Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19389 del 17/09/2020
Cassazione civile sez. trib., 17/09/2020, (ud. 05/03/2020, dep. 17/09/2020), n.19389
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –
Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Consigliere –
Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –
Dott. CASTORINA Rosaria Maria – Consigliere –
Dott. DINAPOLI Marco – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 15601/2014 R.G. proposto da:
Ecoturistica s.r.l., in persona del legale rappresentante
pro-tempore, rappresentata e difesa dalli Avv. Giovanni Fiannaca,
presso il cui studio elettivamente domiciliata in Messina, giusta
procura speciale a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
Agenzia delle entrate;
– intimata –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della
Sicilia n. 58/27/13, depositata il 10 aprile 2013.
Udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Dinapoli Marco nella
camera di consiglio del 5 marzo 2020.
Fatto
RILEVATO
CHE:
1.1- Ecoturistica s.r.l. in persona del suo legale rappresentante pro-tempore ricorre in primo grado avverso un avviso di accertamento relativo alli anno di imposta 2003 per la mancata contabilizzazione in bilancio della quota di Euro 1.180.382,90 del contributo pubblico percepito nell’anno 2003 e l’indebita detrazione dell’Iva su operazioni inesistenti, in violazione del D.P.R. n. 633 del 1973, art. 19 bis.
1.2- La Commissione tributaria provinciale di Messina rigetta il ricorso con sentenza n. 819/10/210 del 31 novembre 2010, avverso cui la società propone appello.
1.3- La Commissione tributaria regionale della Sicilia, con la sentenza indicata in epigrafe, rigetta l’appello ritenendo l’infondatezza sia delle questioni formali (regolarità della notifica e sufficienza della motivazione dell’avviso) che di quelle sostanziali (obbligo di contabilizzazione del contributo pubblico che costituisce sopravvenienza attiva; indebita detrazione dell’Iva).
1.4- La società ricorre per cassazione avverso la sentenza di appello con 2 motivi, chiedendone l’annullamento, con ogni conseguenza anche in ordine alle spese.
1.5- l’Agenzia delle entrate non si costituisce nei termini di legge e deposita memoria, senza però svolgere difese e formulare richieste, al solo fine di partecipare all’eventuale udienza di discussione.
Diritto
CONSIDERATO
CHE:
2.- Il primo motivo di ricorso denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., art. 2697 c.c., del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36 in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3) e 4) perchè l’Agenzia delle entrate non avrebbe fornito la prova della pretesa fiscale in quanto l’avviso di accertamento richiama un p.v.c. della Guardia di Finanza che però non è stato prodotto in giudizio
2.1.- Il secondo motivo di ricorso denunzia violazione degli artt. 112 e 132 c.p.c., del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 1 e 36 in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4 perchè la sentenza impugnata avrebbe affrontato solo la questione relativa alla detraibilità dell’Iva e non quella relativa al recupero a tassazione del contributo percepito ex L. n. 488 del 1992 nè l’eccezione relativa al divieto di doppia imposizione.
3.1- Entrambi i motivi di ricorso sono inammissibili per i motivi di seguito illustrati.
3.2.- In primo luogo entrambe le censure sono ricondotte in alternativa a due possibili vizi, con mancanza assoluta di specificità delle argomentazioni riferite all’uno o all’altro, e violazione del principio secondo cui il giudizio di cassazione è fondato sulla critica vincolata ed è delimitato e vincolato dai motivi di ricorso, che assumono una funzione identificativa, condizionata dalla loro formulazione tecnica con riferimento alle ipotesi tassative formalizzate dal codice di rito; ogni motivo di ricorso, dunque, deve necessariamente possedere i caratteri della tassatività e della specificità ed esige una precisa enunciazione, di modo che il vizio denunciato rientri in una delle categorie logiche previste dall’art. 360 c.p.c., “sicchè è inammissibile la critica generica della sentenza impugnata, formulata con un unico motivo sotto una molteplicità di profili tra loro confusi e inestricabilmente combinati, non collegabili ad alcuna delle fattispecie di vizio enucleate dal codice di rito.” (ex multis Cass. 11603/2018).
3.3- In secondo luogo entrambi i motivi mancano del requisito dell’autosufficienza, richiesto a pena di inammissibilità dall’art. 366 c.p.c., nn. 4 e 6. La ricorrente lamenta infatti l’omessa valutazione da parte dei giudici del merito di documenti che però non indica specificamente, non trascrive nel ricorso nella parte ritenuta rilevante, nè allega ad esso, ed infine non “localizza” nell’ambito del giudizio di merito con l’indicazione dei modi e dei tempi della loro produzione per cui il ricorso non possiede l’autonomia indispensabile per consentire alla Corte, senza il sussidio di altre fonti, l’immediata e pronta individuazione delle questioni proposte.
3.4- Il ricorso, infine, appare inammissibile anche perchè, sotto l’apparenza delle censure mosse, contrasta in realtà la valutazione di merito della sentenza impugnata, e mira ad una rivisitazione del materiale probatorio acquisito nel corso del processo, inammissibile in sede di legittimità. Inoltre la sentenza impugnata contiene una specifica motivazione circa l’omessa contabilizzazione del contributo pubblico, a differenza di quanto erroneamente dedotto dalla ricorrente con il secondo motivo.
4.- In conclusione, per effetto delle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere rigettato, senza addebito di spese al ricorrente, in quanto l’Agenzia delle entrate non ha svolto alcuna attività difensiva. Deve darsi atto, infine, della sussistenza dei presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato.
P.Q.M.
la Corte rigetta il ricorso; nulla per le spese, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 5 marzo 2020.
Depositato in cancelleria il 17 settembre 2020