Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19380 del 30/09/2016

Cassazione civile sez. III, 30/09/2016, (ud. 24/02/2016, dep. 30/09/2016), n.19380

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHIARINI Maria Margherita – Presidente –

Dott. SPIRITO Angelo – Consigliere –

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – rel. Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 12989/2013 proposto da:

H.R.E., (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

LIMA 7, presso lo studio dell’avvocato UGO LECIS, che lo rappresenta

e difende giusta procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

F.D., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DI

PIETRALATA 320-D, presso lo studio dell’avvocato GIGLIOLA MAZZA

RICCI, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato BRUNO

PIETRO ARRIGONI giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

e contro

H.S.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 288/2013 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 23/01/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

24/02/2016 dal Consigliere Dott. GIACOMO TRAVAGLINO;

udito l’Avvocato GIGLIOLA MAZZA RICCI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FUZIO Riccardo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

I FATTI

F.D. convenne dinanzi al Tribunale di Milano gli odierni ricorrenti all’esito di un giudizio cautelare introdotto ex art. 671 c.p.c. (e conclusosi con un provvedimento di sequestro conservativo per la somma di 800 mila euro, confermato in sede di reclamo ex art. 669 terdecies c.p.c.), chiedendone la condanna al risarcimento dei danni patiti a seguito del loro illecito comportamento.

Espose l’attore di aver confidato a H.D. (al quale era legato da un’amicizia di vecchia data) di avere in corso un’importante operazione immobiliare, che prevedeva la consegna di 4 appartamenti nel (OMISSIS), e di aver appreso dal predetto (titolare, insieme con la sua famiglia, del bar (OMISSIS) e di altre società operanti nel settore alberghiero) che, attraverso la cessione ad una delle società di sua pertinenza dei contratti preliminari stipulati con il costruttore, avrebbe potuto godere di rilevanti benefici fiscali.

Indottosi alla predetta cessione, egli aveva poi via via provveduto all’erogazione di somme di denaro (per titoli del tutto leciti ed in virtù di prospettazioni di controparte rivelatesi poi false) per il complessivo importo di 800 mila Euro, senza peraltro ottenere nè i declamati benefici, nè tantomeno la restituzione di quanto versato all’ H..

Il giudice di primo grado, previa separazione del giudizio nei confronti delle convenute Oak Lounge bar Milano s.r.l. e Oak Italiana s.r.l. a seguito dell’intervenuto fallimento delle dette società e previo rigetto dell’eccezione di difetto di giurisdizione sollevata da tutti i convenuti, accolse la domanda ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 2043 c.c., condannando i fratelli H.S. e R. al pagamento, in favore dell’attore, della somma richiesta.

La corte di appello di Milano, investita dell’impugnazione proposta da H.R., disposta l’integrazione del contraddittorio nei confronti del fratello S., la rigettò.

Per la cassazione della sentenza della Corte meneghina H.R. ha proposto ricorso sulla base di 2 motivi di censura illustrati da memoria.

Resiste con controricorso F.D..

Diritto

LE RAGIONI DELLA DECISIONE

Il ricorso è infondato.

Con il primo motivo, si denuncia violazione, falsa ed erronea applicazione dell’art. 2043 c.c., con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio.

Il motivo è inammissibile.

Nonostante la formale rappresentazione della censura in esame sotto la veste della violazione di legge, il ricorrente lamenta, nella sostanza, un preteso difetto di motivazione, rilevante, in ipotesi, ai diversi sensi di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5.

I due profili di doglianza rappresentati a questa Corte, difatti (mancata valorizzazione degli elementi di prova che avrebbero condotto, se correttamente valutati, alla esclusione, da parte della Corte territoriale, di qualsivoglia rilevanza della condotta del ricorrente ai sensi dell’art. 2043 c.c.; erroneità del giudizio di rilevanza causale della condotta del medesimo rispetto all’evento di danno lamentato), costituiscono, in realtà, una articolata e complessa censura mossa esclusivamente all’interpretazione e alla valutazione compiuta dalla Corte territoriale delle risultanze di causa – valutazione del tutto scevra da vizi logico-giuridici, che questo collegio interamente condivide -, sollecitando così, contra legem (e così anelando a superare i limiti oggettivi del giudizio di Cassazione), null’altro che un inammissibile riesame del merito della causa (tra le molte, in tali sensi, Cass. 1312/2012).

Con il secondo motivo, si denuncia violazione, falsa ed erronea applicazione dell’art. 2055 c.c., con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio.

Il motivo con il quale si lamenta una pretesa, mancata valutazione dell’autonomia delle condotte tenute dai convenuti e della conseguente impredicabilità di qualsivoglia carattere di unitarietà delle medesime, presupposto irredimibilmente necessario per l’applicazione dell’art. 2055 c.c. – è infondato.

Per costante e consolidata giurisprudenza di questa Corte regolatrice, una corretta applicazione del principio dell’unitarietà del fatto dannoso conduce alla legittima affermazione di responsabilità solidale tra gli autori dell’illecito avendo riguardo soprattutto alla posizione del danneggiato, pur in presenza di condotte distinte, plurime ed eterogenee, sempre che sussista (come ha ben dimostrato, nella specie, la Corte territoriale nella motivazione della sua pronuncia, valorizzando opportunamente e condivisibilmente il profilo funzionalmente univoco delle condotte censurate, sia pur nella differente ripartizione dei compiti tra i due fratelli, volte all’unico, illecito scopo di ottenere i versamenti sia pur diacronici di un’ingente somma di denaro da parte dell’odierno resistente) un vincolo di interdipendenza tra le azioni od omissioni – tutte concorrenti in maniera causalmente efficiente alla sua produzione – e l’evento di danno, senza che assuma rilievo l’impossibilità di distinguere, sul piano etiologico, la diversa efficienza dei singoli comportamenti illeciti (la diversa incidenza e la diversa gravità degli stessi assumendo rilievo solo ai fini dell’azione di regresso tra i coautori dell’illecito).

Il ricorso è pertanto rigettato.

Le spese del giudizio di Cassazione seguono il principio della soccombenza.

Liquidazione come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di Cassazione, che si liquidano in complessivi Euro 20.200, di cui Euro 200 per spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il controricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 24 febbraio 2016.

Depositato in Cancelleria il 30 settembre 2016

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