verificare l’esistenza di eccettuali vizi della motivazione in fatto della sentenza di appello, la quale, peraltro, in caso di conferma della sentenza di primo grado, però risultava anche dalla integrazione della parte motiva delle due sentenze”.

Egualmente infondati si rivelano il quarto ed il quinto motivo di censura coi quali viene posta in discussione la tempestività dell’impugnativa del licenziamento ai fini della decadenza, adducendosi che il giudice d’appello avrebbe omesso di motivare le ragioni del proprio convincimento in ordine alle contestazioni inerenti sia la ricezione dell’impugnativa proveniente dal lavoratore che la sua tempestività ed avrebbe, altresì, errato nel dare rilevanza, ai fini della tempestività della suddetta missiva, alla data di spedizione della stessa.

Ebbene, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, è corretta la decisione del giudice d’appello di dare rilevanza, ai fini della tempestività dell’impugnativa del licenziamento atta ad evitare la decadenza, alla missiva spedita dal dipendente D.R. il 24/12/01 a fronte del recesso comunicatogli il 14/12/01.

Invero, come le sezioni unite di questa Corte hanno avuto modo di statuire (Cass. sez. Un. n. 8830 del 14/4/2010), “l’impugnazione del licenziamento ai sensi della L. 15 luglio 1966, n. 604, art. 6, formulata mediante dichiarazione spedita al datore di lavoro con missiva raccomandata a mezzo del servizio postale, deve intendersi tempestivamente effettuata allorchè la spedizione avvenga entro sessanta giorni dalla comunicazione del licenziamento o dei relativi motivi, anche se la dichiarazione medesima sia ricevuta dal datore di lavoro oltre detto termine, atteso che – in base ai principi generali in tema di decadenza, enunciati dalla giurisprudenza di legittimità e affermati, con riferimento alla notificazione degli atti processuali, dalla Corte Costituzionale – l’effetto di impedimento della decadenza si collega, di regola, al compimento, da parte del soggetto onerato, dell’attività necessaria ad avviare il procedimento di comunicazione demandato ad un servizio – idoneo a garantire un adeguato affidamento – sottratto alla sua ingerenza, non rilevando, in contrario, che, alla stregua del predetto art. 6, al lavoratore sia rimessa la scelta fra più forme di comunicazione, la quale, valendo a bilanciare la previsione di un termine breve di decadenza in relazione al diritto del prestatore a conservare il posto di lavoro e a mantenere un’esistenza libera e dignitosa (artt. 4 e 36 Cost.), concorre a mantenere un equo e ragionevole bilanciamento degli interessi coinvolti”.

Pertanto, i primi cinque motivi del ricorso vanno rigettati.

E’, invece, fondato il sesto motivo del ricorso col quale la ricorrente si duole della inefficacia connessa dal giudice d’appello al secondo licenziamento intimato al D.R. il 22/2/2002 per motivi disciplinari, sostenendo che gli effetti dell’annullamento del primo licenziamento, intimato il 14/12/01, dovevano necessariamente arrestarsi al momento dell’irrogazione, per motivi diversi, del successivo atto di risoluzione.

Si è, infatti, affermato (Cass. sez. lav. n. 6055 del 6/3/2008) che “il licenziamento illegittimo non è idoneo ad estinguere il rapporto al momento in cui è stato intimato, determinando unicamente una sospensione della prestazione dedotta nel sinallagma, a causa del rifiuto del datore di ricevere la stessa, e non esclude che il datore di lavoro possa rinnovare il licenziamento, in base ai medesimi o a diversi motivi del precedente. Ne consegue che, nel caso in cui, dopo un primo licenziamento, ne sia intervenuto un altro non tempestivamente impugnato, il giudice, chiamato a pronunciarsi sulle conseguenze del primo licenziamento dichiarato illegittimo, deve limitarsi alla condanna al risarcimento dei danni subiti dal lavoratore nel periodo corrente tra il primo ed il secondo licenziamento e non può, invece, ordinare la reintegra nel posto di lavoro, essendosi il rapporto lavorativo ormai definitivamente estinto, per effetto della mancata impugnativa del secondo provvedimento di recesso”.

Si è, poi, ribadito (Cass. sez. lav. n. 19770 del 14/9/2009) che “il licenziamento illegittimo intimato ai lavoratori ai quali sia applicabile la tutela reale non è idoneo ad estinguere il rapporto al momento in cui è stato intimato, determinando solamente una interruzione di fatto del rapporto di lavoro senza incidere sulla sua continuità e permanenza. Ne consegue che, ove venga irrogato un secondo licenziamento per giusta causa o per giustificato motivo, fondato su fatti diversi da quelli posti a sostegno del primo provvedimento di recesso, i relativi effetti si produrranno solo nel caso in cui il precedente recesso venga dichiarato illegittimo”.

Più di recente, a conferma di un orientamento ormai consolidatosi, si è ribadito (Cass. sez. lav. n. 1244 del 20/1/2011) che “in tema di rapporto di lavoro subordinato, il datore di lavoro, qualora abbia già intimato al lavoratore il licenziamento per una determinata causa o motivo, può legittimamente intimargli un secondo licenziamento, fondato su una diversa causa o motivo, restando quest’ultimo del tutto autonomo e distinto rispetto al primo. Ne consegue che entrambi gli atti di recesso sono in sè astrattamente idonei a raggiungere lo scopo della risoluzione del rapporto, dovendosi ritenere il secondo licenziamento produttivo di effetti solo nel caso in cui venga riconosciuto invalido o inefficace il precedente”.

Pertanto, la sentenza impugnata va cassata in relazione al motivo accolto e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, la causa può essere decisa nel merito con esclusione della reintegrazione nel posto di lavoro e con limitazione del risarcimento dei danni in favore del lavoratore fino alla data del secondo licenziamento del 22/2/2002, La natura e la complessità delle questioni di diritto trattate, ivi comprese quelle non investite dalle attuali censure, oltre che la reciproca soccombenza delle parti, inducono questa Corte a ritenere interamente compensate tra le stesse le spese dell’intero processo.

P.Q.M.

La Corte dichiara estinto il processo nei confronti di B. F.. Nulla per le spese.

Accoglie il sesto motivo del ricorso nei confronti di D.R. A. e rigetta gli altri. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, esclude la reintegrazione nel posto di lavoro e limita il risarcimento dei danni fino alla data del secondo licenziamento. Compensa le spese dell’intero processo.

Così deciso in Roma, il 8 giugno 2011.

Depositato in Cancelleria il 23 settembre 2011

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