Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19378 del 07/07/2021

Cassazione civile sez. I, 07/07/2021, (ud. 21/04/2021, dep. 07/07/2021), n.19378

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco A. – Presidente –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – rel. Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 17845/2015 R.G. proposto da:

G.M., rappresentato e difeso dagli Avv. Maria Letizia

Spasari, e Maria Luisa Jaus, con domicilio eletto presso lo studio

di quest’ultima in Roma, via C. Mirabella, n. 18;

– ricorrente –

contro

ALITALIA SERVIZI S.P.A. IN AMMINISTRAZIONE STRAORDINARIA, in persona

dei commissari straordinari p.t. Prof. Avv. A.S., e

B.G., e Prof. Dott. F.G., rappresentata e

difesa dall’Avv. Daniela De Rosa, con domicilio eletto in Roma, via

Vigliena, n. 2;

– controricorrente –

avverso il decreto del Tribunale di Roma depositato il 12 giugno

2015;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 21 aprile

2021 dal Consigliere Dott. Guido Mercolino.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con decreto del 12 giugno 2015, il Tribunale di Roma ha rigettato l’opposizione proposta da G.M. avverso lo stato passivo dell’amministrazione straordinaria dell’Alitalia Servizi S.r.l., avente ad oggetto l’ammissione al passivo in prededuzione di un credito di Euro 151.399,00, a titolo di indennità supplementare al trattamento di fine rapporto prevista dall’accordo sindacale del 27 aprile 1995 in caso di risoluzione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato motivata dalle situazioni di cui alla L. 23 luglio 1991, n. 223, da amministrazione straordinaria ai sensi della L. 3 aprile 1979, n. 95 o messa in liquidazione nei casi previsti dal codice civile.

Premesso che non era stata contestata l’applicabilità dell’accordo sindacale, riferibile anche all’amministrazione straordinaria dell’Alitalia Servizi, per effetto della trasfusione della relativa disciplina nel D.Lgs. n. 8 luglio 1999, n. 270 (come modificato dal D.L. 23 dicembre 2003, n. 347, convertito in L. 18 febbraio 2004, n. 39 e dal D.L. 28 agosto 2008, n. 134, convertito in L. 27 ottobre 2008, n. 166), e rilevato che il ricorrente, assunto a tempo indeterminato con la qualifica di dirigente e con rapporto di lavoro soggetto alla disciplina del CCNL per i dirigenti dell’industria, era stato licenziato a seguito della chiusura dell’attività produttiva dell’azienda, collocata in amministrazione straordinaria, il Tribunale ha osservato che il D.L. n. 347 del 2003, art. 5, comma 2-ter, prevede, in deroga ai principi civilistici, una speciale ipotesi di trasferimento dei lavoratori, realizzabile anche attraverso il licenziamento e la successiva riassunzione, nella quale il licenziamento costituisce soltanto una modalità di trasferimento del lavoratore, e non può quindi assumere quei profili di illegittimità che costituiscono il sostrato della disciplina negoziale dettata dall’accordo sindacale.

Ritenuto pertanto che l’indennità supplementare è dovuta soltanto nell’ipotesi in cui si verifichi, nell’ambito delle fattispecie indicate dall’accordo, una effettiva cesura nel rapporto di lavoro, il Tribunale ha affermato che incombe al lavoratore che ne chiede la corresponsione l’onere di fornire la prova della mancata riassunzione, precisando che a tal fine non assume rilievo la circostanza che il dipendente sia rimasto disoccupato, ma che egli non sia stato ricollocato nell’ambito della medesima procedura di amministrazione straordinaria.

Quanto poi alla prededucibilità del credito, premesso che la scelta di proseguire il rapporto di lavoro, implicandone la necessità ai fini della continuazione dell’attività d’impresa, comporta l’applicabilità del regime giuridico ed economico che lo caratterizza, in virtù del quale al dirigente è dovuta un’indennità parametrata a quella di preavviso che matura soltanto a seguito della interruzione del rapporto, il Tribunale ha affermato che escludere la collocazione in prededuzione, in virtù della natura indennitaria del credito, equivarrebbe a disapplicare una parte del contratto collettivo senza che lo autorizzi alcuna disposizione, nonchè a trascurare la valutazione di costi e benefici che la procedura è tenuta a compiere nel momento in cui è chiamata a scegliere se proseguire o meno il rapporto di lavoro. Ha aggiunto che escludere la pre-deducibilità significherebbe negare la possibilità di regolazione del credito in sede concorsuale, trattandosi di un credito che sorge interamente al momento della cessazione del rapporto di lavoro, e quindi successivamente all’apertura della procedura.

3. Avverso il predetto decreto il G. ha proposto ricorso per cassazione, articolato in cinque motivi, illustrati anche con memoria. L’Alitalia Servizi ha resistito con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo d’impugnazione, il ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione del D.L. n. 347 del 2003, artt. 4 e 5 e dell’accordo sindacale del 27 aprile 1995, censurando il decreto impugnato per aver ritenuto che il licenziamento senza preavviso motivato dalla cessazione dell’attività imprenditoriale non costituisse prova sufficiente della risoluzione del rapporto di lavoro. Premesso che l’art. 5 cit. riguarda soltanto i dipendenti che contestualmente alla risoluzione del rapporto di lavoro siano stati riassunti presso l’azienda cessionaria, afferma di non rientrare in tale fattispecie, non essendo mai stato riassunto dalla CAI, subentrata all’Alitalia Servizi. Precisato che tale circostanza è comprovata dall’intervenuto versamento da parte della amministrazione straordinaria dell’indennità sostitutiva del preavviso, che non è dovuta in caso di ricollocazione del lavoratore licenziato presso altra impresa, sostiene inoltre che l’indennità supplementare risponde ad una funzione arbitrale, configurandosi come un onere economico posto a carico della impresa che intenda licenziare il dipendente senza che questi possa impugnare il licenziamento.

2. Con il secondo motivo, il ricorrente deduce la violazione e la falsa applicazione del D.L. n. 347 del 2003, artt. 4 e 5 dell’art. 2118 c.c. e dell’accordo sindacale del 27 aprile 1995, ribadendo che la prova della mancata riassunzione da parte della società cessionaria era costituita dall’avvenuto versamento dell’indennità sostitutiva del preavviso, dovuta esclusivamente in caso di licenziamento. Precisato che l’accordo sindacale non prevede alcuna distinzione tra le diverse ipotesi di licenziamento, afferma che l’indennità supplementare, avente la medesima finalità di quella di preavviso e calcolata con modalità identiche, dev’essere erogata al momento del licenziamento senza preavviso del dirigente, nelle ipotesi tassativamente indicate dall’accordo, senza che assumano alcun rilievo le vicende lavorative successive.

3. Con il terzo motivo, il ricorrente lamenta la violazione e la falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., censurando il decreto impugnato nella parte in cui, pur avendo ritenuto che il licenziamento costituisca condizione necessaria e sufficiente per l’acquisto del diritto all’indennità supplementare, ha posto a suo carico la prova della mancata riassunzione da parte della CAI. Rilevato che, secondo lo stesso decreto, il licenziamento con garanzia di riassunzione costituisce un’ipotesi eccezionale, che esclude l’applicabilità dell’accordo sindacale, sostiene che la prova della riassunzione avrebbe dovuto essere posta a carico dell’amministrazione straordinaria, che aveva proposto la relativa eccezione. Precisato di essere stato licenziato soltanto successivamente all’inizio dell’attività della CAI, afferma comunque che l’onere probatorio avrebbe dovuto essere ripartito in base al criterio della vicinanza della prova.

4. Con il quarto motivo, il ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione degli artt. 420 e 421 c.p.c. e del R.D. 16 marzo 1942, n. 267, artt. 98 e 99 nonchè l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, osservando che, nel ritenere non provata la mancata riassunzione da parte dell’impresa cessionaria, il decreto impugnato ha posto a suo carico una prova negativa, riguardante una circostanza non contestata da parte della convenuta e dalla stessa non documentata, senza tenere conto della produzione in giudizio dell’estratto contributivo dell’INPS, dal quale emergeva la totale assenza di versamenti da parte della CAI, e senza sentirlo liberamente in ordine ai fatti di causa.

5. Con il quinto motivo, il ricorrente deduce la nullità del decreto impugnato per violazione e falsa applicazione dell’art. 111 Cost., comma 6, dell’art. 132c.p.c., comma 2, n. 4 e dell’art. 118 disp. att. c.p.c., rilevando la grave illogicità e contraddittorietà della motivazione, nella quale il Tribunale, pur avendo ricollegato il diritto all’indennità al licenziamento ed avendone riconosciuto la prededucibilità, ha posto a suo carico l’onere di provare la mancata riassunzione.

6. Così riassunti i motivi d’impugnazione, va innanzitutto disattesa l’eccezione d’improcedibilità del ricorso per inosservanza dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, sollevata dalla difesa della controricorrente in relazione alla mancata produzione in giudizio del testo integrale dell’accordo collettivo invocato dal ricorrente a sostegno della domanda di ammissione al passivo.

Come ripetutamente affermato da questa Corte, l’onere imposto dalla predetta disposizione dev’essere infatti inteso, conformemente al principio di strumentalità delle forme processuali e nel rispetto dell’art. 111 Cost., letto in coerenza con l’art. 6 della CEDU, in funzione dello scopo di conseguire una decisione di merito in tempi ragionevoli, e può quindi ritenersi adempiuto anche mediante la riproduzione, nel corpo dell’atto d’impugnazione, della sola norma contrattuale sulla quale si basano principalmente le doglianze proposte, a condizione che nei precedenti gradi di giudizio sia stato prodotto il testo integrale del contratto collettivo e nell’elenco degli atti depositati, posto in calce al ricorso, sia inclusa la richiesta, presentata alla cancelleria del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata, di trasmissione del fascicolo d’ufficio che lo contiene (cfr. Cass., Sez. I, 6/06/2019, nn. 15415, 15416 e 15417; 31/05/2019, n. 14940; Cass., Sez. lav., 7/07/2014, n. 15437).

Tali condizioni, volte a fornire a questa Corte tutti gli elementi necessari per consentirle di verificare l’esattezza dell’interpretazione del contratto collettivo risultante dalla sentenza impugnata, devono ritenersi nella specie puntualmente rispettate, avendo il ricorrente riportato, a corredo delle proprie censure, il testo della norma contrattuale invocata, ed avendo accluso al ricorso la copia dell’istanza presentata alla Cancelleria del Tribunale per ottenere la trasmissione del fascicolo d’ufficio, recante il testo integrale dell’accordo.

7. Il primo ed il terzo motivo del ricorso, da esaminarsi congiuntamente in quanto aventi ad oggetto questioni strettamente connesse, sono peraltro fondati.

In tema di rapporto di lavoro dei dirigenti d’azienda, questa Corte ha infatti affermato che l’indennità supplementare al trattamento di fine rapporto, prevista dall’accordo interconfederale del 27 aprile 1995, dev’essere riconosciuta al dipendente nel caso in cui il licenziamento sia obiettivamente causato da ristrutturazione, riorganizzazione, riconversione o crisi aziendale, non risultando necessario che ad esso consegua un’effettiva cesura nel rapporto di lavoro e che il dipendente versi, pertanto, in uno stato di disoccupazione (cfr. Cass., Sez. lav., 30/09/2019, n. 24355). Premesso che l’indennità in questione fa riferimento “a casi speciali, ai casi cioè in cui l’assetto aziendale, per le varie causali indicate, viene. radicalmente modificato così da coinvolgere una pluralità di dirigenti della stessa impresa, con conseguente necessità di sopperire alle relative emergenze occupazionali, giacchè (…) i dirigenti non rientrano nell’ambito di operatività nè della cassa integrazione nè dell’indennità di mobilità” (cfr. Cass., Sez. lav., 7/01/2019, n. 142), è stato chiarito che, ai fini del riconoscimento della stessa, “ciò che rileva, sul piano del diritto, è l’effettiva ragione del recesso datoriale e il rapporto di derivazione causale di esso rispetto alle fattispecie (ristrutturazione, riorganizzazione, riconversione o crisi aziendale) individuate dall’accordo, al di là della motivazione che il datore di lavoro abbia formalmente adottato” (cfr. Cass., Sez. lav:, 4/01/2019, n. 86). Pertanto, il dirigente licenziato a seguito di ammissione dell’impresa alla procedura di amministrazione straordinaria che intenda far valere il diritto all’indennità supplementare è tenuto a provare soltanto che il recesso del datore di lavoro ha avuto causa concreta nella situazione di crisi aziendale, e non anche che lo stesso non è stato seguito dalla riassunzione, nè di trovarsi in stato di disoccupazione, configurandosi la mancata ricollocazione come un fatto impeditivo della pretesa azionata, la cui allegazione e prova sono a carico della procedura (cfr. Cass., Sez. lav., 14/08/2020, n. 17159; 7/01/2019, n. 142).

Tali principi, che il Collegio condivide ed intende ribadire anche in questa sede, non risultano applicati nel decreto impugnato, il quale, pur avendo rilevato che a) il ricorrente era stato assunto a tempo indeterminato da Alitalia Servizi con la qualifica di dirigente, b) il rapporto di lavoro era soggetto al CCNL per i dirigenti dell’industria, c) la società era stata posta in amministrazione straordinaria, e d) il rapporto era stato unilateralmente risolto dal commissario straordinario “a seguito della chiusura dell’attività produttiva dell’azienda collocata in amministrazione straordinaria”, ha ritenuto che la prova di tali circostanze non fosse sufficiente ai fini del riconoscimento dell’indennità supplementare, ma occorresse anche quella di un’effettiva cesura del rapporto di lavoro, e cioè della mancata ricollocazione del dipendente nell’ambito della medesima procedura di amministrazione straordinaria, ponendo il relativo onere a carico del dipendente. A sostegno di tale conclusione, il Tribunale ha evidenziato il carattere derogatorio della disciplina dettata dal D.L. n. 347 del 2003, art. 5, comma 2-ter del rispetto ai principi civilistici che regolano le vicende circolatorie dell’impresa, sostenendo che la stessa prevede una speciale ipotesi di trasferimento dei lavoratori, realizzabile anche attraverso il licenziamento e la successiva riassunzione,, nell’ambito della quale il licenziamento non può assumere neppure potenzialmente quei profili di illegittimità che costituiscono il presupposto della disciplina dettata dall’accordo interconfederale.

Quest’ultima affermazione, postulando che l’indennità supplementare trovi normalmente giustificazione nell’illegittimità del licenziamento e sia volta ad evitarne l’impugnazione da parte del dipendente, si pone peraltro in contrasto con l’osservazione di questa Corte secondo cui “la disposizione di cui all’accordo Interconfederale non va (…) vista nell’ottica dell’azienda, che viene onerata proprio nei casi in cui il recesso è sicuramente giustificato, ma nell’ottica dei dirigenti, che rimangono disoccupati. I casi infatti sono quelli del licenziamento intimato ai dirigenti con la motivazione della ristrutturazione, riorganizzazione, riconversione ovvero crisi aziendale, situazioni non solo allegate ma comprovate dal decreto del Ministro del Lavoro, che le verifica per decidere se concedere o no, ai dipendenti non dirigenti, la cassa integrazione guadagni straordinaria (…). Invero ogni istituto legato alla concessione della cassa integrazione straordinaria presuppone necessariamente il coinvolgimento di una pluralità di persone, ivi compresi i dirigenti, che in tal caso, secondo la previsione dell’accordo interconfederale, ricevono tutela non dallo Stato, e neppure, per esso, dall’Ente previdenziale, ma direttamente a carico del datore, attraverso l’erogazione della prevista indennità” (cfr. Cass., Sez. lav., 15/07/2009, n. 16498).

6. Il decreto impugnato va pertanto cassato, restando assorbiti gli altri motivi d’impugnazione, con il conseguente rinvio della causa al Tribunale di Roma, che provvederà, in diversa composizione, anche al regolamento delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

accoglie il primo ed il terzo motivo di ricorso, dichiara assorbiti gli altri motivi, cassa il decreto impugnato, e rinvia al Tribunale di Roma, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 21 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 7 luglio 2021

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