Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1938 del 27/01/2011

Cassazione civile sez. lav., 27/01/2011, (ud. 14/12/2010, dep. 27/01/2011), n.1938

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FOGLIA Raffaele – Presidente –

Dott. CURCURUTO Filippo – Consigliere –

Dott. ZAPPIA Pietro – Consigliere –

Dott. MELIADO’ Giuseppe – Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 11129/2007 proposto da:

AERO SEKUR S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA BOCCA DI LEONE 78, presso lo

studio dell’avvocato IRACE Ernesto, che la rappresenta e difende,

giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

S.M., già elettivamente domiciliata in ROMA, VIA A.

BERTOLONI 29, presso lo studio dell’avvocato SQUILLANTE Iacopo, che

la rappresenta e difende unitamente all’avvocato ARTIOLI DONATELLA,

giusta delega in atti e da ultimo domiciliata d’ufficio presso LA

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2067/2006 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 10/04/2006 R.G.N. 931/05;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

14/12/2010 dal Consigliere Dott. ROSA ARIENZO;

udito l’Avvocato IRACE ERNESTO;

Udito l’Avvocato ARTIOLI DONATELLA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FEDELI Massimo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del Tribunale di Latina 19.10.2004, su ricorso di S. M., era stata ritenuta la violazione della procedura di mobilità intrapresa dalla società AERO SEKUR p.a., per omessa comunicazione agli uffici competenti ed alle associazioni sindacali di categoria della puntuale indicazione delle modalità con le quali erano stati applicati i criteri di scelta di cui alla L. n. 223 del 1991, art. 5, comma 1, essendo stato comunicato l’elenco dei lavoratori collocati in mobilità, con l’indicazione per ciascuno del nominativo, del luogo di residenza, della qualifica, del livello di inquadramento, dell’età e del carico di famiglia, ma senza specificazione delle modalità con cui erano stati applicati i criteri di scelta adottati, al che doveva conseguire la declaratoria di inefficacia del licenziamento, con diritto della ricorrente ad essere reintegrata nel posto di lavoro e condanna della società al pagamento delle retribuzioni maturate fino alla data di effettiva reintegra, oltre che al pagamento dei contributi previdenziali ed assistenziali.

Con sentenza della Corte di Appello di Roma resa il 10.4.2006 veniva respinto l’appello proposto dalla società. Osservava la corte territoriale che dovevano ritenersi inadeguate le comunicazioni inviate agli uffici ed alle organizzazioni competenti, atteso che le stesse non specificano come avesse operato il criterio selettivo delle esigenze tecnico-produttive ed organizzative e, nell’ambito delle stesse, di quello collegato alla sussistenza dei requisiti soggettivi di età e contribuzione, tali da consentire l’accesso al trattamento pensionistico nel corso o a conclusione del periodo di mobilità.

Propone ricorso per Cassazione la società notificato il 6.4.2007 ed affidato a tre motivi di impugnazione.

Resiste, con controricorso, la S..

La società ha depositato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo la società deduce la violazione e falsa applicazione della L. n. 223 del 1991, art. 5 e dell’art. 1362 c.c., e segg., in relazione all’accordo sindacale del 26.11.2001 (art. 360 c.p.c., n. 3). Deduce, poi, l’insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., n. 5).

Si sofferma sulla natura di “contratti gestionali” degli accordi in oggetto, che operano non in deroga ai criteri di legge, ma fissando convenzionalmente i criteri concordati, in mancanza dei quali operano i primi, ed evidenzia come nella specie si sia fatto riferimento ad un unico criterio (l’essere prossimi a pensione, in virtù del possesso dei requisiti di anzianità anagrafica e contributiva) concordato in sede di accordo sindacale. Erroneamente la corte territoriale aveva affermato che i requisiti di età e contribuzione dovessero essere applicati in unione al criterio rappresentato dalle esigenze tecnico produttive, e che la società aveva omesso di indicare come in concreto fosse stato applicato il criterio selettivo costituito dalle esigenze tecnico produttive.

Secondo la ricorrente le esigenze tecnico produttive ed organizzative non costituivano un criterio da applicare e rispettare in unione a quello convenzionalmente pattuito. La società formula ai riguardo specifico quesito di diritto.

Lamenta, poi, con il secondo motivo, la violazione e falsa applicazione della L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 9; la violazione e falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c. (art. 360 c.p.c., n. 3), nonchè insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., n. 5).

Sostiene la pacifica legittimità del criterio convenzionale consistente nell’accesso al trattamento pensionistico e l’idoneità dello stesso ad individuare i lavoratori da licenziare ed a formare una graduatoria rigida senza alcun margine di discrezionalità da parte del datore di lavoro. La S. era stata scelta nell’ambito dei profili professionali dell’elenco allegato all’accordo, onde non si poneva un problema di modalità di applicazione del criterio concordato, che non poteva che essere applicato in modo trasparente e controllabile. Anche a conclusione di tale censura, la ricorrente società pone quesito di diritto.

Infine, deduce, con il terzo motivo, la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., in materia di ripartizione degli oneri probatori (art. 360 c.p.c., n. 3).

Assume la società che incombe al dipendente l’onere di indicare i dipendenti illegittimamente favoriti.

Osserva la Corte, in linea generale, che il criterio del prepensionamento previsto nell’accordo sindacale, in deroga ai criteri legali, congiuntamente con il criterio delle esigenze tecnico produttive, risponde ad indubbi criteri di razionalità, tenuto conto delle finalità perseguite mediante l’iter procedurale regolato dagli della L. n. 223 del 1991, artt. 4 e 5 e che risponde ad equità un sistema di riduzione del personale incentrato sull’esigenza di una più efficiente riorganizzazione dell’impresa – che sta alla base del criterio tecnico produttivo – non disgiunta da quella di addossare le ricadute degli effetti negativi di detta riduzione sui soggetti che, per essere prossimi a pensione, hanno la capacità economica di meglio ammortizzare detti effetti (v., in tal senso, Cass,, sez. lav., 21.9.2006 n. 20455), Tanto premesso, i giudici del merito, sul presupposto che nell’accordo del 26.11.2001 era stato previsto che l’individuazione dei lavoratori da collocare in mobilità sarebbe avvenuta, limitatamente a n. 9 unità, tenendo conto delle esigenze tecnico- produttive ed organizzative dell’azienda e, nell’ambito delle stesse, tenendo conto dei requisiti soggettivi di età e contribuzione dei lavoratori, tali da consentire l’accesso al trattamento pensionistico nel corso o a conclusione del periodo di mobilità, hanno ritenuto che il secondo criterio fosse stato previsto in unione a quello rappresentato dalle esigenze tecnico-produttive. Ciò in base alla concreta ed oggettiva previsione che, con riguardo alle 14 unità cui l’accordo aveva limitato la procedura di mobilità, per cinque doveva valere il rispetto dei criteri legali di cui alla L. n. 223 del 1991, art. 5, laddove riguardo agli ulteriori 9 “a superamento ed in sostituzione integrale dei criteri previsti alla L. n. 223 del 1991,m art. 5, comma 1” la scelta sarebbe stata operata “tenendo conto delle esigenze tecnico-produttive ed organizzative dell’azienda e, nell’ambito delle stesse, dei requisiti soggettivi di età e contribuzione dei lavoratori, tali da consentire l’accesso al trattamento pensionistico nel corso od a conclusione del periodo di mobilità”. Tale duplice previsione avrebbe imposto alla società di indicare come in concreto fosse stato applicato il criterio selettivo costituito dalle esigenze tecnico-produttive e poi, all’interno dei settori individuati, come fossero stati prescelti i dipendenti in applicazione del criterio dell’età e contribuzione.

La prima delle censure formulate dalla società si fonda sulla ritenuta erroneità della interpretazione dell’accordo 26.11.2001, sostenendosi che la L. n. 223 del 1991, art. 5, menziona in due diverse sedi le esigenze tecnico produttive ed organizzative: nella prima parte del comma 1, quale criterio applicativo dei criteri di scelta concordati e, nella seconda parte dello stesso comma 1, quale criterio di scelta legale concorrente con i carichi di famiglia e l’anzianità; si assume che la menzione contenuta nell’accordo alle “esigenze tecnico produttive ed organizzative” non aveva riguardo alla determinazione di un “criterio” da applicare e rispettare in unione a quello convenzionalmente pattuito tra le parti sociali.

Assume la ricorrente che il riferimento alle esigenze tecnico organizzative rappresentava la dimostrazione che le parti avevano deciso, avvalendosi del potere ad esse riconosciuto dal legislatore del 1991, che le dette esigenze costituivano la categoria utilizzabile in astratto per la definizione dei lavoratori da collocare in mobilità secondo l’individuazione, da compiersi nell’ambito della stessa, di un criterio oggettivo certo e non suscettibile di creare equivoci, quale doveva ritenersi quello della possibilità di accedere al trattamento pensionistico in ragione dei requisiti di età e contribuzione.

Non ritiene questa Corte che la censura colga nel segno, atteso che la interpretazione della clausola contrattuale fornita dai giudici di merito risulta coerente con la precisa esplicitazione dell’intento delle parti di sostituire e superare integralmente i criteri previsti alla L. n. 223 del 1991, art. 5, comma 1, attraverso la previsione della considerazione delle esigenze tecnico produttive ed organizzative e, nell’ambito delle stesse, dei requisiti ulteriori sopra menzionati.

E’ evidente che, laddove si accenna alla sostituzione dei criteri legali, quelli concordati dalle parti sociali non possano che rappresentare altrettanti criteri alternativi, essendo sicuramente arbitraria la qualificazione delle esigenze tecnico produttive ed organizzative come mero “riferimento” nell’ambito del quale operare la selezione sulla base del criterio dell’anzianità anagrafica e contribuitiva e la riconduzione, in tal guisa, di tali esigenze tecnico produttive ed organizzative alla previsione di cui alla prima parte della L. n. 223 del 1991, art. 5, comma 1. Ritiene la Corte che il primo richiamo contenuto nella norma citata alle “esigenze tecnico produttive ed organizzative del complesso aziendale” serva a delimitare, in ragione dei motivi determinativi della riduzione del personale ed in coerenza con essi, l’ambito entro il quale operare la scelta dei lavoratori, laddove, una volta individuato l’ambito entro il quale operare la selezione, debbano, poi, applicarsi; “criteri” concreti e tra questi, nello specifico caso, le esigenze tecnico produttive ed organizzative riferite ai singolo posto di lavoro. E’ stato, invero, anche in dottrina evidenziato che le esigenze dell’impresa, nel primo richiamo, vengono in rilievo con riferimento ai posti soppressi, e nel secondo richiamo con riferimento ai posti di lavoro che rimangono.

In coerenza con quanto concordato in sede sindacale, si manifestava, pertanto, concretamente l’esigenza di comunicare le modalità applicative del criterio, individuato come tale, delle esigenze tecnico produttive ed organizzative, al fine di rendere trasparente l’iter procedurale che aveva condotto ad individuare in base allo stesso il posto di lavoro della S., per la quale ricorrevano poi i requisiti di anzianità anagrafica e contributiva utili al prepensionamento.

In relazione alla portata ed alla natura del tipo di accordo intercorso tra le parti sociali deve osservarsi che il contratto collettivo di diritto comune può avere non solo una funzione normativa – in quanto volto a conformare il contenuto dei contratti individuali di lavoro -, ovvero una funzione obbligatoria – quale si esprime nella instaurazione di rapporti obbligatori destinati a vincolare soltanto le parti stipulanti lo stesso contratto collettivo (organizzazioni sindacali dei lavoratori, da un lato, e, dall’altro, organizzazioni dei datori di lavoro o, nel caso di contratto aziendale, lo stesso datore di lavoro), ma anche una funzione gestionale, diretta essenzialmente alla composizione di conflitti (di diritti o di interessi) in forma di transazione o di accertamento, che spiega la propria efficacia diretta nei confronti delle parti stipulanti – anche se, indirettamente, può incidere anche su singoli lavoratori – e non è soggetta ai limiti, circa l’efficacia “erga omnes”, stabiliti costituzionalmente per i contratti collettivi. Ciò posto- e il rilievo risulta decisivo in quanto di carattere assorbente -, premesso che a tale ultima categoria appartiene l’accordo invocato, l’interpretazione in ordine alla funzione del contratto e alla sua efficacia soggettiva, oltre che al suo contenuto, è accertamento di fatto, riservato a giudice del merito, e, in quanto tale, può essere censurata, in sede di legittimità, soltanto per violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale oppure per vizio di motivazione, con l’onere tuttavia, per il ricorrente, di indicare specificamente il punto e il modo in cui l’interpretazione si discosti dai canoni di ermeneutica o la motivazione relativa risulti obiettivamente carente o logicamente contraddittoria, non potendo il medesimo ricorrente limitarsi a contrapporre interpretazioni o argomentazioni alternative, o comunque diverse, rispetto a quelle proposte dal giudice di merito (cfr., in tali termini, Cass. 22.6.2004 n. 11634). I rilievi in merito formulati dalla ricorrente risultano inidonei a configurare i vizi deducibili in tema di interpretazione dei contratti, onde la relativa censura risulta infondata anche per la parte che riguarda propriamente il profilo interpretativo.

Il secondo motivo si rivela inconsistente nella misura in cui si riconnette all’assunto, disatteso con riguardo al primo motivo di impugnazione, che il criterio di scelta della vicinanza al pensionamento fosse l’unico previsto dall’accordo. E’ ben vero condivisibile l’affermazione che, in materia di licenziamenti collettivi – come sottolineato nella sentenza della Corte costituzionale n. 268 del 1994 – la determinazione negoziale dei criteri di scelta dei lavoratori da licenziare (che si traduce in accordo sindacale che ben può essere concluso dalla maggioranza dei lavoratori direttamente o attraverso le associazioni sindacali che li rappresentano, senza la necessità dell’approvazione dell’unanimità), poichè adempie ad una funzione regolamentare delegata dalla legge, deve rispettare non solo il principio di non discriminazione, sanzionato dalla L. n. 300 del 1970, art. 15, ma anche il principio di razionalità, alla stregua del quale i criteri concordati devono avere i caratteri dell’obiettività e della generalità oltre a dover essere coerenti con il fine dell’istituto della mobilità dei lavoratori; ugualmente condivisibile che debba considerarsi razionalmente adeguato il criterio della prossimità al trattamento pensionistico con fruizione di “mobilità lunga”, oltretutto menzionato come esempio nella suddetta sentenza costituzionale, stante la giustificazione costituita dal minore impatto sociale dell’operazione e il potere dell’accordo di cui alla L. n. 223 del 1991, art. 5, comma 1, di sostituire i criteri legali e di adottare anche un unico criterio di scelta, a condizione che il criterio adottato escluda qualsiasi discrezionalità del datore di lavoro.

Tuttavia, per quanto argomentato, tale criterio doveva ritenersi previsto in unione a quello delle esigenze tecnico produttive ed organizzative, sicchè non risulta conferente il richiamo a consolidato principio affermato in sede di legittimità secondo cui, in materia di collocamento in mobilità e di licenziamenti collettivi, il criterio di scelta adottato nell’accordo sindacale tra datore di lavoro e organizzazioni sindacali può anche essere unico e consistere nella vicinanza al pensionamento, in quanto esso permette di formare una graduatoria rigida e può essere applicato e controllato senza alcun margine di discrezionalità da parte del datore di lavoro (Cass., sez. lav. 24.4.2007 n. 9866). Anche in relazione a tale ipotesi, con affermazione maggiormente valida nella specie in cui il criterio andava applicato in unione con l’altro delle esigenze tecnico produttive ed organizzative, è stato asserito che, ove quello della vicinanza al pensionamento sia l’unico criterio prescelto e lo stesso, applicato nella realtà, si riveli insufficiente a individuare i dipendenti da licenziare, esso diviene automaticamente illegittimo se non combinato con un altro criterio di selezione interna (cfr., Cass 9866/2007 da ultimo citata).

Deve, pertanto, ritenersi priva di fondamento la censura alla cui stregua doveva ritenersi sufficiente che la scelta fosse stata operata nell’ambito dei profili professionali dell’elenco allegato all’accordo, e che non si poneva, contrariamente a quanto affermato dalla corte territoriale, un problema di modalità di applicazione dei criteri e di comunicazione delle stesse.

Infine il motivo di censura riferito alla violazione delle regole di ripartizione dell’onere probatorio sul rilievo che sulla S. sarebbe gravato quello di indicare i dipendente illegittimamente favoriti, deve ugualmente disattendersi. E’ stato, invero, affermato dalla S. C, sia pure con riferimento ad un caso di applicazione dei criteri legali di scelta, che vero è che, in tema di licenziamento collettivo, mentre grava sul datore di lavoro l’onere di allegazione dei criteri di scelta e la prova della loro piena applicazione nei confronti dei lavoratori licenziati, con indicazione, in relazione a ciascuno di questi ultimi, dello stato familiare, dell’anzianità e delle mansioni, incombe al lavoratore dimostrare l’illegittimità della scelta, con indicazione dei lavoratori in relazione ai quali la stessa sarebbe stata falsamente o illegittimamente realizzata, ma è stato anche precisato che, tuttavia, ove il datore di lavoro si sia limitato a comunicare dei criteri assolutamente vaghi, inidonei a consentire at lavoratore di contestare le scelte operate e di comparare la propria posizione con quella degli altri dipendenti che hanno conservato i posto di lavoro, nessun onere è ravvisabile in capo al lavoratore (Cass. sez. lav. 23.12.2009 n. 27165). A tale principio deve pertanto uniformarsi la Corte in un caso, quale quello in esame, in cui si contesta proprio la carente comunicazione delle modalità applicative dei criteri di scelta concordati.

In definitiva, alla stregua delle considerazioni svolte, il ricorso proposto deve essere respinto, laddove le spese del presente giudizio, in applicazione della regola della soccombenza, cedono a carico della società ricorrente.

P.Q.M.

La Corte così provvede:

rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento delle spese di lite de presente giudizio, liquidate in Euro 18,00 per esborsi, Euro 3.000,00 per onorario, oltre spese generali, I.V.A. e C.P.A. come per legge.

Così deciso in Roma, il 14 dicembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 27 gennaio 2011

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