Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1939 del 25/01/2017


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Cassazione civile, sez. I, 25/01/2017, (ud. 13/12/2016, dep.25/01/2017),  n. 1939

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Presidente –

Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere –

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 28271-2011 proposto da:

L.A., (c.f. (OMISSIS)), LO.AN. (c.f. (OMISSIS)),

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA COLA DI RIENZO 264, presso

l’avvocato GIULIO ROMANO LONGARI, che li rappresenta e difende

unitamente agli avvocati EUGENIO DALMOTTO, FILIPPO FERLISI, giusta

procura a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

B.C., (c.f. (OMISSIS)), elettivamente domiciliato in ROMA,

PIAZZA GIUNONE REGINA 1, presso l’avvocato ANSELMO CARLEVARO, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato MATTEO MARIA RISCOSSA,

giusta procura a margine del controricorso;

M.F. (c.f. (OMISSIS)), L.M. (c.f. (OMISSIS)),

elettivamente domiciliate in ROMA, CORSO VITTORIO EMANUELE II 229,

presso l’avvocato ELENA FERRARI, che le rappresenta e difende

unitamente all’avvocato GIUSEPPE PORTIGLIOTTI, giusta procura a

margine del controricorso;

– controricorrenti –

contro

R.L.U., R.L.P., G.G., PROCURATORE

GENERALE PRESSO LA CORTE DI APPELLO DI TORINO, PROCURATORE GENERALE

PRESSO LA CORTE DI CASSAZIONE DI ROMA;

– intimati –

avverso la sentenza n. 673/2011 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 09/05/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

13/12/2016 dal Consigliere Dott. MASSIMO FALABELLA;

udito, per il controricorrente B., l’Avvocato CARLEVARO ANSELMO

che ha chiesto l’inammissibilità e la manifesta infondatezza del

ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SORRENTINO Federico, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione ritualmente notificato nel gennaio 2006 L.A. ed An. evocavano in giudizio, per l’udienza del 18 maggio 2006, M.F. e L.M. onde sentire accertare, in via principale, l’inesistenza, la nullità, l’annullabilità o l’inefficacia del contratto di compravendita della nuda proprietà di un immobile: contratto stipulato il (OMISSIS) tra T.O., quale parte venditrice, e M.F., quale parte compratrice. Secondo quanto esposto dagli istanti, T.O. aveva informato i congiunti della sua decisione di formare un testamento olografo con il quale avrebbe disposto dei suoi beni ripartendoli in parti eguali tra i cugini L.A., Lo.An. e M.F.; dopo la scomparsa della stessa T., gli stessi attori avevano tuttavia appreso che gli immobili della nominata T. erano stati trasferiti, quanto alla nuda proprietà, col contratto oggetto dell’impugnazione di cui si è detto. Nell’atto di citazione gli attori proponevano, in via incidentale, querela di falso, impugnando l’atto pubblico a ministero del notaio B.C. con cui era stato disposto il trasferimento indicando, come segni della falsità materiale, le modalità di scritturazione della postilla, recante l’indicazione dei dati catastali e la descrizione della particella n. (OMISSIS), la non persuasività di un asserito errore nel rilascio di una copia dell’atto che avrebbe dovuto essere conforme all’originale, e che era priva della postilla, la contraddittorietà delle indicazioni fornite in ordine all’immobile e la quantificazione del prezzo di compravendita dello stesso.

Si costituivano i convenuti, che chiedevano di chiamare in garanzia il notaio, il quale pure si costituiva.

Autorizzata la presentazione della querela di falso, erano respinte le istanze istruttorie; quindi il Tribunale pronunciava sentenza con cui dichiarava la falsità della postilla sopra indicata.

Era proposto appello da parte del notaio B. e la Corte distrettuale di Torino, con sentenza pubblicata il 9 maggio 2011, riformava la pronuncia di primo grado, rigettando la proposta querela.

Ricorrono per cassazione L.A. ed An., facendo valere cinque motivi di impugnazione; resistono con controricorso sia M.F. e L.M., che il notaio B.. Quest’ultimo e i ricorrenti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo è dedotta violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione agli artt. 2729 e 2697 c.c. e all’art. 115 c.p.c.. La sentenza di appello – spiegano i ricorrenti era incorsa in errore laddove aveva ritenuto, in conformità di quella di primo grado, che gli attori avessero assolto l’onere probatorio loro incombente: l’errore si anniderebbe nell’affermazione del giudice del gravame secondo cui gli elementi presuntivi della falsificazione del documento non potevano considerarsi indizi gravi, precisi e concordanti, “tali da raggiungere la prova certa, al di là di ogni ragionevole dubbio”. Di contro si deduce nel processo civile opererebbe la regola del “più probabile che non”: la soglia di probabilità dei fatti da provare risulterebbe essere cioè meno elevata rispetto a quella pretesa in ambito penalistico (ove, per l’appunto, vigerebbe la regola della necessità della prova “oltre il ragionevole dubbio”).

Il motivo non ha fondamento.

E’ senz’altro vero che, in tema di nesso di causalità, l’autonomia del processo civile rispetto a quello penale si riflette anche in materia probatoria, vigendo in quest’ultimo la regola della prova “oltre il ragionevole dubbio”, mentre nel primo trova applicazione quella della preponderanza dell’evidenza o “del più probabile che non” (per tutte: Cass. S.U. 11 gennaio 2008, n. 576; Cass. S.U. 11 gennaio 2008, n. 582).

E, però, del tutto evidente che la Corte di merito, nel giudicare degli elementi portati al suo esame, abbia fondato il proprio convincimento sulla scorta dell’assenza di idonei elementi di conferma della proposizione assertiva della denunciata falsificazione, incentrando il proprio giudizio sull’assenza di attendibili inferenze logiche che consentissero di far discendere dalle evenienze valorizzate dal Tribunale la prova della falsificazione stessa. Quel che emerge dalla sentenza impugnata infatti che, al di là della suggestione o del sospetto dell’irregolarità, gli elementi raccolti non fornissero un sufficiente grado di certezza della prova dell’apposizione postuma della postilla (pag. 14 della sentenza impugnata): sicchè difettava, ad avviso del giudice del gravame, la possibilità di desumere dal fatto noto quello ignoto, alla stregua di un giudizio di probabilità. In tal senso la decisione si sottrae a censura, facendo essa concreta applicazione del principio per cui non può attribuirsi valore probatorio ad una presunzione fondata su dati meramente ipotetici, dovendo il ragionamento presuntivo fondarsi sull’id quod plerumque accidit (Cass. 5 febbraio 2014, n. 2632; Cass. 14 novembre 2006, n. 24211; Cass. 16 novembre 2005, n. 23079).

Con il secondo motivo viene lamentata violazione o falsa applicazione di norme di diritto, in relazione all’art. 2697 c.c., all’art. 2909 c.c. e all’art. 115 c.p.c.. Viene premesso che la difesa delle controparti aveva sostenuto che la mancata menzione della particella n. (OMISSIS) nella prima copia dell’atto di compravendita dipendeva da un errore di trascrizione rispetto all’originale. Il Tribunale, espongono gli istanti – aveva rilevato che la prova dell’eventuale accadimento di fatti o condizioni particolari, idonei ad incidere negativamente sul livello di attenzione o di diligenza dell’ufficiale rogante e dei suoi collaboratori avrebbe dovuto essere offerta dall’interessato, che non vi aveva provveduto. Una eccezione in tal senso era stata riproposta dagli odierni ricorrenti in fase di gravame e controparte non aveva impugnato quel capo della sentenza del Tribunale che, quindi, doveva considerarsi essere passata in giudicato. Inoltre, l’esistenza dell’errore addotto dalla controparte doveva essere provato dalla medesima, tenuto conto di plurimi elementi quali: il fatto che ogni parte ha l’onere di provare i propri assunti e che, nel caso in esame, la prova andava offerta contestualmente alla fornita evidenza della falsità del documento; la circostanza per cui la prova di cui sarebbero stati onerati gli appellati avrebbe avuto ad oggetto un fatto negativo; il fatto che i L. non avrebbero potuto adempiere all’onere probatorio non conoscendo l’identità del responsabile dell’errore; il dato giuridico della “vicinanza della prova”.

Nemmeno sul punto la sentenza merita cassazione.

E’ da disattendere, anzitutto, la prima censura, con cui si deduce che sarebbe caduto il giudicato interno sull’affermazione del giudice di prime cure per il quale la prova dei particolari fatti o situazioni rappresentative dell’errore avrebbe dovuto essere data dall’interessato (e cioè, si intende, dal notaio).

Tale censura è carente di specificità, in quanto è riprodotto, in ricorso, solo un piccolo stralcio della sentenza di primo grado e nulla risulta ivi precisato, nemmeno in forma riassuntiva, quanto al contenuto dell’atto di appello. La circostanza assume rilievo ove si consideri che nella sentenza impugnata si legge (a Pag- 7) che il notaio B., nel proprio atto di gravame, ebbe a confutare “tutte le argomentazioni addotte nella motivazione”: affermazione – questa chiaramente contrastante con quanto sostenuto dai ricorrenti.

La richiamata carenza del ricorso per cassazione è altresì significativa in quanto non consente di apprezzare compiutamente la portata del dictum del Tribunale in merito al suddetto onere probatorio nel quadro della decisione assunta dallo stesso giudice di prime cure. In proposito, vale osservare che, in termini generali, la formazione della cosa giudicata, per mancata impugnazione su un determinato capo della sentenza investita dall’impugnazione, può verificarsi soltanto con riferimento ai capi della stessa sentenza completamente autonomi, in quanto concernenti questioni affatto indipendenti da quelle investite dai motivi di gravame, perchè fondate su autonomi presupposti di fatto e di diritto, tali da consentire che ciascun capo conservi efficacia precettiva anche se gli altri vengono meno, mentre, invece, non può verificarsi sulle affermazioni contenute nella mera premessa logica della statuizione adottata, ove quest’ultima sia oggetto del gravame (per tutte: Cass. 29 aprile 2006, n. 10043; Cass. 18 ottobre 2005, n. 20143; cfr. pure: Cass. 23 marzo 2012, n. 4732; Cass. 20 ottobre 2007, n. 22863).

La seconda censura del motivo è, poi, palesemente destituita di fondamento, dal momento che, a fronte della proposta querela, spettava agli odierni ricorrenti fornire il riscontro della lamentata falsità (per tutte: Cass. 17 giugno 1998, n. 6050): nè pensabile che l’onere probatorio possa risultare invertito in ragione delle difese svolte dalle controparti e che, dunque, queste, per risultare vittoriose, fossero tenute a fornire pieno riscontro dell’errore asseritamente occorso nella redazione della copia del contratto.

Col terzo motivo è denunciata violazione o falsa applicazione di norme di diritto, in relazione agli artt. 115 e 116 c.p.c.. La Corte di appello – assumono i ricorrenti – aveva omesso di considerare tutti gli argomenti atti a sconfessare la tesi dell’errore; gli istanti richiamano poi il principio per cui il comportamento processuale della parte può costituire unica e sufficiente fonte del convincimento del giudice, e non soltanto mezzo di valutazione degli elementi probatori già acquisiti al processo: al riguardo i ricorrenti richiamano plurimi elementi processuali che attesterebbero contraddizioni nelle versioni fornite dal notaio B..

Il quarto mezzo censura la sentenza impugnata per omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa fatti controversi e decisivi. Esso si sofferma su diverse mancanze e incoerenze in cui era incorso il giudice distrettuale nell’esame della fattispecie portata al suo esame.

Con il quinto motivo i ricorrenti si dolgono dell’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa fatti controversi e decisivi. Il motivo attacca la confutazione operata dalla Corte di merito degli argomenti spesi dal Tribunale e cioè: la collocazione temporale della trascrizione in rettifica, attuata dopo oltre tre mesi dalla stipula; la mancata annotazione sull’originale dell’atto della prima trascrizione; l’imprecisione dei dati catastali relativi alla particella n. (OMISSIS); la compatibilità del prezzo dell’immobile con il dato della vendita della sola particella n. (OMISSIS); le differenti tecniche di scritturazione adottate dall’ufficiale rogante nella redazione dell’atto; il fatto che nè la copia autentica ad uso di trascrizione, nè la stessa nota di trascrizione recassero l’indicazione della particella n. (OMISSIS).

I tre motivi possono esaminarsi congiuntamente in quanto investono, da distinte prospettive, l’apprezzamento del giudice del merito quanto alle prova della denunciata falsificazione. Con essi viene lamentato un vizio motivazionale, dal momento che, come questa S.C. ha avuto modo di chiarire, gli artt. 115 e 116 c.p.c.regolano la materia della valutazione dei risultati ottenuti mediante l’esperimento dei mezzi di prova, la cui erroneità ridonda quale vizio ex art. 360, n. 5 c.p.c. (Cass. 12 febbraio 2004, n. 2707; cfr. pure Cass. 20 giugno 2006, n. 14267).

I motivi in questione non sono fondati.

La Corte distrettuale ha reso un’ampia motivazione quanto alla dedotta falsità del contratto notarile, contrastando con argomentazioni logiche ed esaurienti il giudizio espresso dal Tribunale. Ha così osservato: che non era stato nè dedotto nè provato che le ultime tre righe dell’atto di compravendita fossero state barrate e cancellate in un momento successivo; che, pertanto, avrebbe dovuto presumersi, sulla scorta di una mera illazione, che le sottoscrizioni erano state apposte lasciando in bianco proprio le tre righe sopra le firme delle parti e del notaio, successivamente riempite con la postilla recante i dati catastali del mappale n. (OMISSIS), e tutto ciò all’insaputa dei contraenti, che pure si trovavano innanzi all’ufficiale rogante proprio per la compravendita della nuda proprietà dell’intero immobile; che risultava plausibile la ricostruzione dell’appellante, incentrata su di un mero errore materiale consistente nella mancata riproduzione della postilla – occorso all’atto di trasporre il contenuto contrattuale dall’originale alla copia, e ciò tenuto conto che buona parte del testo dell’atto originale era stato redatto al computer; che pertanto la trascrizione in rettifica non dimostrava che la postilla era stata aggiunta in un momento successivo alla redazione dell’atto notarile; che la mancata annotazione sull’originale dell’atto della prima trascrizione era priva di significato, non avendo il notaio l’obbligo di annotare la trascrizione; che non si ravvisavano imprecisioni nella descrizione, nell’atto, del mappale n. (OMISSIS); che non aveva consistenza il rilievo formulato dal giudice di prime cure quanto alla tecnica di scritturazione del contratto e, specificamente, quanto al fatto che nella sua stesura erano state usate due differenti penne a sfera ad inchiostro nero; che, d’altro canto, la differenza di grafia nella stesura poteva derivare da diversi motivi; che l’affermazione del Tribunale, secondo cui il prezzo indicato nell’atto sarebbe stato compatibile con la rendita catastale rivalutata della sola particella n. (OMISSIS) non teneva conto del fatto che la compravendita riguardava soltanto la nuda proprietà dell’immobile. Da tali considerazioni la Corte di merito ha tratto la conclusione che un errore certamente vi era stato, nel rilascio della copia dell’atto ad uso di trascrizione e che ciò aveva evidentemente ingenerato qualche sospetto, ma che, comunque, non vi era prova certa della redazione della postilla in un momento posteriore a quello in cui le parti e il notaio sottoscrissero l’atto.

Ora, il ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale, ma solo la facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (Cass. 4 novembre 2013 n. 24679; Cass. 16 novembre 2011, n. 27197; Cass. 6 aprile 2011, n. 7921; Cass. 21 settembre 2006, n. 20455; Cass. 4 aprile 2006, n. 7846; Cass. 9 settembre 2004, n. 18134; Cass. 7 febbraio 2004, n. 2357).

Nè il giudice del merito, che attinga il proprio convincimento da quelle prove che ritenga più attendibili, è tenuto a un’esplicita confutazione degli altri elementi probatori non accolti, anche se allegati dalle parti (ad es.: Cass. 7 gennaio 2009, n. 42; Cass. 17 luglio 2001, n. 9662).

Di contro, nel caso in esame, le censure svolte finiscono per rivendicare la rispondenza della ricostruzione dei fatti operata dal giudice al diverso convincimento soggettivo della parte e per prospettare un preteso migliore e più appagante coordinamento dei dati acquisiti; ma tali aspetti del giudizio, interni all’ambito di discrezionalità di valutazione degli elementi di prova e dell’apprezzamento dei fatti, attengono al libero convincimento del giudice e non ai possibili vizi del percorso formativo di tale convincimento rilevanti ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 (per tutte: Cass. 16 marzo 2010, n. 7394; Cass. 6 marzo 2008, n. 6064).

In conclusione, il proposto ricorso deve essere respinto.

Le spese di giudizio seguono la soccombenza.

PQM

LA CORTE

rigetta il ricorso; condanna parte ricorrente al pagamento delle spese processuali, liquidate in Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso spese generali e oneri di legge, per il notaio B. e in Euro 2.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso spese generali e oneri di legge, per gli altri contro ricorrenti.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 13 dicembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 25 gennaio 2017

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