Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19402 del 03/08/2017


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Cassazione civile, sez. un., 03/08/2017, (ud. 23/05/2017, dep.03/08/2017),  n. 19402

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RORDORF Renato – Primo Presidente f.f. –

Dott. AMOROSO Giovanni – Presidente di sez. –

Dott. BIELLI Stefano – Consigliere –

Dott. BIANCHINI Bruno – rel. Consigliere –

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Consigliere –

Dott. MANNA Antonio – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 26969-2015 proposto da:

A.G., AL.GI. nella qualità di erede di

Al.Gi., A.M.L., + ALTRI OMESSI

– ricorrenti –

contro

PROVINCIA DI VICENZA, in persona del Presidente pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA G.B. MORGAGNI 19, presso lo

studio dell’avvocato MICHELE SANDULLI, rappresentata e difesa dagli

avvocati MARIA ELENA TRANFAGLIA, ILARIA BOLZON, PAOLA MISTRORIGO,

PAOLO BALZANI e FEDERICA CASTEGNARO;

REGIONE DEL VENETO, in persona del Presidente pro tempore della

Giunta Regionale, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA F.

CONFALONIERI 5, presso lo studio dell’avvocato LUIGI MANZI, che la

rappresenta e difende unitamente agli avvocati CECILIA LIGABUE,

CHIARA DRAGO ed EZIO ZANON;

– controricorrenti –

contro

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, in persona del Presidente pro

tempore, MINISTERO DELL’AMBIENTE E DELLA TUTELA DEL TERRITORIO E DEL

MARE, in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliati

in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO

STATO;

– resistenti –

e contro

COMUNE DI VICENZA, COMUNE DI CALDOGNO;

– intimati –

avverso la sentenza n. 128/2015 del TRIBUNALE SUPERIORE DELLE ACQUE

PUBBLICHE, depositata il 06/07/2015.

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

23/05/2017 dal Consigliere Dott. BRUNO BIANCHINI;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. BASILE TOMMASO, che ha concluso per il rigetto del

ricorso;

uditi gli Avvocati Nicola Zampieri, Vittorio Cesaroni per

l’Avvocatura Generale dello Stato, Ivana Clemente per delega

dell’avvocato Michele Sandulli e Gianluca Calderara per delega

dell’avvocato Luigi Manzi.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Alcuni fondi siti nei Comuni di (OMISSIS) e (OMISSIS) furono scelti dalla Regione Veneto per essere destinati alla realizzazione di una cassa di espansione per la laminazione delle onde di piena del torrente (OMISSIS); nel giugno 2003 la società incaricata dalla Regione predispose un progetto preliminare che prevedeva tre bacini di laminazione; nel 2007 la Giunta Regionale approvò il giudizio di compatibilità ambientale al fine del rilascio della relativa valutazione (c.d. V.I.A.); nel 2012 con D.Dirett. Regione n. 437 del 2012 fu approvato un progetto definitivo relativo ad un unico bacino di laminazione da costruire nei Comuni di (OMISSIS) e (OMISSIS), recante la dichiarazione di pubblica utilità dell’area. Nel 2014 i lavori subirono dei ritardi rispetto al crono programma: una prima volta per la bonifica di infiltrazioni di arsenico provenienti dalla discarica sita nel Comune di (OMISSIS); successivamente per il rinvenimento di reperti di valore archeologico.

I ricorrenti, proprietari dei fondi interessati all’intervento regionale, impugnarono innanzi al Tribunale Superiore per le Acque Pubbliche (TSAP) il decreto dirigenziale del 2012 e tutti gli altri provvedimenti presupposti o connessi: in tale procedimento si costituirono la Regione; il Comune di (OMISSIS); la Provincia di Vicenza e l’Avvocatura di Stato per il Ministero dell’Ambiente e la Presidenza del Consiglio dei Ministri.

Respinta nell’aprile 2013 una richiesta di sospensiva, il Comune provvide ad approvare un Piano di Interventi n. 1/a – con il quale veniva localizzato il bacino di laminazione all’interno del Territorio comunale, costituendo il vincolo espropriativo; la Provincia emise i decreti di occupazione (in parte soggetti ad esproprio ed in parte sottoposti a servitù coattiva “di allagamento”): anche tali provvedimenti vennero impugnati con ricorso per motivi aggiunti.

Respinta nuovamente una richiesta di sospensiva, in prosieguo di tempo alcuni degli originari ricorrenti ( B.F.; + ALTRI OMESSI

Con sentenza n 128/2015 il Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche: dichiarò il difetto di giurisdizione in favore del Tribunale Regionale delle Acque Pubbliche (TRAP) in ordine al diritto all’indennità per i provvedimenti ablativi impugnati; dichiarò l’estinzione del giudizio nei confronti dei ricorrenti rinuncianti; respinse per il resto i ricorsi.

Tale decisione è stata impugnata R.D. n. 1775 del 1933, ex art. 201 dai ricorrenti indicati in epigrafe, facendosi valere otto motivi di ricorso; hanno resistito con controricorso la Provincia di Vicenza e la Regione Veneto; sono rimasti intimati il Comune di Vicenza e quello di (OMISSIS); la Presidenza del Consiglio dei Ministri ed il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare hanno chiesto di partecipare alla discussione orale; sono state depositate memorie.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1 Con il primo motivo viene denunciata la violazione della L. n. 241 del 1990, art. 7 (comunicazione di avvio del procedimento) ed art. 8 (modalità e contenuti della comunicazione di avvio del procedimento) nonchè del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 11 (partecipazione degli interessati) e art. 16 (modalità che precedono il progetto definitivo) (T.U. sulle espropriazioni).

1.1 – I ricorrenti ripropongono i motivi di impugnazione innanzi al TSAP con i quali avevano lamentato di non aver avuto una comunicazione personale nè per il tramite di una pubblicazione su quotidiani a rilevanza nazionale nè tanto meno mediante affissione sull’albo pretorio del Comune nel cui territorio ricadevano gli appezzamenti scelti per la procedura espropriativa, dell’avvio delle procedure che avevano portato alla declaratoria di pubblica utilità; sostengono di aver avuto notizia dei provvedimenti di apposizione del vincolo espropriativo e del progetto definitivo (comportante la dichiarazione di pubblica utilità dell’opera) solo successivamente alla loro approvazione.

1.2 – Il motivo è infondato in quanto si contesta il rilievo di fatto, contenuto nella decisione del TSAP, secondo la quale tale comunicazione vi sia stata, sia con raccomandata con ricevuta di ritorno – da parte della Provincia di Vicenza – sia con la pubblicazione in quotidiani a diffusione locale, con modalità tali, da assicurare le garanzie partecipative volute dal legislatore: avverso tali conclusioni le parti ricorrenti non hanno formulato alcuna doglianza specifica, diretta a sostenere che in concreto i propri diritti alla partecipazione ad ogni fase del procedimento fossero stati lesi (nel senso che l’esito provvedimentale sarebbe stato diverso se si fosse tenuto conto degli apporti latu sensu istruttori che avrebbero potuto approntare: vedi sul punto Cass. Sez. Un. n. 11961 del 31 maggio 2011 in ordine al criterio di effettività delle modalità di partecipazione-comunicazione dell’avvio del procedimento scelte dall’amministrazione, diverse da quelle previste dalla normativa di settore).

1.3 – Appare non conducente il richiamo alla sentenza n. 5080 del 27 febbraio 2008 di queste Sezioni Unite utilizzata per ribadire la necessità di pubblicizzazione di ogni fase procedimentale cospirante al fine dell’approvazione del progetto definitivo di assegnazione di aree e del conseguente assoggettamento all’esproprio, in quanto in quella fattispecie era mancata del tutto la dichiarazione di pubblica utilità e quindi la stessa era stata erroneamente considerata adottata in modo implicito – e per questo motivo non era stata comunicata agli interessati.

2 – Con il secondo motivo viene denunciata la violazione delle Direttive 85/337/CE e 2001/42/CE; dell’art 10 (presentazione della domanda di VIA) della L.R. Veneto n. 10 del 1999 (Disciplina dei contenuti e della valutazione delle procedure di valutazione di impatto ambientale); del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, artt. 4,5,19,20,23e 26 (TU delle norme a tutela dell’ambiente); del D.Lgs. 12 aprile 2006, n. 163, art. 185 (codice dei contratti pubblici relativi a lavori,servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE); è stata altresì denunciata l’erronea applicazione dell’art. 4 (disposizioni transitorie e finali) del D.Lgs. 16 gennaio 2008, n. 4(contenente modifiche al D.Lgs. n. 163 del 2006) in relazione alla ritenuta illegittimità del progetto definitivo per mancata effettuazione della valutazione di impatto ambientale (VIA).

2.1 – Osservano in proposito le parti ricorrenti che la VIA era stata presentata solo per il progetto preliminare, poi non attuato, e che quello definitivo era, rispetto al primo, differente quantitativamente e non considerava fattori esterni – inquinamento di falda – scoperti successivamente e comunque incidenti in modo determinante sull’originario progetto preliminare presentato (ma non approvato nè realizzato).

2.2 – Contestano le parti ricorrenti la correttezza della motivazione addotta sul punto dal TSAP, facente sostanzialmente leva sulle deduzioni difensive della Regione Veneto che sottolineavano la limitata estensione delle modifiche ed il loro rapporto con uno studio tecnico commissionato all’Università di Padova al fine di tener conto della presenza di infiltrazioni inquinanti derivanti da una cava dismessa.

2.3 – Deve in contrario affermarsi che, in linea di principio, la valutazione di impatto ambientale ben possa essere sostituita da studi specialistici che appunto tale impatto verifichino: l’aumento dimensionale poi è un parametro che sfugge al controllo di legittimità in quanto già delibato dal TSAP.

2.3.1 – Non conducente appare dunque il richiamo alla giurisprudenza euro unitaria in materia di necessità di nuova valutazione dell’impatto ambientale laddove il progetto sia cambiato rispetto a quello che originariamente aveva superato il controllo ai fini VIA in quanto essa non esclude i casi di attività effettuata al di fuori degli schemi della VIA, la cui effettività dunque va delibata in concreto – ed è stata verificata in modo qui non sindacabile -.

3 – Con il terzo motivo è denunciata l’ulteriore violazione delle direttive comunitarie esposte nel precedente mezzo; del D.Lgs. n. 152 del 2006, artt. 3 ter; 4; 5; 19; 20 e 26; del principio di prevenzione e della L.R. Veneto n. 10 del 1999, il tutto al fine di far emergere la illegittimità della Delib. 13 novembre 2007, n. 3576 con la quale la Regione Veneto espresse giudizio favorevole di compatibilità ambientale in merito al progetto preliminare dei bacini di laminazione di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), senza tener conto delle interazioni dell’opera in progetto e la falda acquifera e quindi non esaminando neppure ipotesi alternative progettuali di allocazione degli interventi di contenimento su altri territori o, al limite, la c.d. opzione zero, tendente a non realizzare i bacini.

3.1 Il mezzo appare innanzi tutto in irreparabile contrasto logico con quanto sostenuto nel precedente motivo in merito alla non utilizzabilità della VIA sul progetto preliminare; in secondo luogo presenta dei profili di inammissibilità laddove non si fa carico di spiegare perchè gli studi commissionati all’Università di Padova in merito ai rimedi da adottare per eliminare le situazioni inquinanti non fossero idonei allo scopo, per carenza di istruttoria, commettendo così alla Corte un giudizio – di merito e quindi non di sua pertinenza e – di impossibile formulazione.

3.2 – Del pari inammissibile – e per le medesime ragioni – è la ritenuta non applicazione del principio di prevenzione-precauzione, in quanto l’assunto (di puro merito) parte dall’indimostrato presupposto che l’elaborato progettuale poi approvato (dunque quello “definitivo”) non si fosse fatto carico di ragionevoli opzioni di allocazione alternativa o di non realizzazione dei bacini di laminazione delle acque.

4 – Con il quarto motivo viene censurata la violazione dell’art. 44 (1. Nella zona agricola sono ammessi, in attuazione di quanto previsto dal PAT e dal PI esclusivamente interventi edilizi in finzione dell’attività agricola, siano essi destinati alla residenza che a strutture agricolo-produttive così come definite con provvedimento della Giunta regionale ai sensi della L.R. Veneto 23 aprile 2004, n. 11, art. 50, comma 1, lett. d), n. 3) (norme per il governo del territorio ed in materia di paesaggio); del D.M. 2 aprile 1968, n. 1444; della L. 17 agosto 1942, n. 1150, artt. 35 e 41 quinquies (legge urbanistica); del D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, artt. 8,11 e 19 (T.U. leggi e regolamenti sull’espropriazione per pubblica utilità), deducendosi che gli interventi edilizi strutturali previsti per la realizzazione dei bacini, costituendo opere non inerenti l’attività agricola, tipica della zona prescelta (zona E) avrebbero imposto di trasformare l’area interessata in zona F (con destinazione a servizi).

4.1 – Il motivo è infondato in quanto la destinazione di un’area agricola ad essere allagata periodicamente (con periodicità in genere da triennale a monte e quindicennale a valle) nel periodo di scolmo delle acque non può essere causa, di per sè, di una diversa zonizzazione, mantenendosi nell’area interessata una destinazione agricola.

4.2 – Se poi la censura dovesse valutarsi come avente ad oggetto l’impatto sul territorio delle opere necessarie a realizzare gli argini di contenimento, va evidenziato che le aree ove le stesse sono state poste hanno formato oggetto di espropriazione che, all’evidenza, non opera una trasformazione territoriale bensì ne conforma in modo estremamente parziale i limiti; del resto assume un rilievo di fatto, inscrutinabile nella presente sede, la valutazione della predetta incidenza dei manufatti infrastrutturali sulla originaria destinazione urbanistica.

5 – Con il quinto motivo è denunciata la violazione del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 19 (approvazione della variante al piano regolatore); dell’art. 14 (programmazione del lavori pubblici) della L. 11 febbraio 1994, n. 109 (legge quadro in materia di lavori pubblici); dell’art. 128 del codice dei contratti pubblici; dell’art. 24 (Localizzazione delle opere pubbliche in difformità dagli strumenti urbanistici e territoriali) della L.R. Veneto n. 27 del 2003 (Disposizioni generali in materia di lavori pubblici di interesse regionale e per le costruzioni in zone classificate sismiche); si solleva la questione di illegittimità costituzionale dell’art 3 (Regime indennitario per la realizzazione di interventi per la riduzione delle piene) della L.R. Veneto 16 agosto 2007, n. 20 (Disposizioni di riordino e semplificazione normativa – collegato alla legge finanziaria 2006 in materia di difesa del suolo, lavori pubblici e ambiente), laddove si creerebbero delle servitù atipiche (la c.d. servitù di allagamento) con normativa regionale priva del potere normativo in materia e senza la previsione di adeguata copertura finanziaria.

5.1 – Il motivo appare infondato, pur dovendosi operare una correzione della motivazione adottata dal TSAP, al fine di respingere analoga censura, facente leva sulla ritenuta volontarietà della servitù in questione: invero il peso imposto sul fondo da allagare non può in alcun modo essere qualificato come oggetto di volontaria sottoposizione al vincolo ma, semmai – e non è evidentemente il caso che si presenta nella fattispecie- di un concordamento con l’amministrazione locale, formando per il resto oggetto di un atto di imperio.

5.2 – Posto ciò la previsione di una servitù di allagamento – che il ricorso non riporta quanto a configurazione e limiti – è manifestazione del governo del territorio e quindi a norma dell’art 117 Cost., comma 3 (principio ribadito del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 5, comma 1) rientra nella competenza concorrente tra Stato e Regioni e non già in quella esclusiva dello Stato, come erroneamente sostenuto nel ricorso, sulla base del non corretto presupposto che la materia sarebbe inerente all’ordinamento civile (art. 117 Cost., comma 3, lett. I)) che concerne invece l’apparato giudiziario nel suo complesso.

5.2.1 – Consegue che allo Stato è demandata solo la potestà di emanare i principi fondamentali e che la materia può essere trattata diversamente dalle varie Regioni, così da rendere manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale della normativa

regionale, prospettata in relazione agli artt. 3; 42 e 117 Cost.

5.2.3 – Appare poi evidente che la pretesa “servitù di allagamento” per le sue caratteristiche di temporaneità e di periodicità, mal si inquadra nel novero delle servitù di natura civilistica, per le quali vige il principio della tipicità, ma ben si colloca nell’ambito di quei vincoli alla proprietà privata – indicati solo descrittivamente come “servitù”- di cui al D.P.R. n. 327 del 2001, art. 43, comma 6 bis (dichiarato incostituzionale per eccesso di delega, con sentenza 8 ottobre 2010 n. 293, solo in via derivativa con riferimento al principio della acquisizione sanante, in assenza di dichiarazione di pubblica utilità, quest’ultima invece presente nella fattispecie).

5.3 – Le restanti censure di illegittimità della normativa regionale relative al diritto all’indennizzo sono inammissibili perchè attinenti alla competenza del TRAP, come già deciso dal TSAP con decisione non impugnata.

6 – Con il sesto motivo si assume la mancanza assoluta di motivazione nonchè la violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 e dell’art 111 Cost. laddove il Tribunale Superiore ha rigettato, in via derivativa dal rigetto delle precedenti censure, anche i motivi 6; 12; 13; 14; 15 del ricorso introduttivo nonchè i motivi 12, 13 e 14 di quelli aggiunti, oltre ai motivi 16, 17 del ricorso principale; con il connesso settimo motivo analoga censura viene mossa sotto il profilo della omessa pronuncia.

6.1 – Il motivo pecca di specificità laddove, per i motivi del ricorso principale e per quelli aggiunti (escluso il 17 per il quale infra), si limita a indicare le norme che assume violate, senza sufficiente esplicazione del loro apparato argomentativo, così da precludere ogni controllo circa la congruità della decisione di “assorbimento” formulata dal TSAP, atteso che il potere attribuito alla Corte di compulsare direttamente gli atti in caso di omessa pronuncia si deve necessariamente coniugare con l’onere di allegazione.

6.2 – Quanto alla illegittimità del decreto di approvazione del progetto definitivo per la ritenuta incompetenza del dirigente regionale – con motivazione richiamata alla nota 72 del ricorso – il motivo deve dirsi inammissibilmente posto e quindi non suscettibile di novello scrutinio, posto che non è stato riportato il contenuto del decreto e quindi neppure le deleghe eventualmente poste a legittimazione dell’operato del Dirigente (in luogo del Commissario delegato al superamento dell’emergenza).

7 – Con l’ottavo motivo viene dedotta la violazione del T.U. n. 1775 del 1933, artt. 167 e 208; dell’art. 191 c.p.c. e segg.; degli artt. 24,11 e 113 Cost. e della L.R. Veneto n. 27 del 2003, art. 25 oltre alla L. n. 241 del 1990, art. 1 censurandosi la decisione del TSAP che aveva ritenuto inammissibili, in quanto attinenti al merito amministrativo, le deduzioni di illegittimità del progetto definitivo sotto il profilo dell’ eccesso di potere per carenza di istruttoria ed erronea valutazione dei presupposti di fatto; di contro il ricorrente ribadisce che non potrebbe sfuggire al controllo giurisdizionale del giudice speciale l’attendibilità delle operazioni tecniche sotto il profilo della loro correttezza quanto a criterio tecnico ed al procedimento applicativo.

7.1 – Il principio è corretto ma non è applicabile alla fattispecie in quanto la mera non condivisione dell’istruttoria tecnica svolta dall’ente locale con l’ausilio di esperti e la contrapposizione tra due accertamenti non è di per sè sufficiente a far emergere delle mende logice ed applicative suscettibili di censura; il carattere coacervato dei richiami normativi, privi di specifico riscontro argomentativo nel corpo del mezzo, fa altresì emergere un profilo di inammissibilità del motivo.

8 – Il ricorso va dunque respinto; consegue, secondo le regole della soccombenza, la condanna delle parti ricorrenti al pagamento in solido delle spese di causa che vanno liquidate secondo quanto indicato in dispositivo in favore di ciascuna parte processuale.

8.1 – Dal momento che il ricorso è stato notificato nel novembre 2015 e che lo stesso è stato respinto, sussistono i presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti stessi di un ulteriore importo, pari a quello versato a titolo di contributo unificato, a norma del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 bis.

PQM

 

Rigetta il ricorso e condanna le parti ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, in solido tra loro, liquidandole in complessivi Euro 4.000 (quattromila) per compensi, oltre spese prenotate e prenotande a debito, quanto alla Presidenza del Consiglio dei Ministri e per il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, considerati parte unica, nonchè in Euro 5.000 (cinquemila) oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi, liquidati in Euro 200 (duecento) ed agli accessori di legge, per ciascuna della altre parti processuali.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della ricorrenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti in solido, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio delle Sezioni Unite della Cassazione, il 23 maggio 2017.

Depositato in Cancelleria il 3 agosto 2017

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