Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19403 del 22/08/2013


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 19403 Anno 2013
Presidente: UCCELLA FULVIO
Relatore: CIRILLO FRANCESCO MARIA

PU

SENTENZA

sul ricorso 26453-2007 proposto da:
GALIMBERTI WILMA in proprio e quale erede di MORIGGI
MARIA, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA
A.DAVILA 89, presso lo studio dell’avvocato AMOROSO
ALFONSO, rappresentata e difesa dall’avvocato
PIZZONIA DOMENICO giusta delega in atti;
– ricorrente –

2013
1108

contro

SCOTTI GIACOMO, FATA ASSICURAZIONI S.P.A.;
– intimati –

sul ricorso 30004-2007 proposto da:

1

Data pubblicazione: 22/08/2013

SCOTTI GIACOMO, elettivamente domiciliato in ROMA,
VIA UGO OJETTI 350, presso lo studio dell’avvocato
MACCARRONE GIUSEPPE, che lo rappresenta e difende
unitamente all’avvocato DE BIASI GIOVANNI giusta
delega in atti;

non chè contro

GALIMBERTI WILMA, FATA ASSICURAZIONI S.P.A.;
– intimati –

avverso la sentenza n. 881/2006 della CORTE D’APPELLO
di BRESCIA, depositata il 14/09/2006 R.G.N.
17121/2003;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 17/05/2013 dal Consigliere Dott.
FRANCESCO MARIA CIRILLO;
udito l’Avvocato DOMENICO PIZZONIA;
udito l’Avvocato GIOVANNI DE BIASI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. CARMELO SGROI che ha concluso per
l’accoglimento p.q.r. dei motivi 3 ° , 4 ° , 5 ° e 10 ° ,
rigetto nel resto del ricorso principale;
inammissibilita’

ricorso

del

condizionato.

2

incidentale

– ricorrente –

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

%

1. In data 22 agosto 1978, in Brignano Gera d’Adda, si
verificava un tragico incidente stradale nel quale Giacomo
Scotti, alla guida di un trattore, causava la morte del giovane
Isaia Galimberti, di anni ventitré. Il processo penale a carico

genitori e la sorella del defunto – si concludeva con una
sentenza di condanna per il reato di omicidio colposo, passata
in giudicato, con annessa condanna al risarcimento dei danni da
liquidarsi in separata sede.
Con successivo atto di citazione Giuseppe Galimberti, Maria
Moriggi e Wilma Galimberti – rispettivamente padre, madre e
sorella del defunto Isaia Galimberti – promuovevano il giudizio
di risarcimento danni, davanti al Tribunale di Bergamo, nei
confronti di Giacomo Scotti e della società di assicurazione
FATA, chiedendo la somma complessiva di lire 64.863.335 e dando
atto di aver ricevuto a titolo di provvisionale la somma di
lire 10.000.000.
Il convenuto Scotti si costituiva contestando l’entità del
richiesto risarcimento ed offrendo la somma di lire 15.000.000
a definitiva tacitazione di ogni pretesa, mentre la società di
assicurazione metteva a disposizione il residuo massimale.
Nel corso del giudizio moriva Giuseppe Galimberti e in sua
vece subentravano la moglie e la figlia.
Il Tribunale di Bergamo, con sentenza del 14 giugno 2002,
.

condannava lo Scotti al pagamento della somma di lire

dello Scotti nel quale si costituivano parti civili i

.

170.926.000 in favore di Maria Moriggi e di lire 60.000.000 in
favore di Wilma Galimberti, oltre rivalutazione, interessi e

..
con il carico delle spese.
2. Avverso la sentenza di primo grado proponeva appello
Giacomo Scotti e la Corte d’appello di Brescia, con pronuncia

respingeva ogni domanda proposta da Maria Moriggi e Wilma
Galimberti, compensando integralmente le spese dell’intero
giudizio.
Osservava il giudice d’appello, accogliendo il primo motivo
di impugnazione, che erroneamente il Tribunale non aveva dato
rilievo all’atto di quietanza prodotto dalla FATA s.p.a., dal
quale risultava che gli appellati avevano accettato una somma a
completa tacitazione di ogni loro pretesa. Tale eccezione
preliminare, ancorché sollevata per la prima volta in sede di
precisazione delle conclusioni nel giudizio di primo grado, non
poteva essere ritenuta tardiva, trattandosi di causa introdotta
prima del 30 aprile 1995, ossia in data anteriore all’entrata
in vigore della legge 26 novembre 1990, n. 353.
Nel merito, risultava dalla copia fotostatica dell’atto di
quietanza, il cui contenuto era leggibile, che in data 14
luglio 1988 Giuseppe Galimberti, Maria Moriggi e Wilma
Galimberti – le cui sottoscrizioni alla fine del documento non
erano state disconosciute – accettavano la somma di lire
5.000.000 a transazione e completa soddisfazione di ogni loro
.

domanda, dichiarando di non avere altro a pretendere. E poiché

4

del 14 settembre 2006, in riforma di quella di primo grado,

W-/

l’atto transattivo veniva effettuato anche nell’interesse
dell’assicurato, i medesimi sottoscrittori riconoscevano di non
poter più pretendere nulla nemmeno dallo Scotti.
A corredo di tale circostanza, la Corte d’appello rilevava
che la lettera raccomandata del 14 novembre 1990 richiamata dal
nella

quale

la

FATA

s.p.a.

comunicava

all’assicurato che la vertenza non poteva ritenersi chiusa col
pagamento del massimale, poiché gli attori pretendevano somme
maggiori – non era presente nel fascicolo di causa, mentre
sarebbe stato onere degli appellati procurarsene una copia ed
inserirla negli atti. Allo stesso modo non aveva alcun valore,
secondo la Corte bresciana, il fatto che la società

di

assicurazione avesse versato l’ulteriore somma di lire
4.125.274 dopo il pagamento del massimale di lire 5.000.000,
perché dal controllo esatto delle date emergeva che detta
ulteriore somma, versata a titolo di obbligazione accessoria,
era stata pagata con assegno trasmesso il 16 giugno 1988, ossia
in data precedente rispetto a quella della quietanza.
3. Avverso la sentenza della Corte d’appello di Brescia
propone ricorso Wilma Galimberti, in proprio ed in qualità di
erede della defunta madre Maria Moriggi, con atto affidato a
undici motivi.
Resiste Giacomo Scotti con controricorso,

contenente

ricorso incidentale condizionato affidato ad un motivo.
Le parti hanno presentato memorie.
MOTIVI DELLA DECISIONE

5

Tribunale

Occorre innanzitutto procedere alla riunione dei ricorsi,
ai sensi dell’art. 335 cod. proc. civ., in quanto proposti
avverso la medesima sentenza.
È opportuno premettere che gli undici motivi di ricorso, in
parte sovrabbondanti e ripetitivi, pongono a questa Corte una

1. Un primo gruppo di questioni, di cui ai motivi primo,
secondo, settimo, ottavo ed undicesimo, riguardano le
prospettate violazioni di legge consistenti nell’asserita
reiterazione della precisazione delle conclusioni (art. 13,
comma 5, della legge 22 luglio 1997, n. 276), nella conseguente
violazione dell’art. 345 cod. proc. civ., nella violazione
dell’art. 184 cod. proc. civ. e nel conseguente vizio di
motivazione circa l’eccepita inesistenza delle conclusioni
rassegnate per la seconda volta.
Le argomentazioni poste con questi motivi possono essere
così sintetizzate: 1) poiché la causa, iniziata davanti al
Tribunale di Bergamo, è poi stata affidata alla decisione della
sezione stralcio di cui alla legge n. 276 del 1997, la
precisazione delle conclusioni sarebbe avvenuta due volte, una
all’udienza del 28 aprile 1994 davanti al giudice istruttore e
la seconda all’udienza del 19 aprile 2000 davanti al giudice
unico; le conclusioni rassegnate per la seconda volta
dovrebbero considerarsi inesistenti, non essendo ammissibile la
ripetizione, e solo nelle seconde conclusioni è stato
richiamato il carattere satisfattivo della quietanza sulla

6

serie di questioni che possono essere utilmente raggruppate.

quale la Corte d’appello ha costruito la propria motivazione
(primo motivo); 2) da ciò discende che il giudice d’appello,
avendo deciso sulla base delle seconde conclusioni, avrebbe
violato l’art. 345 cod. proc. civ., poiché si sarebbe
pronunciata su di una domanda nuova (secondo motivo); 3)

stata prodotta dal difensore della FATA s.p.a. all’udienza del
19 giugno 1990, l’eccezione estintiva sarebbe stata sollevata
tardivamente, in violazione dell’art. 184 cod. proc. civ.
(settimo motivo); 4) la motivazione della Corte d’appello
sull’eccepita inesistenza delle seconde conclusioni sarebbe
sostanzialmente omessa (ottavo motivo); 5) la motivazione della
Corte d’appello sarebbe altresì carente in ordine alla eccepita
tardività ed irritualità dell’eccezione estintiva fondata sulla
presunta portata liberatoria della quietanza già richiamata;
ciò in quanto la produzione è avvenuta, appunto, all’udienza
del 19 giugno 1990 e la portata liberatoria è stata fatta
valere solo in sede di seconda precisazione delle conclusioni,
circa dieci anni dopo (undicesimo motivo).
1.2. I motivi, in parte fra loro ripetitivi, sono tutti
privi di fondamento.
Il presente giudizio, infatti, è stato celebrato secondo le
norme del c.d.

vecchio rito,

in quanto introdotto in data

antecedente il 30 aprile 1995 e, proprio in quanto tale,
M.

transitato alla c.d. sezione stralcio di cui alla legge n. 276
del 1997.

7

d’altra parte, poiché la citata quietanza risale al 1988 ed è

L’art. 13 della legge appena citata disponeva che i
procedimenti destinati alla sezione stralcio fossero rimessi,
per la trattazione, davanti ad un giudice onorario aggregato,
il quale era chiamato innanzitutto a svolgere il tentativo di
conciliazione; fallito il quale, il comma 5 prevedeva che il

bis del codice di procedura civile». Il richiamo all’art. 190bis

dimostra senza alcun dubbio – nonostante la successiva

abrogazione del medesimo da parte dell’art. 63 del decreto
legislativo 19 febbraio 1998, n. 51 – che il rito da seguire
comportava una (nuova) precisazione delle conclusioni; il che,
d’altra parte, si spiega in coerenza con un rito che, oltre ad
avere un sistema meno rigido di preclusioni, aveva disposto il
transito della causa dal giudice togato ad un giudice onorario
in vista di un obiettivo di deflazione del contenzioso, che non
poteva essere raggiunto se non rimettendo in qualche modo “in
gioco” quanto era stato compiuto fino a quel punto.
Deve quindi affermarsi – in linea con quanto già stabilito,
in relazione ad un diverso profilo processuale, dalla sentenza
9 settembre 2011, n. 18564 – che l’art. 13, comma 5, della
legge n. 276 del 1997 prevede che davanti al giudice onorario
aggregato le parti provvedano ad una nuova precisazione delle
conclusioni, senza alcun vincolo rispetto a quelle
eventualmente già precisate in precedenza davanti al giudice
istruttore; ciò comporta l’infondatezza del primo motivo di
ricorso e, di conseguenza, del secondo e dell’ottavo, in quanto

8

giudice istruttore decidesse la causa «ai sensi dell’art. 190-

il fatto che la Corte d’appello abbia tenuto conto delle
conclusioni precisate davanti al g.o.a. non implica violazione
dell’art. 345 cod. proc. civ., né può sostenersi che vi sia
carenza di motivazione su questo punto.
1.3. Non migliore sorte va riservata al settimo e

sostanza, una lesione dell’art. 184 cod. proc. civ. in
conseguenza della asserita tardività della produzione della
quietanza liberatoria rilasciata dai familiari del Galimberti
alla società di assicurazione.
Come già rilevato in precedenza, trattandosi di causa
iniziata prima del 30 aprile 1995, alla stessa deve essere
applicato il disposto dell’art. 184 cod. proc. civ. nel testo
anteriore a quello di cui alla legge n. 353 del 1990; tale
norma prevedeva che le parti potessero produrre nuovi documenti
fino al momento della rimessione della causa al collegio, da
intendersi, in riferimento al rito davanti al g.o.a., fino al
momento di precisazione delle conclusioni di cui al menzionato
art. 190-bis del codice di procedura civile. La giurisprudenza
di questa Corte, d’altra parte, ha in più occasioni ribadito,
in relazione alle cause c.d. di vecchio rito, che il sistema di
preclusioni era da considerare in modo assai più blando, sicché
anche il divieto di proposizione di domande o di eccezioni
nuove non era di per sé da sanzionare in assenza di un
atteggiamento di opposizione della controparte (v., tra le
altre, le sentenze 16 novembre 1998, n. 11508, 13 febbraio

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all’undicesimo motivo di ricorso, coi quali si lamenta, in

2006, n. 3072, 29 novembre 2006, n. 25242, e 11 settembre 2008,
n. 23389). E, nella specie, nei motivi in esame ci si limita a
riferire di una generica non accettazione del contraddittorio
su questi profili (v. p. 9 del ricorso), senza specificare
nulla di più preciso al riguardo; sicché anche questi ulteriori

all’art. 360, primo comma, n. 4), cod. proc. civ. – devono
essere respinti.
2. Un secondo gruppo di questioni, di cui ai motivi terzo,
quarto e decimo, sono centrati sulla quietanza del 1988 sopra
ricordata. In particolare: 1) la Corte d’appello non avrebbe
adeguatamente interpretato, alla luce dell’art. 1362 cod. civ.,
il contenuto dell’atto in questione, soprattutto alla luce del
successivo comportamento delle parti, dal quale risulta senza
possibilità di dubbio che il giudizio di primo grado è
proseguito per molte udienze, fino alla precisazione delle
conclusioni, senza che nessuno abbia fatto riferimento al
presunto carattere satisfattivo e definitivo della quietanza
(terzo motivo); 2) vi sarebbe falsa applicazione degli artt.
1965 e 1966 cod. civ. in tema di transazione, perché il
documento richiamato nella sentenza impugnata non può essere
considerato come transazione, trattandosi di un modulo
standard, relativo ai soli rapporti tra gli eredi della vittima
e la società di assicurazione, che nessuna valenza liberatoria
poteva assumere nei confronti dello Scotti (quarto motivo); 3)
sussisterebbe, perciò, vizio di motivazione, perché la sentenza

10

motivi processuali – tra l’altro sollevati senza alcun richiamo

d’appello non avrebbe adeguatamente motivato sulle ragioni per
le quali ha ritenuto liberatoria la quietanza senza valutare il
complessivo comportamento delle parti (decimo motivo).
2.1. Va osservato, in riferimento a questo gruppo di
censure, che un ruolo centrale è rivestito dal terzo motivo di

dell’atto di quietanza in rapporto al successivo prosieguo
della vicenda processuale.
Rileva il Collegio, peraltro, che i quesiti di diritto
posti a supporto del terzo e del quarto motivo sono
all’evidenza inammissibili, in quanto formulati senza il
rispetto dei criteri enunciati dalla giurisprudenza di questa
Corte in relazione all’art. 366-bis cod. proc. civ.,
applicabile alla fattispecie ratione temporis.
La giurisprudenza di questa Corte ha chiarito che il
quesito di diritto deve essere formulato in termini tali da
costituire una sintesi logico-giuridica della questione, così
da consentire al giudice di legittimità di enunciare una regula
luris

suscettibile di ricevere applicazione anche in casi

ulteriori rispetto a quello deciso dalla sentenza impugnata. È
inammissibile, perciò, il motivo di ricorso per cassazione il
cui quesito di diritto si risolva in un’enunciazione di
carattere generale e astratto, priva di qualunque indicazione
sul tipo della controversia e sulla sua riconducibilità alla
fattispecie in esame, tale da non consentire alcuna risposta
utile a definire la causa nel senso voluto dal ricorrente, non

11

ricorso, col quale si lamenta l’erronea interpretazione

potendosi desumere il quesito dal contenuto del motivo o
integrare il primo con il secondo (Sez. Un., sentenza 11 marzo
2008, n. 6420). Il quesito di diritto deve essere risolutivo
del punto della controversia e non può risolversi nella
richiesta di declaratoria di un’astratta affermazione di

agosto 2007, n. 17108); esso, infatti, dovendo assolvere alla
funzione di integrare il punto di congiunzione tra la
risoluzione del caso specifico e l’enunciazione del principio
giuridico generale, non può essere meramente generico e
teorico, ma deve essere calato nella fattispecie concreta, per
mettere la Corte in grado di comprendere dalla sua sola lettura
l’errore asseritamente compito dal giudice di merito e la
regola applicabile (sentenza 7 marzo 2012, n. 3530).
Quanto, invece, alle censure di cui all’art. 360, primo
comma, n. 5), cod. proc. civ., questa Corte ha in più occasioni
rilevato l’inammissibilità della censura di omessa,
insufficiente o contraddittoria motivazione per mancata
formulazione del c.d. quesito di fatto, in ossequio alla

ratio

che sottende la disposizione indicata, secondo cui la Corte di
legittimità deve essere posta in condizione di comprendere,
dalla lettura del solo quesito, quale sia l’errore commesso dal
giudice di merito (sentenza 18 novembre 2011, n. 24255). Tale
motivo di ricorso per cassazione, perciò, deve contenere un
momento di sintesi omologo al quesito di diritto, costituente
una parte che si presenti a ciò specificamente e

12

principio da parte del giudice di legittimità (sentenza 3

riassuntivamente destinata, che ne circoscriva puntualmente i
limiti in maniera da non ingenerare incertezze in sede di
formulazione del ricorso e di valutazione della sua
ammissibilità (Cass., S.U., 18 giugno 2008, n. 16528, seguita,
fra le altre, di recente, dalle sentenze 4 dicembre 2012, n.

2.2. Ora, il quesito posto a conclusione del terzo motivo
di ricorso è il seguente:

«dica il Collegio se la Corte

d’appello di Brescia, nell’interpretare la quietanza in
predicato, abbia fatto falsa applicazione dell’art. 1362 c.c.,
nella parte in cui detto articolo impone al giudice di indagare
sulla volontà delle parti,

valutando il comportamento

complessivo tenuto dalle stesse anche posteriormente alla
sottoscrizione del negozio, ivi compreso il comportamento dei
terzi».
Il quesito posto a conclusione del quarto motivo di ricorso
è il seguente:

«dica il Collegio se la Corte d’appello di

Brescia, nell’aver attribuito efficacia liberatoria alla
quietanza in predicato anche nel confronti dello Scotti abbia
fatto falsa applicazione degli artt. 1965 e 1966 c.c.».
Si tratta, alla luce della giurisprudenza sopra menzionata,
di quesiti che, in sostanza, si limitano ad una generica
censura della sentenza impugnata, ponendo domande che tali, in
effetti, non sono. Si richiamano, infatti, le disposizioni di
legge di cui si presume la violazione e si chiede di verificare

13

21663, e 18 dicembre 2012, n. 23363).

/02111/

se tale violazione ci sia stata, in tal modo peccando di
evidente astrattezza.
Quanto al decimo motivo di ricorso, che formula una censura
di vizio di motivazione, esso non contiene alcun momento di
sintesi idoneo a circoscrivere la questione realmente posta

È

appena

il

caso

di

rilevare,

comunque,

che,

indipendentemente dall’inidoneità formale, attraverso i
riportati generici quesiti si chiede, in realtà, a questa Corte
di procedere ad una nuova interpretazione dell’effettivo
contenuto della contestata transazione, in tal modo
oltrepassando i limiti fissati per il giudizio di legittimità.
I motivi terzo,

quarto e decimo sono,

VAI/

dunque, VI/

inammissibili.
3. Un ultimo gruppo di censure, infine, di cui ai motivi
quinto, sesto e nono, si concentra sull’omessa valutazione, da
parte della Corte bresciana, di alcuni documenti esistenti in
atti. In particolare, lamentando la violazione degli artt. 115
e 116 cod. proc. civ. (quinto e sesto motivo), si richiama il
contenuto di alcune lettere dalle quali emergerebbe che la FATA
s.p.a. era ben consapevole del fatto che il mettere a
disposizione il massimale assicurativo non poteva implicare la
liberazione dello Scotti dalla responsabilità per l’ulteriore
risarcimento (quinto motivo). Si lamenta, in particolare nel
sesto motivo, che la Corte d’appello non abbia tenuto in
considerazione la lettera, inviata dalla società di

14

all’esame della Corte.

assicurazione allo Scotti in data 14 novembre 1990 – dalla
quale emerge l’impossibilità di una chiusura della vertenza documento che la sentenza non ha valutato perché non presente
in atti, mentre già la sentenza di primo grado ne aveva
trascritto l’integrale contenuto. Ciò si tradurrebbe anche

motivo).
3.1. Tali motivi di ricorso sono tutti privi di fondamento,
quando non addirittura inammissibili.
In relazione alle censure di violazione di legge, infatti,
i quesiti di diritto si presentano inammissibili, in quanto
formulati in modo tale da presentare gli stessi vizi
evidenziati a proposito dei motivi precedenti

(«dica la Corte

se la Corte d’appello di Brescia, nell’avere omesso di
esaminare i documenti richiamati, abbia violato gli artt. 115 e
116 c.p.c.»).

Si tratta, cioè, di quesiti apparenti che, nella

sostanza, non prevedono l’enunciazione, da parte della Corte,
di una regula iuris, ma chiedono a questo Collegio di procedere
ad nuovo esame e ad una nuova valutazione del materiale
probatorio acquisito, con superamento dei limiti previsti dalla
legge per il giudizio di legittimità. Quanto al nono motivo,
poi, che propone una censura di vizio di motivazione, lo stesso
non contiene la formulazione di alcun momento di sintesi
idoneo.
Tali motivi, quindi, sono anch’essi infondati.
4. Il ricorso, pertanto, è rigettato.

15

nella conseguente insufficiente motivazione sul punto (nono

Gk’

Il ricorso incidentale condizionato – formulato a p. 31, n.
5), del controricorso dello Scotti – è da ritenere assorbito,
atteso il rigetto di quello principale.
Per quanto concerne la liquidazione delle spese del
giudizio di cassazione, la Corte è dell’avviso che le stesse

dell’obiettiva delicatezza della controversia e dei
contrastanti esiti dei due giudizi di merito, non sussistendo
gli estremi per una pronuncia di condanna della ricorrente ai
sensi dell’art. 385, quarto comma, cod. proc. civ., come da
costante giurisprudenza di questa Corte.
PER QUESTI MOTIVI
La Corte riuniti i ricorsi,
assorbito

rigetta il ricorso principale,

il ricorso incidentale condizionato, e compensa

integralmente le spese del giudizio di cassazione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza
Sezione Civile, il 17 maggio 2013.

vadano interamente compensate tra le parti, in considerazione

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