Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19382 del 17/09/2020

Cassazione civile sez. trib., 17/09/2020, (ud. 05/03/2020, dep. 17/09/2020), n.19382

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Consigliere –

Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. CASTORINA Rosaria Maria – Consigliere –

Dott. DINAPOLI Marco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 1444/2013 R.G. proposto da:

C.T.A. Ufficio s.r.l., in persona del legale rappresentante

pro-tempore, rappresentata e difesa dall’Avv. Claudio Preziosi, con

questi elettivamente domiciliata in Roma, presso la Cancelleria di

questa Corte, giusta procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso

la quale è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Campania n. 285/04/12, depositata il 15 maggio 2012.

Udita la relazione svolta dal Consigliere Marco Dinapoli nella camera

di consiglio del 5 marzo 2020.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

1.1- CTA Ufficio s.r.l., in persona del suo legale rappresentante pro-tempore, ricorre avverso un avviso di accertamento relativo all’anno di imposta 2006, con cui vengono ripresi a tassazione costi non inerenti (Euro 15.490,08), costi non deducibili (Euro 13.23,48), fatture per operazioni inesistenti (Euro 184.641,00).

1.2- La Commissione tributaria provinciale di Avellino, con sentenza n. 89/05/2011 del 25 gennaio 2011, accoglie il ricorso, ritenendo non provati i rilievi contestati dall’Ufficio. Propone appello l’Agenzia delle entrate.

1.3- La Commissione tributaria regionale della Campania, con la sentenza indicata in epigrafe, accoglie l’appello, riforma la sentenza di primo grado e conferma l’accertamento. Specifica in motivazione:

1.3.1- che la ripresa a tassazione dei costi non inerenti è giustificata dalla riduzione al 50% delle spese per il mantenimento della sede, perchè utilizzata promiscuamente anche da altra società;

1.3.2- quanto ai costi indeducibili, che, avendo la società ammesso l’erronea deduzione, detta circostanza avrebbe dovuto essere rilevata dalla sentenza di primo grado;

1.3.3- quanto alle fatture per operazioni oggettivamente inesistenti, che la fondatezza del’addebito emerge dalla falsità della partita Iva indicata dalle fatture, dall’anomalia del pagamento, dalla sentenza emessa dal Tribunale penale di Nola n. 516/10 RG del 22 dicembre 2010 nei confronti di tale N.A., che aveva emesso le fatture contestate.

1.4- Avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale C.T.A. Ufficio s.r.l. ricorre per cassazione con 4 motivi, chiedendone l’annullamento, con ogni conseguenza anche in ordine alle spese.

1.5- l’Agenzia delle entrate resiste e deposita controricorso con cui contrasta l’avverso ricorso, chiedendone il rigetto, vinte le spese.

1.6- C.T.A. Ufficio deposita memoria ex art. 378 c.p.c., con cui riprende ed illustra ulteriormente i motivi di ricorso già formulati in precedenza.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

2.1- Il primo motivo di ricorso denunzia violazione o falsa applicazione degli artt. 2727 e 2729 c.c., art. 115 c.p.c., in relazione all’artt. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, perchè, con riferimento alle operazioni ritenute inesistenti, la sentenza ha valutato solo tre elementi indiziari, omettendo di valutare gli elementi indiziari di segno contrarlo prospettati dalla contribuente; in tal modo avrebbe violato le regole del codice civile sulla valutazione delle presunzioni, incorrendo anche nel vizio di violazione dell’art. 115 c.p.c., per avere adottato la decisione sulla base di prove non utilizzabili.

2.2- Il secondo motivo di ricorso denunzia vizio di motivazione (art. 360 c.p.c., n. 5, vecchio testo), perchè la sentenza impugnata nella decisione sulle operazioni ritenute insussistenti non avrebbe sottoposto a valutazione i fatti indicati dalla ricorrente a prova contraria.

2.3- Il terzo motivo di ricorso denunzia la nullità della decisione sulle operazioni ritenute inesistenti (art. 360 c.p.c., n. 4), per violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 2697 c.c., lamentando anche sotto questo aspetto l’omessa valutazione delle prove contrarie proposte dalla contribuente in sede di merito.

2.4- Il quarto motivo di ricorso, infine, lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, il vizio di motivazione della sentenza impugnata, perchè, con riferimento al disconoscimento del 50% dei costi relativi al mantenimento della sede legale, la sentenza avrebbe omesso di valutare che dal PVC della G.d.F. emerge che i costi sono stati integralmente spesati dalla CTA Ufficio s.r.l..

3.1- Il primo motivo di ricorso è infondato sotto entrambi i profili proposti. Non sussiste infatti la violazione di legge lamentata in quanto la sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione dei principi di diritto elaborati da questa Corte circa l’interpretazione e l’applicazione delle norme codicistiche sulla prova per presunzioni, in base ai quali la valutazione della valenza dimostrativa degli indizi va effettuata dapprima individualmente e poi nel loro complesso (Cass. n. 9108 del 6/6/2012; Cass. n. 17183 del 26/8/2015; Cass., sez. 6-5, ord. n. 5374 del 2/3/2017). Infatti la sentenza ha indicato e valutato, secondo le modalità descritte, il materiale indiziario sulla base del quale ha espresso il proprio giudizio di merito (v. sopra punto 1.3.3).

3.2- Non ricorre neanche la dedotta violazione dell’art. 115 c.p.c., che è limitata ai soli casi, che nella fattispecie all’evidenza non ricorrono, in cui il giudice di merito:

– abbia imposto un onere probatorio ad una parte diversa da quella cui il medesimo onere spetterebbe;

– abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti ovvero disposte d’ufficio al di fuori o al di là dei limiti in cui ciò è consentito dalla legge;

– abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova che invece siano soggetti a valutazione (cfr. Cass. n. 27000 del 2016).

3.3- Questo motivo di ricorso presenta, per altro, vistosi profili di inammissibilità, perchè denunzia solo apparentemente la violazione delle norme sulla valutazione delle presunzioni, mentre in realtà contrasta la valutazione del giudice a quo sulla gravità, precisione e concordanza degli elementi presuntivi, che è una valutazione di merito, insuscettibile di subire una nuova e diversa valutazione in sede di giudizio di legittimità (cfr. Cass. n. 3267 del 2008, Cass. n. 3267 del 2008).

4.1- Anche il secondo motivo di ricorso è infondato, oltre a presentare i medesimi profili di inammissibilità rilevati sopra, in quanto attinente al merito della decisione, piuttosto che al vizio della motivazione della sentenza.

4.2- Peraltro, questa Corte ha ritenuto non ricorrere il vizio di omissione di pronuncia quando la motivazione della sentenza impugnata accolga una tesi incompatibile con quelle altrimenti prospettate, implicandone il rigetto. In particolare non ricorre vizio di omessa pronuncia su punto decisivo qualora la soluzione negativa di una richiesta di parte sia implicita nella costruzione logico-giuridica della sentenza, incompatibile con la detta domanda (v. Cass., 18/5/1973, n. 1433; Cass., 28/6/1969, n. 2355). Quando cioè la decisione adottata in contrasto con la pretesa fatta valere dalla parte comporti necessariamente il rigetto di quest’ultima, anche se manchi una specifica argomentazione in proposito (v. Cass., 21/10/1972, n. 3190; Cass., 17/3/1971, n. 748; Cass., 23/6/1967, n. 1537). Secondo risalente insegnamento di questa Corte, infatti, al giudice di merito non può imputarsi di avere omesso l’esplicita confutazione delle tesi non accolte o la particolareggiata disamina degli elementi di giudizio non ritenuti significativi, giacchè nè l’una nè l’altra gli sono richieste, mentre soddisfa l’esigenza di adeguata motivazione che il raggiunto convincimento, come nella specie, risulti da un esame logico e coerente, non già di tutte le prospettazioni delle parti e di tutte le emergenze istruttorie, bensì solo di quelle ritenute di per sè sole idonee e sufficienti a giustificarlo. In altri termini, non si richiede al giudice del merito di dar conto dell’esito dell’avvenuto esame di tutte le prove prodotte o comunque acquisite e di tutte le tesi prospettategli, ma di fornire una motivazione logica ed adeguata dell’adottata decisione, evidenziando le prove ritenute idonee e sufficienti a suffragarla, ovvero la carenza di esse (Cass. 23 gennaio 2020 n. 2153; cfr. Cass. V, 9 marzo 2011, n. 5583)”.

5.- Il terzo motivo di ricorso è inammissibile. Parte ricorrente si duole ancora una volta, con questo motivo, dell’omessa valutazione da parte del giudice a quo delle questioni da lei proposte in sede di merito per contrastare la pretesa tributaria. Non chiarisce però in che modo da detta pretesa omissione deriverebbe la denunziata violazione delle regole legali sulla ripartizione dell’onere della prova nè quella del principio della corrispondenza fra il chiesto e pronunziato. Perciò il motivo di ricorso, ancorchè formulato per violazione dell’art. 112 c.p.c., e art. 2697 c.c., in realtà contesta il merito della decisione da parte del giudice di appello, mediante l’allegazione di un erronea ricognizione della fattispecie concreta da parte sua rispetto alle risultanze di causa; questione che invece non attiene all’interpretazione della legge ma alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità (v., per tutte, Cass. Sez. 1 -, Ordinanza n. 3340 del 05/02/2019 Rv. 652549 – 02).

6.- Il quarto motivo di ricorso, del tutto assimilabile al secondo, deve condividerne la sorte per gli stessi motivi, indicati sopra ai punti 4.1 e 4.2.

7.- In conclusione, per effetto delle considerazioni che precedono, il ricorso di cui all’intestazione deve essere rigettato. Le spese processuali, come liquidate in dispositivo, seguono alla soccombenza.

PQM

la Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate in Euro 5.600 (cinquemilaseicento) complessivi.

Così deciso in Roma, il 5 marzo 2020.

Depositato in Cancelleria il 17 settembre 2020

 

 

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