Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19393 del 22/08/2013


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Civile Sent. Sez. 1 Num. 19393 Anno 2013
Presidente: SALVAGO SALVATORE
Relatore: MACIOCE LUIGI

SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 10623 del R.G. anno 2007

proposto da:
Piccolo Lucia – De Lorenzis Gianmarco – De Lorenzis
Barbara – De Lorenzis Graziella – De Lorenzis Francesco
(eredi di De Lorenzis Antonio Fernando) dom.ti in Roma presso
la cancelleria della Cassazione con l’avv. Riccardo Marzo che li
rappresenta e difende per procura a margine del ricorso
– C .V ?CC LC.) ;51 ,2 ItS tb.4581-f ricorrenti-

contro
Catalano Pasquale domiciliato in Roma

via Monserrato 34

presso l’avv. Tommaso Arachi con l’avv. Fausto Donno che lo
rappresenta e difende, per procura speciale in calce
– C .V
rak LVg- t
no 5 controricorrenteavverso

la sentenza n. 848 del

21.12.2006 della Corte di

Appello di Lecce; udita la relazione della causa svolta nella p.u.
del 12.06.2013 dal Consigliere Dott. Luigi MACIOCE; presente il
P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Ignazio

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Patrone che ha concluso per l’inammissibilità o comunque il

Data pubblicazione: 22/08/2013

rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Insorta controversia tra Catalano Pasquale e De Lorenzis
Fernando in ordine ad un contratto di affitto dell’Azienda denominata “Terenzano Club” stipulato il 14.6.1995, in forza della relativa clausola compromissoria venne costituito Collegio Arbitrale
nella persona di dr. Luigi Bianco, avv. Ugo Operamolla e avv. Gio-

3.5.1997 che determinò in lire 100 milioni il debito del De Lorenzis. Questi impugnò il lodo innanzi alla Corte di Lecce che, con
sentenza 552/2000, respinse l’impugnazione. La sentenza venne
gravata di ricorso e la Corte di Cassazione con sentenza
3614/2004 accolse il primo motivo, afferente la natura e portata
della clausola compromissoria, dichiarò assorbiti gli altri, e cassò
con rinvio per nuovo esame. Il De Lorenzis ha quindi riassunto insistendo nella sua tesi della natura irrituale dell’arbitrato e si è costituito il Catalano eccependo in limine vizi dell’atto di riassunzione e sostenendo nel merito la natura rituale dell’arbitrato. La Corte di Appello di Lecce con sentenza 21.12.2006, dichiarata la natura rituale dell’arbitrato ha rigettato la impugnazione di nullità
proposta avverso il lodo 3.5.1997 ed ha condannato il De Lorenzis
alla refusione delle spese dei due gradi di merito e di quello di legittimità.
La Corte di Lecce in motivazione ha premesso: che era inconsistente la preliminare eccezione di nullità per indeterminatezza
dell’atto di riassunzione, che era compito del giudice del rinvio
condurre l’indagine sulla natura dell’arbitrato alla quale la sentenza cassata, pur consapevole dei suoi termini, si era indebitamente
sottratta, che, nella prospettiva della qualificazione, appariva decisivo scrutinare la lettera dell’art. 19 del contratto che evidenziava i termini “controversie” e “giudizio”,

che in tal senso conver-

geva il comportamento delle parti ed in particolare l’avvenuta impugnazione di nullità da parte del De Lorenzis davanti alla Corte di
Appello, che la previsione della decisione ex bono et aequo contenuta nella clausola rifluiva sulla sola deducibilità di nullità avver-

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vanni Pellegrino il quale pronunziò lodo il 5.4.1997 depositato il

so il lodo. Quindi la Corte ha affermato che era inconsistente la
deduzione di vessatorietà della clausola, inattraibile nel genere di
quelle concluse con formulari, che neanche pregio aveva la questione della non compromettibilità per essere il rapporto in realtà
riconducibile al tipo della locazione dato che era stato rettamente
accertato essersi trattato di affitto di azienda, che anche la questione della interposizione fittizia (dedotta per affermare

clusiva in termini di pregiudizialità sia perché il giudizio innanzi al
Tribunale averebbe avuto il solo effetto di estendere l’efficacia del
lodo anche ai soci occulti sia perché non coinvolgeva diritti indisponibili, che l’incompatibilità dell’arbitro non era stata prospettata in sede arbitrale e pertanto era inammissibile in impugnazione
né era fondata dato che la nomina era stata affatto rituale, che
parimenti né sollevata né sollevabile né comunque fondata era la
questione di incompatibilità del sen.avv. G.Pellegrino, che per le
altre ragioni di nullità, peraltro inesaminabili stante la previsione
di limitata impugnabilità del lodo, andava affermato: A) che non
aveva pregio la eccezione di inesistenza dell’azienda, essa azienda
essendo stagionale, B) che neanche fondata era la tesi della avvenuta stipula di una locazione, C) che la valutazione arbitrale
sulla attività “concorrenziale” svolta da De Lorenzis era provata
così come congrua era la motivazione a sostegno della liquidazione del risarcimento, D) che neanche pregio avevano le censure
sulle spese liquidate, sottoponibili allo speciale procedimento ex
art. 814 c.p.c.
Per la cassazione di tale sentenza gli eredi di De Lorenzis
hanno proposto ricorso con undici motivi, ai quali ha opposto difese in controricorso il Catalano, infine depositante memoria ex art.
378 c.p.c..
MOTIVI DELLA DECISIONE
Ritiene il Collegio che la sentenza impugnata resista, in forza della correttezza degli argomenti e della congruità della motivazione, alle critiche ad essa mosse dai motivi del ricorso
Primo motivo: esso denunzia, per violazione degli artt. 1362

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l’esistenza di una s.d.f. occulta) non aveva rilievo né capacità pre-

e segg. c.c., 829 ed 817, 112 e 116 c.p.c., oltre che per omessa e
contraddittoria motivazione, l’avere la sentenza dato esclusivo valore ad alcune espressioni letterali e trascurato altre concludendo, pertanto, in modo apodittico nel senso della natura rituale
dell’arbitrato e ricavando da dati affatto errati indice di interpretazione secondo il comportamento delle parti.
Il Collegio osserva che il motivo, pervero concluso da quesito as-

cie”, non ha fondamento alcuno.
Questa Corte ha anche di recente ribadito (Cass. 7574/2011 e
21585/2009) che, considerando che sia l’arbitrato rituale che
quello irrituale hanno natura privata, la differenza tra l’uno e l’altro tipo di arbitrato non può fondarsi sul rilievo che con il primo le
parti abbiano demandato agli arbitri una funzione sostitutiva di
quella del giudice, ma va individuata nel fatto che:

nell’arbitrato rituale, le parti vogliono che si pervenga ad un
lodo suscettibile di essere reso esecutivo e di produrre gli
effetti di cui all’art. 825 c.p.c., con l’osservanza delle regole del procedimento arbitrale, mentre

nell’arbitrato irrituale esse vogliono affidare agli arbitri

la

soluzione di controversie (insorte o che possano insorgere
in relazione a determinati rapporti giuridici) soltanto attraverso lo strumento negoziale, attraverso una composizione amichevole o un negozio di accertamento riconducibile
alla volontà delle parti stesse, posto che esse parti si impegnano a considerare la decisione degli arbitri come espressione della loro volontà.
La Corte di merito , in osservanza del principio di diritto posto,
nei riferiti termini, dalla sentenza rescindente 3614/2004, ha individuato gli elementi letterali, teleologici e comportamentali
che la inducevano a ritenere voluta una definizione avente “valore di sentenza” e tale individuazione è corretta sul piano logico ed
è stata operata in puntuale applicazione del principio appena
dianzi rammentato.

Secondo motivo: esso denunzia per violazione di legge e

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sommante principii di diritto in realtà non attingenti la “fattispe-

vizio di motivazione l’avere la Corte di Lecce mancato di considerare che anche per le controversie in tema di affitto di azienda
l’art. 447 bis c.p.c. (certamente in vigore alla data della stipula
14.6.1995 dell’art. 19 contenente clausola compromissoria) e
l’art. 806 c.p.c. rendevano nulla la pattuizione di competenza arbitrale. La censura, ad avviso del Collegio / è palesemente errata
posto che la controversia in materia di locazione e di affitto di a-

ma è nondimeno passibile di compromettibilità per arbitri, come
affermato da questa Corte con le decisioni

4652/1999

e

1914/2000 che il Collegio pienamente condivide. E’ stato infatti
affermato che l’art. 447 – bis c. 2 c.p.c.- il quale stabilisce che
per le controversie di cui all’art. 8, c. 2 n. 3 c.p.c. è competente
il giudice del luogo dove si trova la cosa, sancendo la nullità delle
clausole di deroga alla competenza – ha riguardo alla sola competenza per territorio del giudice , con la conseguenza che la clausola di compromissione in arbitri di una controversia ordinaria in
materia locativa non è colpita dalla sanzione della nullità stabilita
dalla norma citata. Resta quindi precluso notoriamente il ricorso
alla clausola compromissoria solo nella ipotesi di determinazione
del canone “equo” ex lege 392/1978 (Cass. 6284/2013).
Terzo motivo: esso contesta la decisione della Corte di
Appello per la quale la pendenza di causa diretta ad accertare la
interposizione fittizia del Catalano , per esistenza di una società di
fatto od occulta tra il medesimo Catalano ed i soci Ventrelli e
Donno, non interferiva con l’autonomo accertamento della controversia, rimesso agli arbitri. Il motivo da un canto afferma la evidente pregiudizialità del detto accertamento con obbligo di sua
sospensione ex art. 819 bis c. 1 n. 2 c.p.c. e, dall’altro, predica la
nullità della clausola compromissoria per l’impossibilità di estendere il suo accertamento alla questione pregiudiziale. La confusa esposizione di doglianze, di per sé inducente irricevibilità del motivo, è poi conclusa da quesito plurimo (pag. 27) privo di alcuna
connessione con la fattispecie (Cass. 3530/2012) ,che, pertanto, rende il motivo cui accede affatto inammissibile.

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zienda non è suscettibile di deroga alla competenza per territorio i

Quarto motivo: esso reitera e specifica la appena detta censura con riguardo alla nullità della clausola indotta dalla esistenza
di una s.d.f. interposta, uno dei cui soci sarebbe stato l’avv. Donno, anch’esso in posizione affatto incompatibile con l’esercizio di
impresa associata e quindi viziante di nullità l’accordo. A criterio
dei ricorrenti nulla avrebbe detto la sentenza con riguardo a tale
questione. Valgono per tal censura le considerazioni di cui sopra

della propria proposta di risoluzione in diritto della fattispecie che,
invece che denunziare t con preciso riferimento ai luoghi ed alle
sedi della propria impugnazione, la omessa pronunzia, pongono al
punto 1 pag. 30 del ricorso il quesito tautologico della nullità della
sentenza…. per omessa pronunzia. Il motivo è pertanto inammissibile.
Quinto motivo: si contesta con esso la decisione di ritenere
non proposta in sede propria e comunque in sede estranea alla
res litigiosa la questione della nomina del dr. Bianco (magistrato
in pensione non iscritto in albo) e della designazione del sen. Giovanni Pellegrino quale terzo arbitro (versante in situazione di incompatibilità con l’iscrizione all’Albo). Ad avviso dei ricorrenti le
questioni erano di incompatibilità alla funzione e quindi affatto estranee al giudizio arbitrale ed attingevano di riflesso la autoliquidazione del compenso.
La censura è, ad avviso del Collegio, priva di alcuna consistenza
posto che, come intuito in sentenza, tutte le situazioni di incompatibilità degli arbitri, anche nell’ipotesi di difformità dei loro requisiti professionali da quelli divisati nel compromesso (difformità
che, come rettamente notato in sentenza, non è certo ravvisabile
né per la nomina presidenziale del dr. Bianco né per la congiunta
designazione del “terzo” nella persona del sen.Pellegrino), devono essere poste innanzi agli arbitri stessi, a pena di decadenza, e
non semplicemente versate innanzi alla Corte di impugnazione
(Cass. 17192/2004, 23056/2010, 13246/2011) come erroneamente fatto nella specie.
Sesto motivo: esso censura da un canto la generale dedu-

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posto che anche i quesiti in discorso sono mere sintesi astratte

zione di non esaminabilità delle doglianze di diritto essendo stata
nel compromesso prevista la “non impugnabilità” del lodo e
dall’altro l’argomentazione ulteriore per la quale non aveva pregio
la doglianza sulla inesistenza di azienda volta che essa c’era ed
era solo stagionale e che era stata prevista l’opzione per stagione
successiva. Ritiene il Collegio, sotto il primo profilo, che la premessa in diritto formulata dalla Corte di merito sia esatta, alla

1183/2006 a Cass. 28/2013) per il quale I ‘inammissibilita
dell’impugnazione del lodo arbitrale per inosservanza di regole di diritto, ai sensi dell’ad 829, c. 2 c.p.c. nel caso in cui le
parti abbiano autorizzato gli arbitri a decidere secondo equita’
(nella specie pro bono et aequo) , sussiste anche qualora gli arbitri abbiano in concreto applicato norme di legge, ritenendole
corrispondenti alla soluzione equitativa della controversia, non
risultando, certamente, per questo motivo trasformato l’arbitrato di equita’ in arbitrato di diritto. Sotto il secondo profilo,
viene censurata come inattendibile la valutazione che ha rigettato
la tesi della natura locatizia del rapporto facendo capo a quella
dell’affitto di azienda: ma la censura, lungi dall’appuntarsi sulla
denunzia di violazione di questo o quel canone di ermeneutica del
contratto, si risolve nella accusa di sottovalutazione di specifici elementi (pagg. 38 e 39 ricorso) ed è pertanto irricevibile in questa
sede (Cass. 8049/2011).
Settimo motivo: con esso si rinnova la censura sulla errata
qualificazione del contratto operata in sentenza (da pag. 13 a
pag. 14) e si indicano in rubrica del motivo le norme di cui agli
artt. 1362 e 2556 c.c.: ma se si passa dal k rubrica al corpo del
motivo si constata che si sviluppa una ampia elencazione di ragioni di dissenso in fatto sulle conclusioni attinte nella sentenza
impugnata; in sostanza, oltre ad offrire alla Corte di legittimità,
una irricevibile elencazione di fatti pretermessi, si omette di indicare quali canoni ermeneutici e per quali ragioni e da quale affermazione risultino essere stati violati (sì che la citazione dell’art.
1362 c.c. appare mera clausola “di stile”) e si riduce la critica alla

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stregua del costante indirizzo di questa Corte (da Cass.

mera doglianza di motivazione “scarna” e comunque palesemente
illogica e contraddittoria (doglianza che, anche a tacere
dell’argomento sviluppato nel sesto motivo, esula dall’ambito sottoponibile in questa sede).
Ottavo motivo: tale doglianza, ampiamente articolata nelle
pagine da 45 a 50 del ricorso, attinge la decisione di cui a pag.
14 della sentenza là dove questa, con riguardo alla valutazione di

ta dal De Lorenzis ai danni del Catalano, ha preso atto della compiutezza e congruità della motivazione spesa nel lodo ed affermato, al proposito, la insindacabilità in sede di impugnazione. Il motivo, evidentemente dimentico dei rigorosi limiti del sindacato impugnatorio del lodo innanzi alla Corte di Appello, censura la genericità, parzialità,incompletezza della valutazione di cui sopra e pretende da questa Corte un impensabile sindacato sostitutivo.
Nono motivo: esso censura la omessa pronunzia riservata
dalla Corte al motivo di impugnazione che contestava la omessa
valutazione arbitrale della eccezione di inadempimento del Catalano. La stessa doglianza, però, si avvede della esistenza di una
pronunzia “complessiva”, quella per la quale nella prevista non
impugnabilità del lodo per violazione di regole di diritto sarebbe
stata certamente compresa anche quella relativa all’eccezione ex
art. 1460 c.c.. Solo che, a delineare il quesito di diritto conclusivo,
che avrebbe dovuto essere in coerenza con la prima e la seconda
parte della censura (la Corte di Lecce doveva pronunziare espressamente e non poteva ritenere di aver pronunziato con il richiamo
generale alla inimpugnabilità), vi è la pura e semplice proposizione astratta e tautologica della doglianza della …omessa pronunzia
(vd. pag. 52). L’inammissibilità dtel motivo ne discende.
Decimo motivo: con esso si censura la decisione di disattendere la impugnazione sulla carenza nei due arbitri della veste
professionale necessaria ex artt. 2229 e 2231 c.c. per operare la
autoliquidazione, non valendo richiamare la possibilità di ricorrere
ex art. 814 c.p.c. dato che la liquidazione era una parte del decisum. La decisione resa dal giudice del merito è, ad avviso del Col-

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piena prova della vicenda concorrenziale indebitamente perpetra-

legio, assolutamente corretta visto che non si scorge quale rilevanza avesse sul regime di validità del lodo la non appartenenza
alla categoria professionale del dr. Bianco o la incompatibilità
dell’appartenenza alla propria categoria del sen. Pellegrino.
Quanto al requisito per la nomina del dr. Bianco essa è questione
che non convolge affatto il potere dispositivo delle parti nella confezione della clausola compromissoria (comunque non esercitato

Basti solo ricordare la recente pronunzia di questa Corte (Cass.
7450/2012) a mente della quale deve affermarsi che sia pienamente legittimo il provvedimento del presidente del tribunale
che proceda alla designazione dell’arbitro, non nominato tempestivamente da una delle parti, al di fuori delle categorie professionali previste nella clausola compromissoria, poiche’ questa
non puo’ estendere i suoi effetti sui poteri di nomina di cui la
legge investe, nell’inerzia delle parti, l’autorita’ giudiziaria, il cui
intervento non è pertanto sottoposto ai limiti dell’autonomia
privata, vincolante solo per gli autori degli atti che ne costituiscono esercizio , ma si attua con la discrezionalita’ tipica del
dell’ AGO , che opera secondo legge nell’esercizio dei suoi poteri senza vincoli di sorta.
Quanto al preteso difetto dei requisiti del sen. Avv. Pellegrino, si
tratta di una ipotesi di “incompatibilità riflessa e condizionata” priva di alcuna plausibilità, a mente della quale il sen.Pellegrino non
sarebbe potuto permanere nell’Albo e quindi non avrebbe potuto
rivestire la qualifica professionale necessaria per la designazione
ad arbitro: si tratta di ipotesi prive di alcuna consistenza e plausibilità che non mette conto ulteriormente trattare.
Undecimo motivo: esso, attingendo la mancata pronunzia in
rescissorio, resta assorbito nel rigetto dei motivi dianzi esposti.
Conclusivamente, si rigetta il ricorso e si dispone la condanna
dei ricorrenti – tra loro in solido – alla refusione delle spese di
giudizio in favore del contro ricorrente, in dispositivo indicandosi
l’ammontare liquidato secondo il valore della causa.
P.Q. M.

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ad excludendum del non professionista)

Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido, a versare per
spese di giudizio al contro ricorrente Pasquale Catalano la somma
di C 7.600 (di cui C 200 per esborsi ed C 7.400 per compensi) oltre ad IVA e C.P.A.

Così deciso nella c.d.c. del 12 Giugno 2013.

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