Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 194 del 09/01/2014


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 194 Anno 2014
Presidente: BERRUTI GIUSEPPE MARIA
Relatore: CARLUCCIO GIUSEPPA

SENTENZA

sul ricorso 12631-2010 proposto da:
MELERI

SILVANO

MLRSVN46S03L781S,

elettivamente

domiciliato ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA
DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso
dall’Avvocato GIULIANO ARTURO in 38122 TRENTO, Viale
Rovereto 67, giusta delega in atti;
– ricorrente –

2013
2029

contro

S.E.T.A. S.P.A., in persona del legale rappresentante
e amministratore delegato dott. VALTER SANTANGELO,
elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE G. MAZZINI

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Data pubblicazione: 09/01/2014

6, presso lo studio dell’avvocato VITALE ELIO, che la
rappresenta e difende unitamente agli avvocati
GIANCARLO MASSARI, LA GUARDIA PAOLA, giusta delega in
atti;
– controricorrente –

avverso la sentenza n. 98/2009 del TRIBUNALE di
ROVERETO, depositata il 19/03/2009;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 05/11/2013 dal Consigliere Dott. GIUSEPPA
CARLUCCIO;
udito l’Avvocato ELIO VITALE per delega;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. CARMELO SGROI che ha concluso per il
rigetto.

.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. Con ricorso al Tribunale di Bolzano del 2007, riassunto dinanzi al
Tribunale di Rovereto dopo la dichiarazione di incompetenza territoriale,
l’ing. Silvano Meleri convenne in giudizio la società editrice (SETA Spa)
del quotidiano “Trentino”. Chiese il risarcimento del danno non
patrimoniale per essere stato leso il diritto alla riservatezza mediante la
pubblicazione sul suddetto quotidiano, e su una locandina collegata, di

del suo arresto per furto di energia elettrica.
Il Tribunale – con sentenza pronunciata mediante lettura del dispositivo
(il 18 marzo 2009) e depositata il successivo 19 marzo – rigettò la
domanda e compensò integralmente tra le parti le spese di lite.
2. Avverso la suddetta sentenza, Meleri propone ricorso per cassazione
con due motivi.
La società editrice si difende con controricorso. Chiede, inoltre, la
condanna del soccombente ex art. 385, quarto comma cod. proc. civ.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1.Preliminarmente, va dichiarata l’ammissibilità del ricorso proposto
avverso sentenza in unico grado, ai sensi dell’ad 152 del d.lgs. n. 196
del 2003, nella formulazione applicabile ratione temporis precedente alla
modifica operata con il d.lgs. n. 150 del 2011.
Invero, il giudice del merito, nel richiamare l’ordinanza emanata dal
Tribunale di Bolzano, ha ricondotto l’azione nell’ambito dell’ad. 152 cit. e
ha dichiarato manifestamente infondata, oltre che irrilevante,
l’eccezione di incostituzionalità sollevata dalla convenuta in riferimento
all’omissione dell’appello.
La società convenuta non ha proposto su tale profilo ricorso incidentale.
1.1.11 ricorso è stato spedito anche al Garante in materia di protezione
dei dati personali; la notifica non risulta perfezionata in mancanza
dell’avviso di ricevimento. Il mancato perfezionamento della notifica è
irrilevante, non essendo previsto un contraddittorio necessario nei suoi
confronti; né il Garante era stato parte del giudizio dinanzi al Tribunale.
2. Il Tribunale ha rigettato nel merito la domanda di risarcimento del
danno con due argomentazioni alternative; la particolarità è che la

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una propria foto tratta dal cd. “cartellino fotosegnaletico”, in occasione

seconda argomentazione è sviluppata sulla premessa della ipotetica
negazione della prima.
In estrema sintesi, con la prima ha ritenuto non sussistente la lesione,
mediante l’illecito trattamento del dato personale costituto
dall’immagine, del diritto alla riservatezza; con la seconda, ammessa
ipoteticamente la lesione del diritto, ha ritenuto la mancata allegazione
del pregiudizio non patrimoniale subito.

la foto pubblicata potesse qualificarsi come “foto segnaletica”, essendo
stata privata dei numeri identificativi. Poi, in esito alla comparazione con
altre foto prodotte in giudizio dal ricorrente, ha ritenuto che, pur essendo
stata estratta da quelle segnaletiche (precisamente quella frontale)
effettuate dalle forze dell’ordine in occasione dell’arresto, non fosse
diversa dalla foto di qualunque documento di identità.
Equiparata la pubblicazione dell’immagine alla pubblicazione delle
generalità identificative di un soggetto, ne ha ritenuto lecita la
pubblicazione in occasione della notizia di un fatto penalmente rilevante,
perché essenziale all’esercizio del diritto di cronaca. Ha riconosciuto i
requisiti: della “essenzialità” per l’identificazione della persona chiamata
a rispondere del reato; della “pertinenza” pur in presenza di un reato non
grave quale il furto, per via del contesto locale; della “continenza
formale”, non trattandosi di immagine con ferri ai polsi o in condizioni
che rendono palese lo stato di detenzione. In tal modo ha escluso
l’illiceità nel trattamento dei dati personali e la lesione del diritto alla
riservatezza.
3. 1. Con il primo motivo di ricorso, si deduce violazione degli artt. 51 e
595 c.p.; degli artt. 2, 12, 19 e 137 del t.u. della privacy; dell’art. 8 del
codice deontologico dei giornalisti; dell’art. 26 del d.P.R. n. 230 del 2000;
dell’art. 8 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo; oltre a
omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione.
Il motivo, che non contiene il c.d. quesito di fatto richiesto dalla costante
giurisprudenza in riferimento al dedotto vizio motivazionale, ai sensi
dell’art. 366 bis. Cod. proc. civ. applicabile ratione temporis, si conclude
con i quesiti di diritto che seguono, i quali sono elencati accorpati per
comodità espositiva.
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3. Con riferimento alla prima ratio decidendi, il Tribunale ha escluso che

a)Se può ritenersi legittima la pubblicazione di foto segnaletiche,
effettuate per le finalità di cui al 26 del d.P.R. n. 230 del 2000, ovvero se
la pubblicazione violi l’art. 19 del t.u. privacy e l’art. 8 della Convenzione
Europea dei diritti dell’uomo.
Se può ritenersi legittima la pubblicazione di foto segnaletica sulla base
dell’art. 8 del codice deontologico, che autorizza foto di persone in stato
di detenzione solo per motivi di interesse pubblico o per fini di giustizia o

b)Se una foto segnaletica può ritenersi confondibile con quelle dei
documenti di identità, data la diversa tecnica fotografica e lo stato di
stress di chi è fotografato.
c)Se può ritenersi “pertinente” la pubblicazione di foto di persona
arrestata per furto di elettricità.
Se può ritenersi “continente” la pubblicazione della suddetta notizia con
foto e locandina.
3.2. Le censure non hanno pregio.
Con i profili sub a) si assume – sostanzialmente – la violazione degli artt.
12, del codice della privacy, dell’art. 8 del codice deontologico dei
giornalisti richiamato dallo stesso, dell’art. 8 CEDU, sul presupposto della
pubblicazione di una foto segnaletica, effettuata dalle forze dell’ordine.
Invece, il Tribunale ha escluso le caratteristiche delle foto segnaletica
risultando, quella pubblicata, priva dei numeri identificativi.
Di conseguenza, anche considerando la foto segnaletica quale foto
effettuata in stato di detenzione, per la cui pubblicazione sono richieste
condizioni particolari dal codice deontologico (art. 8, in part. commi 2 e
3), alla ricorrenza delle quali è subordinata la liceità e la correttezza nel
trattamento dei dati personali secondo le previsioni del codice della
privacy (art. 12), nella specie non può ipotizzarsi la violazione delle
suddette norme in mancanza del carattere di foto segnaletica e, quindi,
di foto in “stato di detenzione”, della foto pubblicata. Mentre, proprio alle
foto segnaletiche si riferiscono sia il provvedimento del Garante per la
protezione dei dati personali del 19 marzo 2003, richiamato anche nella
sentenza, sia la sentenza CEDU 11 gennaio 2005, richiamata dal
ricorrente.

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di polizia.

Con la censura sub b) si critica la valutazione in punto di fatto effettuata
dal giudice del merito, secondo il quale, sulla base delle foto di
comparazione, la foto tratta da quelle segnaletiche non era dissimile da
un documento identificativo. Critica, svolta, peraltro senza un idoneo
quesito di fatto. Con la conseguenza che ne è impedito il sindacato alla
Corte di legittimità.
Le censure sub c), che attengono alla diffusione di dati per finalità

riservatezza e alla protezione dei dati personali (artt. 137 e 2 codice
privacy), prospettano essenzialmente il mancato rispetto dei limiti della
pertinenza e della continenza.
Secondo la giurisprudenza di legittimità, la diffusione dell’immagine di
persona cui è attribuito un reato, quale dato personale sottoposto allo
stesso trattamento dei dati identificativi anagrafici, è essenziale per
l’esercizio del diritto di cronaca in relazione all’interesse pubblico alla
identificazione del soggetto (Cass. 18 marzo 2008, n. 7261) e, peraltro, il
ricorso non mette in discussione il carattere di essenzialità.
Mentre, si limita a prospettare una diversa valutazione del limite della
“pertinenza” e di quello della “continenza”, rispetto ai quali il Tribunale ha
congruamente e logicamente argomentato in riferimento al rilievo a
carattere locale anche di un reato non grave e al carattere “ordinario”
della foto pubblicata.
In definitiva, il motivo va rigettato in applicazione del seguente principio
di diritto:

«La pubblicazione su un quotidiano di una foto di

persona arrestata, estratta dalle foto segnaletiche effettuate dalle
forze dell’ordine ma priva dei numeri identificative propri delle
foto segnaletiche, non costituisce foto di persona in “stato di
detenzione” qualora il giudice l’abbia ritenuta non diversa dalle
comuni foto identificative, con la conseguenza che per la liceità
della pubblicazione della stessa non valgono le disposizioni
previste dal codice deontologico dei giornalisti (art. 8), richiamate
dall’art. 12 del codice della privacy; mentre, trattandosi della
diffusione per finalità giornalistiche dell’immagine, quale dato
personale sottoposto allo stesso trattamento dei dati identificativi
anagrafici, di persona cui è attribuito un reato, la pubblicazione è
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giornalistiche e ai limiti del diritto di cronaca a tutela del diritto alla

essenziale per l’esercizio del diritto di cronaca in relazione
all’interesse pubblico alla identificazione del soggetto e deve
rispettare, come nella specie accertato dal giudice del merito, gli
ulteriori limiti della pertinenza e della continenza>>.
4. Il giudice ha, poi, ritenuto che la mancata indicazione, anche a livello
di mera allegazione, delle concrete conseguenze pregiudizievoli non
patrimoniali subite per effetto della lesione del diritto vantato, costituisse

voler condividere il rigetto della domanda fondato sulla mancata lesione
del diritto alla riservatezza mediante l’illiceità nel trattamento del dato
personale costituito dall’immagine. In particolare, ha sottolineato che,
secondo il ricorrente, il danno non patrimoniale conseguirebbe
all’accertamento della lesione dell’interesse protetto, mentre secondo la
Corte di legittimità non sarebbe risarcibile la sola lesione dell’interesse
ma solo il cd. danno conseguenza.
Quindi, ha escluso rilievo alla allegazione dubitativa dello stato di
disoccupazione, persistente ad oltre due anni dalla pubblicazione della
notizia, anche perché la stessa avrebbe potuto fondare, in ipotesi, solo
una richiesta di danno patrimoniale.
4.1. Con il secondo motivo, si censura l’argomentazione suddetta del
giudice e si deduce la violazione degli artt. 2050, 2059 e 2727 cod. civ;
dell’art. 115 cod. proc. civ.; dell’art. 15 del d.lgs. n. 196 del 2003;
unitamente a omessa e/o insufficiente e/o contraddittoria motivazione.
Il motivo di censura è assorbito dal rigetto del primo motivo di ricorso.
4.2. Presupposto delle argomentazioni del giudice è la ipotetica non
condivisione della prima argomentazione, che fonda il rigetto della
domanda sulla mancanza di lesione del diritto all’immagine tutelato
dall’ordinamento. Di conseguenza, il rigetto del primo motivo, con
conseguente fondazione della sentenza impugnata sulla non esistenza
della lesione di un diritto tutelato, assorbe completamente il secondo
motivo di ricorso facendone venir meno il presupposto, sia pure
ipoteticamente assunto. Solo l’accoglimento del primo motivo e il
riconoscimento di un diritto leso avrebbe potuto far divenire rilevante la
seconda argomentazione del giudice e la censura formulata nei confronti
della stessa.
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«un altro motivo dirimente di rigetto della domanda» anche a non

5. In conclusione, il primo motivo va rigettato e il secondo motivo è
assorbito. Le spese, liquidate sulla base dei parametri vigenti di cui al
d.m. n. 140 del 2012, seguono la soccombenza.
5.1. Non ha pregio la richiesta, avanzata dalla società controricorrente, di
condanna del ricorrente ai sensi dell’art. 385, u.c. cod. proc. civ.,

Secondo la giurisprudenza consolidata di legittimità, affinché sussistano
le condizioni per l’applicazione dell’art. 385, ultimo comma, cod. proc.
civ. – introdotto dall’art. 13 del d.lgs. n. 40 del 2006 e poi abrogato dalla
legge n. 69 del 2009, per i giudizi instaurati dopo la sua entrata in vigore
(4 luglio 2009) – occorre la dimostrazione, eventualmente in via
indiziaria, che la parte soccombente abbia agito, se non con dolo, almeno
con colpa grave, intendendosi con tale formula la condotta
consapevolmente contraria alle regole generali di correttezza e buona
fede tale da risolversi in un uso strumentale ed illecito del processo, in
violazione del dovere di solidarietà di cui all’art. 2 della Costituzione, non
essendo sufficiente la mera infondatezza, anche manifesta, delle tesi
prospettate.>> (Cass. 18 gennaio 2010, n. 654).
Nella specie, si verte in ipotesi di mera infondatezza della tesi sostenuta e
la stessa controricorrente si limita a generiche deduzioni.
P.Q. M.
LA CORTE DI CASSAZIONE
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore della
società controricorrente, delle spese processuali del giudizio di
cassazione, che liquida in Euro 2.700,00, di cui Euro 200,00 per spese,
oltre alle spese generali ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 5 novembre 2013

Il consigliere estensore

applicabile ratione temporis.

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