Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19376 del 07/07/2021

Cassazione civile sez. I, 07/07/2021, (ud. 21/04/2021, dep. 07/07/2021), n.19376

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco A. – Presidente –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – rel. Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 16286/2020 R.G. proposto da:

C.A.I., rappresentato e difeso dall’Avv. Letizia

Garrisi, con domicilio in Roma, piazza Cavour, presso la Cancelleria

civile della Corte di cassazione;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro p.t., rappresentato e

difeso dall’Avvocatura distrettuale dello Stato, con domicilio

legale in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

– intimato –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Lecce n. 22320,

depositata il febbraio 2020;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 21 aprile

2021 dal Consigliere Dott. Guido Mercolino.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza del 26 febbraio 2020, la Corte d’appello di Lecce ha rigettato il gravame interposto da C.A.I., cittadino della (OMISSIS), avverso l’ordinanza emessa il 17 maggio 2018 dal Tribunale di Lecce, che aveva rigettato la domanda di riconoscimento dello status di rifugiato e, in subordine, della protezione sussidiaria o di rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari proposta dall’appellante.

Premesso che a sostegno della domanda l’appellante aveva riferito di essersi allontanato dal Paese di origine per il timore di essere ucciso da un uomo che, dopo aver assassinato suo padre, voleva impedirgli di succedergli in qualità di capo del villaggio, la Corte ha rilevato l’estrema genericità e la scarsa veridicità del racconto, non recante alcun riferimento a una minaccia reale o alla presentazione di una denuncia per l’assassinio del padre, osservando comunque che dalla narrazione non emergevano fatti rilevanti ai fini del riconoscimento dello status di rifugiato, non avendo il ricorrente allegato alcuna affiliazione politica nè la partecipazione all’attività di associazioni per i diritti civili. Per analoghi motivi, ha ritenuto insussistente il rischio di un danno grave, escludendo anche la configurabilità di una situazione di violenza indiscriminata nel Paese di origine, in virtù del richiamo ad informazioni fornite da fonti internazionali, dalle quali emergeva che nell’area meridionale della (OMISSIS) si registravano soltanto episodici scontri etno-politici legati al controllo dei giacimenti petroliferi, i quali, oltre ad avere carattere sporadico, erano rivolti contro le basi petrolifere presenti sul territorio e circoscritti all’area costiera. Ha ritenuto infine insussistenti i presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria, rilevando che dalla vicenda narrata non emergeva alcun pericolo o profilo di vulnerabilità soggettiva del ricorrente, ed escludendo che quest’ultimo risultasse apprezzabilmente integrato in Italia.

2. Avverso la predetta sentenza il C. ha proposto ricorso per cassazione, per cinque motivi. Il Ministero dell’interno ha resistito mediante il deposito di un atto di costituzione, ai fini della partecipazione alla discussione orale.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Preliminarmente, va dichiarata l’inammissibilità della costituzione in giudizio del Ministero dell’interno, avvenuta mediante il deposito di un atto finalizzato esclusivamente alla partecipazione alla discussione orale, anzichè mediante controricorso: nel procedimento in camera di consiglio dinanzi alla Corte di cassazione, il concorso delle parti alla fase decisoria deve infatti realizzarsi in forma scritta, attraverso il deposito di memorie, il quale postula che l’intimato si costituisca mediante controricorso tempestivamente notificato e depositato (cfr. 25/10/2018, n. 27124; Cass., Sez. V, 5/10/2018, n. 24422; Cass., Sez. III, 20/10/2017, n. 24835);

2. Con il primo motivo d’impugnazione, il ricorrente denuncia la nullità della sentenza impugnata per violazione o falsa applicazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 2, lett. g) e h), art. 3, comma 3, lett. c), artt. 4, 5, art. 7, comma 2, lett. a) e art. 19, censurando la sentenza impugnata per aver escluso la credibilità della vicenda personale allegata a sostegno della domanda, senza tenere conto della precisione, coerenza e plausibilità delle dichiarazioni da lui rese e della conformità delle stesse rispetto alle informazioni generali relative al suo Paese di origine.

3. Con il secondo motivo, il ricorrente deduce la violazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3, comma 3, lett. c) e art. 4, censurando la sentenza impugnata per aver escluso il rischio di persecuzione o di un danno grave senza valutare la sua situazione personale, ed in particolare il suo orientamento politico e religioso, nonchè la pericolosità della situazione in atto nella sua area d’origine, determinata dalla crescente attività di organizzazioni terroristiche.

4. Con il terzo motivo, il ricorrente lamenta la violazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 7, comma 2, lett. a), censurando la sentenza impugnata per aver rigettato la domanda di riconoscimento dello status di rifugiato, senza tenere conto della sua esposizione al rischio di persecuzione, ricollegabile alle medesime ragioni politiche e religiose che avevano condotto all’assassinio di suo padre.

5. Con il quarto motivo, il ricorrente denuncia la violazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 19, ribadendo che la sentenza impugnata ha omesso di valutare la sua situazione personale, ed in particolare le violenze psicologiche da lui subite, che avevano messo a repentaglio la sua vita.

6. Con il quinto motivo, il ricorrente deduce la violazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 2, lett. g) e h), sostenendo che il rischio di persecuzione collegato al suo orientamento religioso doveva considerarsi sufficiente a giustificare il riconoscimento dello status di rifugiato, avuto riguardo alle notizie, diffuse dalle autorità (OMISSIS), di atti di violenza indiscriminata contro civili posti in essere nell’ambito di faide locali e di atti terroristici compiuti contro la minoranza religiosa cristiana.

7. I predetti motivi, da esaminarsi congiuntamente, in quanto aventi ad oggetto questioni strettamente connesse, sono inammissibili.

In tema di protezione internazionale, questa Corte ha ripetutamente affermato che la valutazione in ordine alla credibilità della vicenda personale allegata a sostegno della domanda, da compiersi sulla base dei criteri previsti dal D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3, comma 5, integra un giudizio di fatto, riservato al giudice di merito e sindacabile in sede di legittimità esclusivamente ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, oppure per difetto del requisito di cui all’art. 132 c.p.c., comma 2, in relazione all’inesistenza materiale, mera apparenza, perplessità o grave contraddittorietà della motivazione (cfr. Cass., Sez. I, 2/07/2020, n. 13578; 11/03/2020, n. 6897; Cass., Sez. III, 19/06/2020, n. 11925).

Tali vizi nella specie non sono stati neppure dedotti, essendosi il ricorrente limitato a far valere l’inosservanza dei predetti criteri, insistendo sulla coerenza e plausibilità delle dichiarazioni rese e sugli sforzi compiuti per circostanziare la domanda, senza essere in grado d’individuare lacune argomentative o carenze logiche della sentenza impugnata, talmente gravi da impedire la ricostruzione del percorso logico-giuridico seguito per giungere alla decisione: in tal modo, egli ha dimostrato di voler sollecitare, attraverso l’apparente deduzione del vizio di violazione di legge, una nuova valutazione dei fatti, non consentita a questa Corte, alla quale non spetta il compito di riesaminare il merito della controversia, ma solo quello di verificare la correttezza giuridica delle argomentazioni svolte nel provvedimento impugnato, nonchè la coerenza logico-formale delle stesse, nei limiti in cui le relative anomalie sono ancora deducibili con il ricorso per cassazione, a seguito della riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 cit. da parte del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), convertito con modificazioni dalla L. 7 agosto 2012, n. 134 (cfr. Cass., Sez. I, 13/01/2020, n. 331; Cass., Sez. II, 29/10/2018, n. 27415; Cass., Sez. V, 4/08/2017, n. 19547).

Nel lamentare il mancato inquadramento della vicenda da lui narrata nella situazione generale del suo Paese di origine, il ricorrente non ha poi considerato che il giudizio negativo in ordine alla credibilità soggettiva del richiedente, espresso in conformità dei criteri stabiliti dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 risulta di per sè sufficiente a dispensare il giudice dal compimento di approfondimenti officiosi in ordine alla situazione del Paese di origine, ai fini dell’accertamento delle fattispecie di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 7 e art6. 14, lett. a) e b), non trovando applicazione in tal caso il dovere di cooperazione istruttoria previsto dal D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 8, comma 3, il quale non opera laddove, come nella specie, sia stato proprio il richiedente a declinare, con una versione dei fatti inaffidabile o inattendibile, la volontà di cooperare, quanto meno in relazione all’allegazione affidabile degli stessi (cfr. tra le altre, Cass., Sez. II, 11/08/2020, n. 16925; Cass., Sez. I, 12/06/2019, n. 15794; Cass., Sez. VI, 27/06/2018, n. 16925).

Quanto infine al rischio di persecuzione o di un danno grave ricollegabile all’orientamento politico-religioso del ricorrente, l’omissione della relativa valutazione trova giustificazione nell’osservazione della Corte territoriale, rimasta incensurata, secondo cui egli non aveva allegato alcuna affiliazione politica, nè la sua partecipazione all’attività di associazioni per i diritti civili, nè la sua appartenenza a categorie di persone esposte a violenze, torture o altre forme di trattamento inumano. La mancata allegazione di tali circostanze consente di escludere anche il dovere della Corte territoriale di acquisire informazioni in ordine al rispetto dei diritti politici e della libertà religiosa in (OMISSIS): l’adempimento del dovere di cooperazione istruttoria si colloca infatti non già sul versante dell’allegazione dei fatti costitutivi del diritto alla protezione, ma su quello della prova degli stessi, e presuppone quindi che il richiedente abbia tempestivamente e specificamente assolto l’onere, posto a suo carico, di indicare le circostanze che a suo avviso giustificano il riconoscimento della tutela, anche sotto il profilo dell’individualizzazione del rischio in relazione alla situazione esistente nel Paese di origine (cfr. Cass., Sez. II, 14/08/2020, n. 17185; 3/02/2020, n. 2355).

7. Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile, senza che occorra provvedere al regolamento delle spese processuali, avuto riguardo all’irrituale costituzione dell’intimato.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso dallo stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 21 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 7 luglio 2021

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