Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19397 del 22/09/2011

Cassazione civile sez. VI, 22/09/2011, (ud. 26/05/2011, dep. 22/09/2011), n.19397

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PLENTEDA Donato – Presidente –

Dott. RORDORF Renato – Consigliere –

Dott. PICCININNI Carlo – Consigliere –

Dott. BERNABAI Renato – Consigliere –

Dott. RAGONESI Vittorio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 10713/2010 proposto da:

C.A., CI.AL., AZIENDA AGRICOLA LA

ZAMBONINA DI ALVISE CICOGNA SAS ed inoltre C.G.,

C.M.F., tutti elettivamente domiciliati in ROMA,

CORSO VITTORIO EMANUELE II n. 269, presso lo studio dell’avvocato

VACCARELLA Romano, che li rappresenta e difende unitamente

all’avvocato MAMOLI MARCO, giusta procura in calce all’atto di

citazione;

– ricorrenti –

contro

C.M., elettivamente domiciliata in ROMA, CORSO VITTORIO

EMANUELE II n. 269, presso lo studio dell’avvocato VACCARELLA Romano,

che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato CONSOLO CLAUDIO,

giusta procura speciale a margine della memoria;

– resistente –

contro

FALLIMENTO COMPAGNIA ITALIANA COSTRUZIONI GENERALI NUOVE ABITAZIONI

SRL in liquidazione (già GREEN VILLAGE SRL) in persona del Curatore,

elettivamente domiciliato in ROMA, presso la CORTE DI CASSAZIONE,

rappresentato e difeso dall’aVV. BRUNO CAVALLONE, giusta procura alla

lite in calce alla memoria difensiva;

– resistente –

e contro

SOCIETA’ HOUSES AND BOATS SRO di diritto slovacco;

– intimato –

avverso l’ordinanza n. 6081/09 del TRIBUNALE di VICENZA del

12.3.2010, depositata il 15/03/2010;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

26/05/2011 dal Consigliere Relatore Dott. VITTORIO RAGONESI.

E’ presente il Procuratore Generale in persona del Dott. PIERFELICE

PRATIS.

La Corte:

Fatto

FATTO E DIRITTO

rilevato che sul ricorso n. 10713/10 proposto da C.A., da Ci.Al., dall’Azienda agricola la Zambonina di Alvise Cicogna sas, da C.G. e da C.M.F. contro il Fallimento Compagnia italiana costruzioni generali nuove abitazioni (C.I.CO.G.N.A) srl nonchè House and Boats s.r.o il consigliere relatore ha depositato la relazione che segue:

Il relatore Cons. Dott. Ragonesi, letti gli atti depositati:

rilevato:

CHE C.A. più altri quattro ricorrenti hanno proposto regolamento di competenza ex art. 42 c.p.c., avverso l’ordinanza del tribunale di Vicenza dep. Il 12.3.10 resa nella causa vertente tra le odierne parti (rg. 6081/09), con cui è stata dichiarata la litispendenza con altro processo pendente innanzi al Tribunale di Verona sez. dist. Legnago (rg 20395/04);

che il fallimento ha depositato memoria difensiva ex art. 47 c.p.c.;

che analoga memoria è stata depositata da C.M.; che la House and boats s.r.o. non ha svolto attività difensiva.

Osserva:

La prima parte del presente ricorso è intitolata “oggetto e contesto del presente giudizio”. Ad essa segue l’allegazione integrale di una serie di atti del giudizio (citazione, comparsa di risposta, verbali, ordinanza impugata) ed infine nella sesta parte secondo l’elencazione fatta in sommario vengono esposti i motivi di doglianza.

Va preliminarmente osservato che nella prima parte del ricorso;

dovrebbe contenere l’esposizione del fatto e delle vicende processuali, si rinviene soltanto l’esposizione delle vicende relative alla emanazione dell’ordinanza di litispendenza che i ricorrenti assumono emanata in assenza dei presupposti di legge perchè il giudizio identico che si assume avente anteriorità pendente innanzi al tribunale di Verona sez. dist. Legnago sarebbe stato interrotto e poi riassunto dal fallimento oltre il termine di sei mesi, onde ..nonostante il giudice avesse rimesso la causa in decisione per decidere in ordine alla tardi vita della riassunzione, per cui il giudizio formalmente pendeva al momento della emanazione della ordinanza oggetto di regolamento, la litispendenza doveva ormai ritenersi esclusa per effetto della intervenuta estinzione del processo innanzi al Tribunale di Verona.

Nessuna esposizione viene invece fatta in ordine alle vicende pregresse dei due processi di cui si discute la litispendenza ed in particolare nulla viene detto in ordine al loro contenuto ed all’oggetto del contendere.

Dalla esposizione del fatto non è dato pertanto in alcun modo comprendere su quali elementi si fondi la questione di litispendenza, non essendo neppure riportato in sintesi il contenuto della decisione in proposito del Tribunale di Vicenza.

Per consentire la comprensione della fattispecie e delle vicende processuali i ricorrenti rinviano questa Corte (v. pg. 6^ per 15 del ricorso) all’esame degli atti del processo vicentino allegati ed incorporati nel ricorso.

Tale formulazione del ricorso viola la prescrizione contenuta nell’art. 366 cod. proc. civ., comma 1, n. 3, secondo la quale il ricorso per cassazione deve contenere, a pena d’inammissibilità, l’esposizione sommaria dei fatti di causa, che non può ritenersi osservata quando il ricorrente si limiti ad una brevissima ed insufficiente narrativa della vicenda processuale, integrandone il contenuto mediante “spillatura” al ricorso di copia della sentenza impugnata, in quanto lo scopo della disposizione consiste nel permettere l’immediata percezione delle censure sollevate, senza necessità di ricorrere ad altri atti del processo, sia pure allegati al ricorso (Cass. sez. un. 4823/09; Cass. 20393/09; Cass. 6937/10).

La giurisprudenza della Corte, ha costantemente ribadito che “per soddisfare il requisito imposto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, il ricorso per Cassazione deve contenere l’esposizione chiara ed esauriente, sia pure non analitica o particolareggiata, dei fatti di causa, dalla quale devono risultare le reciproche pretese delle parti, con i presupposti di fatto e le ragioni di diritto che le giustificano, le eccezioni, le difese e le deduzioni di ciascuna parte in relazione alla posizione avversaria, lo svolgersi della vicenda processuale nelle sue articolazioni, le argomentazioni essenziali, in fatto e in diritto, su cui si fonda la sentenza impugnata e sulle quali si richiede alla Corte di Cassazione, nei limiti del giudizio di legittimità, una valutazione giuridica diversa da quella asseritamene erronea, compiuta dal giudice di merito (Cass. 20393/09). Il principio di autosufficienza de ricorso impone che esso contenga lutti gli clementi necessari a porre il giudice di legittimità in grado di avere la completa cognizione della controversia e del suo oggetto, di cogliere il significato e la portata delle censure rivolte alle specifiche argomentazioni della sentenza impugnata, senza la necessita di accedere ad altre fonti ed atti del processo, ivi compresa la sentenza stessa” (ex multis, Cass. n. 7825 del 2006; Cass. 20393/09).

Alla luce di detti principi, in fattispecie del tutto analoga, questa Corte ha affermato che il formulare un ricorso tramite l’assemblaggio di atti “è assolutamente inidoneo ad assolvere al requisito dell’esposizione sommaria del fatto, perchè pretende di assolvervi costringendo la Corte alla lettura integrale degli atti di parte attraverso i quali si e svolto il processo di merito, dei processi verbali delle udienze e dei documenti che vi sarebbero stati prodotti. In sostanza, detta singolare modalità di formulazione del ricorso equivale ad un mero rinvio alla lettura di tutti detti atti, cioè di tutti gli atti delle fasi di merito. Essa e assolutamente equivalente a quella che potrebbe avere un ricorso che si limitasse ad elencare quegli atti e rinviasse alla loro lettura, o nel fascicolo di parte …(omissis)., o nel fascicolo d’ufficio delle fasi di merito. Si tratta di una forma assolutamente inidonea al raggiungimento dello scopo della previsione dell’art. 366 c.p.c., n. 3, perchè rimanda per l’individuazione del requisito da esso previsto agli atti del giudizio di merito e, dunque, aliunde rispetto al ricorso. La riproduzione in quello che si è chiamato ricorso di detti atti non toglie che si è in presenza di una situazione identica a quella che vi sarebbe stata se il ricorso avesse rimandato alla lettura degli atti e dei documenti nel fascicolo della ricorrente (ove colà prodotti) o in quello d’ufficio. Nell’uno come nell’altro caso il requisito di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3 nei termini indicati dalla ricordata giurisprudenza e assolutamente mancante, perchè dovrebbe essere assolto da atti estranei al ricorso e, quindi, non si connoterebbe come requisito di contenuto – forma del ricorso” (Cass. 20393/09).

Alla luce di dette considerazioni il ricorso appare inammissibile.

In conclusione, ove si condividano i testè formulati rilievi, il ricorso può essere trattato in camera di consiglio ricorrendo i requisiti di cui all’art. 375 c.p.c..

Roma 19.10.10.

Il Cons. relatore;

Osserva quanto segue:

La relazione può essere condivisa solo in parte e, segnatamente, in riferimento alla doglianza che investe la questione della continenza e non già della litispendenza.

Dei presupposti di fatto posti alla base di tale questione non si rinviene, infatti, alcuna traccia nel ricorso in quanto tale, quello, cioè, che non è costituito dalla allegazione degli atti della fase di merito, in relazione alla cui inidoneità a costituire valida esposizione del fatto si conferma quanto esposto nella relazione con conseguente dichiarazione di inammissibilità della censura in esame.

La relazione non può invece essere condivisa in riferimento alla doglianza che sostiene che la causa innanzi al giudice di Legnago doveva considerarsi estinta per mancata riassunzione nei termini.

In tal caso, infatti nonostante la impropria formulazione del ricorso nel senso esposto in relazione, si rinviene comunque nel motivo del ricorso una serie di elementi idonei a ricostruire la vicenda processuale della fase di merito ed a individuare la questione di diritto.

La doglianza in questione si rivela dunque ammissibile ancorchè la stessa sia manifestamente infondata.

E’ pacifico in giurisprudenza il principio secondo cui in tema di litispendenza, il giudice successivamente adito ai sensi dell’art. 39 cod. proc. civ., è tenuto a fare riferimento alla situazione processuale esistente al momento della sua pronuncia, e deve quindi escludere, anche con accertamento incidenter tantum (v. Cass. 1818/73), la litispendenza ove a tale data l’antecedente giudizio non sia più pendente per intervenuta estinzione (ex plurimis Cass. 721/06; Cass. 398/99).

Tale principio non risulta peraltro pertinente al caso di specie ove risulta acclarato che il Tribunale di Verona sez dist. Legnago sulla questione della estinzione o meno del giudizio innanzi a sè pendente aveva fissato la precisazione delle conclusioni per l’udienza del 23.3.10. Ne consegue che detta questione era oggetto di decisione presso il predetto giudice nel momento in cui il Tribunale di Vicenza è stato chiamato a pronunciarsi sulla litispendenza; pronuncia quest’ultima che presupponeva l’accertamento della estinzione o meno del giudizio pendente innanzi al giudice di Legnago.

Del tutto correttamente pertanto il provvedimento impugnato ha osservato che il giudizio innanzi al tribunale di Verona sez. dist.

Legnago era ancora pendente posto che tale giudice si era riservato di decidere proprio in ordine alla estinzione e vi era, quindi, una attività processuale in corso.

A riprova di ciò va rammentato che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, il provvedimento dichiarativo dell’estinzione del processo adottato dal giudice monocratico del tribunale ha natura sostanziale di sentenza, ancorchè sia pronunciato in forma di decreto, e ciò sia nell’ipotesi di dichiarazione di estinzione del processo che di rigetto della relativa istanza (Cass. 14592/07; Cass. 23625/06; Cass. 11352/10), il che dimostra che il giudizio in cui si controverte sulla estinzione o meno dello stesso è suscettibile di protrarsi anche in sede di gravame come qualunque altro giudizio.

In siffatta situazione deve escludersi che il secondo giudice adito possa svolgere un accertamento incidentale volto ad accertare l’estinzione del giudizio presso il primo giudice il quale sia già stato investito di detta questione sulla quale si è riservato di decidere.

Certamente se il primo giudice, nel caso di specie tribunale Verona sez. dist. Legnago, dovesse accertare l’estinzione del giudizio, gli effetti di tale pronuncia retroagiranno al momento in cui si è verificata la causa di estinzione, senza nulla togliere al fatto che tino al momento di tale pronuncia il giudizio rimane pendente. 11 ricorso va in conclusione respinto.

I ricorrenti vanno di conseguenza condannati in solido al pagamento delle spese processuali liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento in solido delle spese di giudizio liquidate in favore del resistente fallimento in Euro 4000,00 per onorari oltre Euro 200,00 per esborsi oltre spese generali e accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 26 maggio 2011.

Depositato in Cancelleria il 22 settembre 2011

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