Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19386 del 17/09/2020

Cassazione civile sez. trib., 17/09/2020, (ud. 05/03/2020, dep. 17/09/2020), n.19386

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Consigliere –

Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. CASTORINA Rosaria Maria – Consigliere –

Dott. DINAPOLI Marco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 19978/2013 R.G. proposto da:

Creazioni Italiane Milano s.r.l., in persona del legale

rappresentante pro-tempore, rappresentata e difesa dall’Avv. Claudio

Preziosi, con questi elettivamente domiciliata in Roma, presso la

Cancelleria di questa Corte, giusta procura speciale a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle entrate in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso

la quale è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Campania n. 271/05/12, depositata il 28 maggio 2012.

Udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Dinapoli Marco nella

camera di consiglio del 5 marzo 2020.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

1.1- Call Center s.r.l. (ora Creazioni Italiane Milano s.r.l.) ricorre in primo grado avverso un avviso di accertamento relativo alli anno di imposta 2004 per costi non inerenti (quindi non deducibili dal reddito e non detraibili dall’Iva) e maggiori ricavi emersi da indagini finanziarie su vari conti correnti bancari, onde il recupero a tassazione di maggiore Ires per Euro 111.652,00, Irap per 14.699,00, Iva per 109.430,00, oltre sanzioni per Euro 170.349,00.

1.2- La Commissione tributaria provinciale di Salerno accoglie il ricorso con sentenza n. 311/15/2008. Appella l’Agenzia delle entrate.

1.3- La Commissione tributaria regionale della Campania accoglie parzialmente l’appello e annulla soltanto “il recupero relativo a prestazioni non imponibili rese a soggetto extra CEE” (decisione passata in giudicato), confermando nel resto l’avviso impugnato per i seguenti motivi:

1.3.1- Ritiene legittimo l’utilizzo da parte dell’Ufficio del metodo induttivo di accertamento, in considerazione della irregolare tenuta della contabilità societaria;

1.3.2 Ritiene utilizzabili i dati emersi dall’indagine bancaria sui conti correnti intestati a terzi ma riconducibili alla società, trattandosi di persone fisiche che rivestivano o avevano rivestito cariche sociali o legate ad essi da vincoli di solidarietà familiare.

1.3.2- Valutato il contenuto della perizia contabile depositata dalla parte, ne esclude però la rilevanza.

1.3.4- Quanto alle operazioni extra CEE, precisa che la decisione del primo giudice è passata in giudicato perchè non ha costituito oggetto di specifico appello.

1.3.5- Ritiene fondato il disconoscimento per difetto di inerenza dei costi riferentisi ad immobili non destinati allo svolgimento dell’attività.

2.1- La società ricorre per cassazione avverso la sentenza di appello con 5 motivi. chiedendone l’annullamento, con ogni conseguenza anche in ordine alle spese.

2.2- l’Agenzia delle entrate resiste e deposita controricorso con cui contrasta l’avverso ricorso, chiedendone il rigetto, vinte le spese.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

Motivi del ricorso:

3.1- Il primo motivo di ricorso denunzia vizio di motivazione (art. 360 c.p.c., n. 5 vecchio testo) e violazione di legge (art. 360 c.p.c., n. 3 in relazione agli artt. 2727 e 2729 c.c.). Erroneamente la sentenza impugnata avrebbe ritenuto riconducibile alla società il conto corrente n. (OMISSIS) intestato all’amministratore M.G., a sua moglie e sua figlia trattandosi di un conto che la famiglia aveva la possibilità finanziaria di alimentare, come documentato in causa con elementi di prova ignorati dalla sentenza impugnata.

3.2- Il secondo motivo di ricorso denunzia violazione di legge (art. 360 c.p.c., n. 3 in relazione al D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 32 e 39, D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 51 e 54, artt. 2727 e 2729 c.c.; violazione del divieto di doppia presunzione). Erroneamente la sentenza impugnata avrebbe ritenuto riferibile alla società il conto corrente di cui al punto 1 in mancanza di prova da parte dell’Amministrazione finanziaria; erroneamente inoltre le movimentazioni emergenti dal conto sono state considerate per intero ricavi occulti della società, utilizzando a tal fine una doppia presunzione non consentita.

3.3- Il terzo motivo di ricorso denunzia vizio di motivazione (art. 360 c.p.c., n. 5 vecchio testo) perchè la sentenza impugnata avrebbe omesso di valutare le risultanze della perizia contabile depositata in atti da cui emergerebbe che le movimentazioni bancarie contestate troverebbero riscontro nella contabilità della società.

3.4- Il quarto motivo di ricorso, lamenta vizio di motivazione (art. 360 c.p.c., n. 5 vecchio testo) e violazione di legge (art. 360 c.p.c., n. 3 in relazione al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, art. 2697 c.c.) perchè erroneamente la sentenza impugnata avrebbe ritenuto che la prova offerta con la perizia contabile non fosse idonea a superare le presunzioni di legge in quanto non riguardava tutti i conti correnti esaminati dagli accertatori; questa circostanza, infatti non avrebbe escluso la necessità di valutare se, in relazione ai conti correnti riportati dalla perizia, fosse stata fornita dalla contribuente prova idonea a vincere la presunzione.

3.5- Il quinto motivo di ricorso denunzia vizio di motivazione (art. 360 c.p.c., n. 5 vecchio testo, in relazione al D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 3 bis) perchè erroneamente la sentenza impugnata avrebbe ritenuto non inerenti i costi relativi agli immobili siti in Milano e Roma. omettendo di valutare le prove offerte in ordine alla circostanza che detti immobili erano stati locati o sublocati dalla società nell’esercizio della sua attività di impresa (di gestione di patrimoni immobiliari).

4.1- L’Agenzia delle entrate eccepisce, in contrario:

4.2- L’infondatezza del primi due motivi di ricorso perchè i titolari del conto corrente bancario sono M.G. – amministratore e socio della società, D.P.A., moglie di M., socia e amministratrice, M.A., figlia e socia della società. Questo basterebbe per ritenere riferibili alla società le movimentazioni bancarie (Cass. 12 sett. 2012 n. 15217). Non rileva in contrario la capacità finanziaria degli intestatari, trattandosi di argomento di carattere generico, mentre la prova necessaria per superare la presunzione di legge è costituita dalla giustificazione delle singole operazioni.

4.3- L’infondatezza del terzo e quarto motivo di ricorso, attinenti alla perizia di parte; in primo luogo, infatti, la perizia non avrebbe riguardato tutti gli accertamenti finanziari su tutti i conti correnti riconducibili alla società; in secondo luogo, non essendo state fornite dalla contribuente nel corso del contraddittorio giustificazioni in ordine alle movimentazioni bancarie contestate, la perizia non sarebbe ammissibile in virtù del D.P.R. n. 1973 del 600, art. 32, comma 4.

4.4- Il quinto motivo di ricorso sarebbe infondato perchè non risulta che la società abbia stipulato alcun contratto di locazione o sublocazione per gli immobili cui si riferiscono i costi ritenuti non inerenti.

Motivi della decisione:

5.- Il primo motivo di ricorso è infondato sotto entrambi i profili proposti.

5.1. – Quanto alla dedotta violazione di legge si richiama sul punto la consolidata giurisprudenza di questa Corte per cui “In tema di poteri di accertamento degli uffici finanziari devono ritenersi legittime le indagini bancarie estese ai congiunti del contribuente persona fisica (…) – in quanto sia il D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 32, n. 7, riguardo alle imposte sui redditi, che il D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 51, riguardo all’IVA – autorizzano l’Ufficio finanziario a procedere all’accertamento fiscale anche attraverso indagini su conti correnti bancari formalmente intestati a terzi, ma che si ha motivo di ritenere connessi ed inerenti al reddito del contribuente, ipotesi, questa, ravvisabile nel rapporto familiare, sufficiente a giustificare, salva prova contraria, la riferibilità al contribuente accertato delle operazioni riscontrate su conti correnti bancari degli indicati soggetti”; in altri termini, in forza della descritta presunzione legale, i rapporti familiari intercorrenti tra il contribuente e il coniuge sono sufficienti al fine di attribuire al primo i versamenti sui conti correnti intestati alla moglie, senza alcuna necessità che l’ufficio dimostri nè l’intestazione fittizia di tali conti nè che il ricorrente ne avesse la disponibilità (Cass. Sez. 5 Num. 4681 21 febbraio 2020).

5.2.- Quanto al dedotto vizio di motivazione, non merita censura la decisione impugnata che ha affermato, in coerenza con il principio di diritto che precede, che a fronte della presunzione legale di attribuzione alla società delle movimentazioni finanziarie risultanti dai conti correnti “di famiglia”, avrebbe dovuto il contribuente fornire la prova liberatoria, consistente nella giustificazione delle operazioni bancarie. A torto quindi la ricorrente invoca come esimente non valutata dal giudice a quo la asserita dimostrazione del possesso da parte delle persone fisiche intestatarie dei conti correnti bancari della disponibilità finanziaria per alimentarli, trattandosi di circostanza diversa dalla giustificazione specifica e analitica dei singoli movimenti bancari, che la Commissione tributaria regionale ha ritenuto implicitamente non influente ai fini della decisione.

6.- Il secondo motivo di ricorso è infondato. Non sussiste la dedotta violazione di legge, alla luce della giurisprudenza di questa Corte sopra indicata al punto 5.1. Quanto poi alli asserita violazione del divieto di doppia presunzione, la Corte non ha motivo di discostarsi dalla precedente giurisprudenza per cui “in tema di accertamenti fondati sulle risultanze delle indagini sui conti correnti bancari, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32 e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, l’onere del contribuente di giustificare la provenienza e la destinazione degli importi movimentati sui conti correnti intestati a soggetti per i quali è fondatamente ipotizzabile che abbiano messo il loro conto a sua disposizione non viola il principio praesumptum de praesumpto non admittitur (o “divieto di doppie presunzioni” o “divieto di presunzioni di secondo grado o a catena”), sia perchè tale principio è, in realtà, inesistente, non essendo riconducibile agli artt. 2729 e 2697 c.c., nè a qualsiasi altra norma dell’ordinamento, sia perchè, anche qualora lo si volesse considerare esistente, esso atterrebbe esclusivamente alla correlazione di una presunzione semplice con un’altra presunzione semplice, ma non con una presunzione legale, sicchè non ricorrerebbe nel caso di specie” (Cass. nn. 15003/2017;20748/2019).

7.- Il terzo e quarto motivo possono essere esaminati congiuntamente perchè fra di loro strettamente collegati. La Corte li ritiene entrambi infondati. Infatti la perizia contabile di parte prodotta dalla società ricorrente ha costituito oggetto di valutazione espressa da parte del giudice a quo, che ne ha ritenuto però la inidoneità a giustificare le movimentazioni bancarie addebitate alla società. Pertanto, premesso che tale valutazione di merito non è censurabile in questa sede, rileva la Corte quanto segue.

7.1- Non sussiste il dedotto vizio di motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio. Infatti questa Corte ha ribadito anche di recente (Cass. Sez. 5 Num. 4681 21 febbraio 2020) il principio di diritto che: “il “fatto” ivi considerato è un preciso accadimento ovvero una precisa circostanza in senso storico-naturalistico (Cass. n. 21152/2014). Il fatto in questione deve essere decisivo: per potersi configurare il vizio è necessario che la sua assenza avrebbe condotto a diversa decisione con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, in un rapporto di causalità fra la circostanza che si assume trascurata e la soluzione giuridica data (Cass. n. 28634/2013; Cass. n. 25608/2013; Cass. n. 24092/2013; Cass. n. 18368/2013; Cass. n. 3668/2013; Cass. n. 14973/2006). Non presenta queste caratteristiche la perizia di parte, che costituisce, più che un “fatto” nel senso sopra precisato, una articolazione tecnica della difesa, e la cui asserita decisività non corrisponde ad un giudizio di certezza, nel senso sopra precisato.

7.2- Non vi era obbligo per il giudice di merito di esaminare specificamente tutte le questioni esposte nella perizia di parte, onde non può ritenersi omessa o insufficiente la motivazione della sentenza che ne ha escluso la rilevanza sulla base di valutazioni di carattere più ampio. Questa Corte ha ritenuto infatti non ricorrere l’omissione di pronuncia quando la motivazione accolga una tesi incompatibile con quelle prospettate, implicandone il rigetto (Cass. Sez. 5 Num. 2153 30 gennaio 2020: “Non ricorre vizio di omessa pronuncia su punto decisivo qualora la soluzione negativa di una richiesta di parte sia implicita nella costruzione logico-giuridica della sentenza, incompatibile con la detta domanda (v. Cass., 18/5/1973, n. 1433; Cass., 28/6/1969, n. 2355). Quando cioè la decisione adottata in contrasto con la pretesa fatta valere dalla parte comporti necessariamente il rigetto di quest’ultima, anche se manchi una specifica argomentazione in proposito (v. Cass., 21/10/1972, n. 3190; Cass., 17/3/1971, n. 748; Cass., 23/6/1967, n. 1537). Secondo risalente insegnamento di questa Corte, al giudice di merito non può invero imputarsi di avere omesso l’esplicita confutazione delle tesi non accolte o la particolareggiata disamina degli elementi di giudizio non ritenuti significativi, giacchè nè l’una nè l’altra gli sono richieste, mentre soddisfa l’esigenza di adeguata motivazione che il raggiunto convincimento come nella specie risulti da un esame logico e coerente, non già di tutte le prospettazioni delle parti e le emergenze istruttorie, bensì solo di quelle ritenute di per sè sole idonee e sufficienti a giustificarlo. In altri termini, non si richiede al giudice del merito di dar conto dell’esito dell’avvenuto esame di tutte le prove prodotte o comunque acquisite e di tutte le tesi prospettategli, ma di fornire una motivazione logica ed adeguata dell’adottata decisione, evidenziando le prove ritenute idonee e sufficienti a suffragarla, ovvero la carenza di esse (cfr. Cass. V, 9/3/2011, n. 5583)”.

7.3- Quanto poi alla dedotta violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32 e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, in relazione all’art. 2697 c.c. per avere la sentenza impugnata applicato la presunzione di legge a tutti i movimenti bancari, senza escludere quelli che sarebbero stati giustificati dalla perizia, rileva la Corte che il vizio di violazione di legge rilevabile in cassazione attiene solo alla deduzione di un’erronea ricognizione e/o interpretazione da parte del giudice di merito della norma di legge e non invece alla prospettazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta (risultanze di causa), che non concerne la corretta interpretazione della legge ma la valutazione di merito della valenza dimostrativa del quadro probatorio acquisito, che èsottratta al sindacato di legittimità (v., per tutte, Cass. Sez. 1 -, Ordinanza n. 3340 del 05/02/2019 Rv. 652549 – 02).

8.- Il quinto motivo di ricorso, infine, non coglie la ratio decidendi del capo della sentenza cui si riferisce (non inerenza dei costi relativi ad immobili siti in città diverse da quella ove si trova la sede legale della società), consistente nel fatto che i costi non riconosciuti si riferiscono ad immobili “non in uso” alla società, per cui la circostanza che questa li avesse locati per conto terzi, invocata dalla ricorrente sotto il profilo del vizio di motivazione, non è idonea a dimostrarne l’uso diretto. Sotto altro profilo, poi, il motivo propone una rivisitazione del materiale probatorio acquisito, ai fini di una diversa valutazione di merito, inammissibile in sede di legittimità.

9- In conclusione, per effetto delle considerazioni che precedono, il ricorso di cui all’intestazione deve essere rigettato. Le spese processuali, come liquidate in dispositivo, seguono alla soccombenza. Deve darsi atto, infine, della sussistenza dei presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato.

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate in Euro 7.000 (settemila) complessivi; dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 5 marzo 2020.

Depositato in cancelleria il 17 settembre 2020

 

 

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