Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19397 del 18/07/2019

Cassazione civile sez. II, 18/07/2019, (ud. 12/02/2019, dep. 18/07/2019), n.19397

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ORILIA Lorenzo – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17843-2015 proposto da:

P.G.A., e PI.FI., rappresentati e

difesi dall’Avvocato GIOVANNI ANTONIO CARDELLICCHIO e dall’Avvocato

MODESTINO ACONE ed elettivamente domiciliati a Roma, via Buccari 3,

presso MARIA TERESA ACONE, per procura speciale a margine del

ricorso;

– ricorrenti –

contro

C.A.S., e C.E., nella qualità di

eredi di C.R., il primo rappresentato e difeso

dall’Avvocato ENRICO CICCHETTI, il secondo difeso da se stesso,

elettivamente domiciliati a Roma, presso la segreteria della Corte

di cassazione, per procura speciale a margine del controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 884/2015 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 19/2/2015;

udita la relazione della causa svolta nell’adunanza in camera di

consiglio non partecipata del 12/2/2019 dal Consigliere Dott.

GIUSEPPE DONGIACOMO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

L’avv. C.R., con citazione notificata il 21/10/1998, ha convenuto in giudizio, innanzi al tribunale di Ariano Irpino, i coniugi P.G.A. e Pi.Fi. chiedendone la condanna al pagamento, in via solidale, della somma di Lire 100.000.000, quale compenso per le prestazioni professionali svolte in loro favore. L’attore, in particolare, ha dedotto di aver rappresentato e difeso P.G.A. in diciassette cause o affari e di aver rappresentato e difeso Pi.Fi., su committenza del P., in sei cause e/o affari.

I convenuti si sono costituiti ed hanno, tra l’altro, eccepito la prescrizione estintiva per tutte le prestazioni che risalivano e si erano concluse dieci anni prima della notifica della citazione introduttiva del giudizio.

Il tribunale, con sentenza del 22/4/2008, ha accolto la domanda proposta dall’attore ed ha condannato P.G.A. e Pi.Fi. al pagamento in favore dell’avv. Rocco C., quale compenso per le prestazioni eseguite in loro favore, della somma, rispettivamente, di Euro 38.500,00 e Euro 13.000,00, oltre accessori e spese.

Con citazione notificata in data 11/7/2008, P.G.A. e Pi.Fi. hanno proposto appello avverso tale sentenza chiedendo, in totale riforma della stessa, il rigetto della domanda proposta dall’attore. Gli appellanti hanno lamentato, tra l’altro, che il tribunale aveva erroneamente rigettato l’eccezione di prescrizione non avendo in alcun modo tenuto conto che le missive prodotte dall’attore, con le quali lo stesso aveva chiesto il pagamento della sue spettanze, non erano, in quanto lacunose e vaghe, in grado di interrompere la prescrizione.

Interrotto e riassunto il giudizio nei confronti di C.E. e di C.A.S., nella qualità di eredi di C.R., la corte d’appello di Napoli, con la sentenza in epigrafe, ha rigettato l’appello.

La corte, in particolare, ha ritenuto che correttamente il giudice di primo grado aveva escluso che le pretese azionate dall’attore si fossero prescritte, espressamente condividendo, al riguardo, il rilievo del tribunale secondo cui le prestazioni professionali per le quali l’avv. C. aveva chiesto il pagamento risalissero tutte ad epoca successiva al 17/11/1990, quando è stata sottoscritta una scrittura, mai disconosciuta dai convenuti, che riporta come intestazione “cause definite con conteggio effettuato addì 17.11.1990” ed, in calce, prima della data, la dicitura “restano scoperte le cause in corso”: tale dichiarazione, ha proseguito la corte, deve intendersi come riconoscimento di debito e, quindi, atto interruttivo della prescrizione ai sensi dell’art. 2944 c.c..

La corte, poi, accertata la sussistenza di “validi atti di messa in mora”, costituiti dalle missive del 16/6 e del 6/12/1993 e del 21 e 21/10/1995, con la conseguente interruzione della prescrizione, compresa quella triennale, ha ritenuto che tale effetto si era esteso, a norma dell’art. 1310 c.c., comma 1, anche nei confronti della Pi. rilevando, in particolare, che, secondo la prospettazione dei fatti resa dall’attore nell’atto di citazione e non tempestivamente contestata dai convenuti, l’avv. C. aveva svolto attività professionale in favore della stessa su incarico conferitogli dal P. il quale, pertanto, ha assunto la posizione di condebitore solidale della moglie.

La corte, infine, ha rilevato che i convenuti non avevano contestato l’ammontare complessivo dell’importo richiesto dall’attore, limitandosi ad eccepire l’intervenuta prescrizione, per cui, ha aggiunto la corte, nessuna ulteriore attività istruttoria doveva essere svolta sul punto, rimanendo, in definitiva, accertato e provato che il credito dell’avv. C.R. fosse quello richiesto nell’atto di citazione e che era, ai fini della decisione, del tutto superfluo il parere reso dall’Ordine degli Avvocati sulla congruità degli onorari richiesti dal professionista, dal quale, peraltro, emergeva il diritto dello stesso a ricevere, per le prestazioni rese, una somma ben maggiore di quella richiesta con la citazione.

P.G.A. e Pi.Fi., con ricorso notificato in data 15.16/7/2015, hanno chiesto, per quattro motivi, la cassazione della sentenza, dichiaratamente notificata il 19/5/2015.

C.E. e di C.A.S. hanno resistito con controricorso notificato in data 19/9/2015.

I ricorrenti hanno depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, i ricorrenti, lamentando la violazione degli artt. 2943 e 2944 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, hanno censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha ritenuto che la scrittura privata del 17/11/1990 tra l’attore e il convenuto P.G.A., lasciando “scoperte le cause in corso”, doveva essere intesa come un atto di riconoscimento di debito e, quindi, a norma dell’art. 2944 c.c., come un atto interruttivo della prescrizione. Sennonchè, hanno osservato i ricorrenti, la corte, così facendo, non ha considerato che il riconoscimento del debito, quale atto interruttivo della prescrizione, pur non dovendo rivestire una forma solenne, deve pur sempre consistere in una ricognizione chiara e specifica del diritto altrui. Nel caso di specie, invece, hanno proseguito i ricorrenti, la predetta scrittura privata, per la sua genericità, non appare munita di tale indispensabile qualità poichè non consente di individuare l’ambito dei diritti ai quali il riconoscimento si afferma essere riferito. Non può, infatti, riconoscersi, hanno concluso i ricorrenti, l’effetto interruttivo ad un generico riferimento alle cause in corso senza specificarle.

2. Con il secondo motivo, i ricorrenti, lamentando l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, hanno censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha ritenuto che la scrittura privata del 17/11/1990 doveva essere intesa come un atto di riconoscimento di debito e come un atto interruttivo della prescrizione, senza, tuttavia, considerare la denunciata genericità della stessa, così concretando l’omissione di un fatto decisivo che era stato ampiamente illustrato nel corso del doppio grado di giudizio.

3. Il primo ed il secondo motivo, da esaminare congiuntamente per l’intima connessione dei temi trattati, sono inammissibili. I ricorrenti, infatti, hanno del tutto omesso di trascrivere, in ricorso, il testo della scrittura privata della quale lamentano l’erronea qualificazione come atto di riconoscimento di debito ai fini dell’interruzione della prescrizione, nè hanno specificamente indicato il luogo in cui la stessa è stata prodotta. Ed è, invece, noto, che, in applicazione del principio di autosufficienza, il ricorso per cassazione, qualora deduca la omessa o viziata valutazione di documenti, deve contenere un sintetico ma completo resoconto del loro contenuto nonchè la specifica indicazione del luogo in cui ne è avvenuta la produzione, al fine di consentire alla Corte la verifica della fondatezza della doglianza sulla base del solo ricorso, senza necessità di fare rinvio od accesso a fonti esterne ad esso (Cass. n. 5478 del 2018), ivi comprese la sentenza impugnata ovvero il controricorso: il requisito di contenuto-forma previsto, a pena inammissibilità, dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3), dev’essere, infatti, assolto necessariamente con il ricorso e non può essere ricavato da altri atti, quali la sentenza impugnata o il controricorso, perchè la causa di inammissibilità non può essere trattata come una causa di nullità cui applicare il criterio del raggiungimento dello scopo, peraltro, riferibile ad un unico atto. (Cass. n. 18623 del 2016; Cass. n. 29093 del 2018).

4. Con il terzo motivo, i ricorrenti, lamentando la violazione degli artt. 1310,2729,2943 e 2956 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, hanno censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha ritenuto l’infondatezza dell’eccezione di prescrizione triennale prevista dall’art. 2956 c.c. sul rilievo che l’interruzione della prescrizione avesse avuto effetto, a norma dell’art. 1310 c.c., comma 1, anche nei confronti di Pi.Fi., responsabile in solido nei confronti dell’avv. C. in conseguenza del rapporto unitario intercorso tra quest’ultimo e i due coniugi. Sennonchè, hanno osservato i ricorrenti, le prestazioni professionali svolte dall’attore erano riferite a soggetti legati unicamente da un vincolo personale del tutto estraneo ai rapporti obbligatori in questione dai quali, pertanto in mancanza degli elementi indicati dall’art. 2729 c.c., non può essere desunta la presunzione di solidarietà.

5. Il motivo è infondato. I ricorrenti, infatti, non si confrontano in alcun modo con la ratio sottostante alla decisione assunta la quale, infatti, con statuizione rimasta sul punto del tutto incensurata, ha ritenuto che l’avv. C. aveva interrotto la prescrizione con effetti anche nei confronti della Pi. non già per la natura unitaria del rapporto intercorso con i due coniugi ma, al contrario, in ragione della natura solidale dell’obbligazione assunta nei suoi confronti dal P. per averlo incaricato di svolgere la sua attività professionale in favore della moglie.

6. Con il quarto motivo, i ricorrenti, lamentando la violazione dell’art. 115 c.p.c. e art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, hanno censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha negato l’ingresso alla prova richiesta sull’ammontare delle prestazioni professionali eseguite dall’attore sul rilievo che i convenuti non avessero svolto sul punto alcuna contestazione, ritenendo, in particolare, superfluo il parere del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati, che aveva stimato una somma ben maggiore di quella richiesta. In realtà, hanno osservato i ricorrenti, la contestazione aveva riguardato l’esistenza stessa del credito vantato e, quindi, implicitamente il suo ammontare. La corte, quindi, hanno concluso i ricorrenti, avrebbe dovuto valutare il parere dell’organo professionale, confrontandolo con le prestazioni effettivamente espletate, come emergenti dalla documentazione prodotta in causa e con le contestazioni mosse dai convenuti.

7. Il motivo è infondato. Intanto, il ricorrente che, in sede di legittimità, denunci la mancata ammissione di un mezzo istruttorio, ha l’onere di indicare specificamente le circostanze oggetto della prova, provvedendo alla loro trascrizione, al fine di consentire il controllo della decisività dei fatti da provare, e, quindi, delle prove stesse, che, per il principio dell’autosufficienza del ricorso per cassazione, il giudice di legittimità deve essere in grado di compiere sulla base delle deduzioni contenute nell’atto, alle cui lacune non è consentito sopperire con indagini integrative. Nel caso di specie, invece, i ricorrenti, pur lamentando, in sostanza, la mancata ammissione delle prove che avevano invocato sull’ammontare delle prestazioni professionali eseguite dall’attore, non hanno provveduto a trascrivere, in ricorso, i fatti ne erano stati dedotti quali oggetto delle stesse. Quanto al resto, non può che ribadirsi il principio per cui il ricorso per cassazione con cui si deduca l’erronea applicazione del principio di non contestazione non può prescindere dalla trascrizione degli atti sulla cui base il giudice di merito ha ritenuto integrata la non contestazione che il ricorrente pretende di negare, atteso che l’onere di specifica contestazione, ad opera della parte costituita, presuppone, a monte, un’allegazione altrettanto puntuale a carico della parte onerata della prova (Cass. n. 20637 del 2016): ciò che, nella specie, non è accaduto. D’altra parte, la violazione del precetto di cui all’art. 2697 c.c., censurabile per cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, è configurabile soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni e non invece laddove oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti, sindacabile, quest’ultima, in sede di legittimità, entro i ristretti limiti del “nuovo” art. 360 c.p.c., n. 5 (Cass. n. 13395 del 2018).

8. Il ricorso dev’essere, quindi, rigettato.

9. Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.

10. La Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per l’applicabilità del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

P.Q.M.

La Corte così provvede: rigetta il ricorso; condanna i ricorrenti a rimborsare ai controricorrenti le spese di lite, che liquida nella somma di Euro 3.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge e spese generali nella misura del 15%; dà atto della sussistenza dei presupposti per l’applicabilità del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 12 febbraio 2019.

Depositato in Cancelleria il 18 luglio 2019

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