Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19376 del 03/08/2017

Cassazione civile, sez. III, 03/08/2017, (ud. 15/06/2017, dep.03/08/2017),  n. 19376

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI AMATO Sergio – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – rel. Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 7125/2015 proposto da:

F.A., C.R., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA

F. DE SANCTIS 15, presso lo studio dell’avvocato POLESE STUDIO

LEGALE, rappresentati e difesi dagli avvocati CARLO ZAULI, MONICA

MASOTTI giusta procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

CASSA DEI RISPARMI DI FORLI’ E DELLA ROMAGNA SPA in persona del suo

procuratore Avv. M.F., elettivamente domiciliata in ROMA,

VIA DARDANELLI 37, presso lo studio dell’avvocato FABIO SANTORO,

rappresentata e difesa dall’avvocato STEFANO CERVELLATI giusta

procura speciale in calce al controricorso;

avverso la sentenza n. 84/2015 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 16/01/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

15/06/2017 dal Consigliere Dott. GIUSEPPINA LUCIANA BARRECA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SORRENTINO Federico, che ha concluso per il rigetto;

udito l’Avvocato STEFANO CERVELLATI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con la sentenza impugnata, pubblicata il 16 gennaio 2015, la Corte d’appello di Bologna, ha rigettato l’appello proposto da C.R. ed F.A. nei confronti della Cassa di Risparmio di Forlì e della Romagna S.P.A. contro la sentenza del Tribunale di Forlì, con la quale era stata accolta la domanda avanzata dall’istituto di credito nei confronti dei coniugi C. – F. per la dichiarazione di inefficacia, ai sensi dell’art. 2901 c.c., del fondo patrimoniale costituito con atto a rogito notaio B. in data 3 aprile 2007, trascritto in data 27 aprile 2007, e del trust, avente ad oggetto gli stessi beni immobili del fondo patrimoniale, costituito in data 14 luglio 2008 con atto a rogito notaio R., trascritto in data 18 luglio 2008, con affidamento dei beni, in qualità di trustee, ad F.A..

Con la sentenza di primo grado era stata anche rigettata la domanda riconvenzionale dei convenuti di risarcimento danni, patrimoniali e non patrimoniali, nei confronti dell’istituto di credito attore.

1.1. La Corte d’appello ha rigettato il motivo col quale era dedotto il difetto di integrità del contraddittorio per la mancata chiamata in giudizio delle figlie dei coniugi C. – F.. Nel merito, ha ritenuto: la natura gratuita di entrambi gli atti oggetto di revocatoria; l’esistenza del credito in favore della banca nei confronti del C. già in epoca anteriore alla costituzione del fondo patrimoniale e del trust (quanto alle obbligazioni di garanzia assunte come fideiussore in favore della società Tecnocostruzioni srl, alla quale la banca aveva concesso delle aperture di credito); la consapevolezza da parte del debitore dell’esistenza del debito e del pregiudizio arrecato alle ragioni dell’istituto creditore. Inoltre, ha riscontrato l’insorgenza di un ulteriore credito della banca personalmente nei confronti del C. – relativo alla concessione di un mutuo per Euro 362.000,00 – dopo la costituzione del fondo patrimoniale, ed ha confermato la valutazione del Tribunale sul fatto che si trattasse di un’operazione dolosamente preordinata alla sottrazione dei beni alla garanzia dei creditori. Ha perciò concluso per il rigetto del gravame e la conferma della sentenza appellata, anche relativamente al rigetto della domanda riconvenzionale dei convenuti, poi appellanti, con condanna di questi al pagamento delle spese del grado.

2. Contro la sentenza, C.R. e F.A. propongono ricorso per cassazione con undici motivi.

La Cassa di Risparmio di Forlì e della Romagna S.P.A. si difende con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Col primo motivo si deduce violazione e/o falsa applicazione dell’art. 102 c.p.c., per la mancata integrazione del contraddittorio nei confronti dei beneficiari del fondo patrimoniale e del trust. I ricorrenti insistono nell’evidenziare la differenza tra i due istituti, negata invece dal giudice d’appello anche ai fini dell’individuazione dei soggetti legittimati passivamente; ancora, sostengono che il fondo patrimoniale, nel caso di specie, sarebbe stato costituito per adempiere ad “un dovere morale del solvens” nei confronti delle figlie, all’epoca entrambe minorenni ed economicamente non autonome, sicchè queste ultime avrebbero avuto titolo a contraddire in giudizio. Concludono che, essendo state violate le norme sul contraddittorio, l’intero giudizio sarebbe affetto da nullità.

1.1. Col secondo motivo si deduce violazione e/o falsa applicazione degli artt. 102 e 354 c.p.c., per ragioni analoghe a quelle già esposte col primo motivo, sostenendosi che la Corte d’appello sarebbe incorsa in error in procedendo per non avere rilevato il difetto del contraddittorio, con rinvio della causa al primo giudice. I ricorrenti prospettano questa eventualità come subordinata al mancato accoglimento del primo motivo, per il quale assumono che dovrebbe essere dichiarata la nullità dell’intero giudizio, senza alcuna restituzione nei gradi di merito.

2. I motivi non meritano di essere accolti.

Quanto alla legittimazione passiva nel giudizio per azione revocatoria dell’atto di costituzione del fondo patrimoniale, l’orientamento di questa Corte è quello espresso dal precedente richiamato in sentenza, per il quale “La costituzione del fondo patrimoniale determina soltanto un vincolo di destinazione sui beni confluiti nel fondo, affinchè, con i loro frutti, sia assicurato il soddisfacimento dei bisogni della famiglia, ma non incide sulla titolarità dei beni stessi, nè implica l’insorgere di una posizione di diritto soggettivo in favore dei singoli componenti del nucleo familiare, neppure con riguardo ai vincoli di disponibilità. Ne consegue che deve escludersi che i figli minori del debitore siano litisconsorti necessari nel giudizio promosso dal creditore per sentire dichiarare l’inefficacia dell’atto con il quale il primo abbia costituito alcuni beni di sua proprietà in fondo patrimoniale” (Cass. n. 10641/14; ma cfr. nello stesso senso già Cass. n. 18065/04).

Non vi sono ragioni giuridiche per discostarsi da tale orientamento, nè il caso di specie presenta peculiarità tali da rendere inapplicabile la regola che ne risulta.

2.1. Quanto al trust, occorre premettere che, di norma, esso presuppone un negozio istitutivo, di natura programmatica ed unilaterale, ed uno o più negozi dispositivi, di natura traslativa, in quanto destinati al trasferimento dei beni al trustee. Solo questi ultimi sono potenzialmente idonei a pregiudicare le ragioni dei creditori e quindi assoggettabili ad azione revocatoria.

I dati fattuali del caso di specie non sono compiutamente esposti in ricorso, poichè non sono riportati, nemmeno per sintesi, i contenuti essenziali nè dell’atto di costituzione del fondo patrimoniale nè dell’atto istitutivo del trust. Dall’illustrazione dei ricorrenti si evince che trustee venne nominata F.A. e beneficiarie le figlie della coppia e che vennero conferiti in trust gli stessi beni immobili già confluiti nel fondo patrimoniale, senza che sia specificato in ricorso nè risulti che abbia formato oggetto di dibattito nei gradi di merito – il regime proprietario che i beni avevano acquisito a seguito della costituzione del fondo patrimoniale e, quindi, chi sia/siano disponente/i del trust (a prescindere dall’osservanza dell’art. 169 c.c.), nè quali siano le facoltà riservate a costui/costoro e quelle riconosciute ai beneficiari.

Ne consegue l’inammissibilità di entrambi i motivi in riferimento alle affermazioni del giudice di merito secondo cui il trustee “ha la disponibilità e la gestione dei beni stessi e nessun diritto concreto ed attuale viene conferito al soggetto beneficiario dell’atto, il quale non è legittimato a prendere parte al giudizio (…)” (pag. 5 della sentenza).

Sarebbe stato infatti onere dei ricorrenti dare conto di aver fatto presente al giudice di merito l’esistenza di diritti attuali in capo alle beneficiarie, tali da imporre la loro presenza nel giudizio, nonchè evidenziare in ricorso la fonte e la natura di questi diritti.

Nulla è detto quanto al primo profilo, così determinandosi ulteriore ragione di inammissibilità dei motivi.

Quanto al secondo profilo, si sostiene, col primo motivo, che sarebbe “innegabile” che le beneficiarie, cioè le figlie della coppia, avessero “un interesse diretto ed immediato ad intervenire nella vertenza”, in quanto aventi “un interesse immediato alla corretta amministrazione del patrimonio separato”; si citano poi delle clausole (art. 27 e art. 28, lett. B, nonchè art. 13, lett. A e D), dell’atto, del quale tuttavia non è indicato nemmeno il luogo di reperimento nei fascicoli di parte (pagg. 31-32 del ricorso).

Anche a voler prescindere da tale ultima violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6, le argomentazioni dei ricorrenti non meritano apprezzamento per le ragioni seguenti.

L’interesse alla corretta amministrazione del patrimonio separato non integra una posizione di diritto soggettivo attuale dei beneficiari.

Nemmeno peraltro questa si evince dalle clausole riportate in ricorso, in quanto attribuiscono ai beneficiari delle facoltà assoggettate a valutazioni discrezionali del trustee e, comunque, facoltà non connotate da realità, essendo previsti potenziali diritti di credito, riconoscibili a richiesta dei beneficiari. In particolare, il tenore di dette clausole non consente di qualificare i beneficiari come attuali beneficiari di reddito, con diritti quesiti (in quanto il riconoscimento è rimesso alla discrezionalità del trustee); nè come beneficiari finali, con diritto immediato a ricevere beni del trust (in quanto è prevista la soddisfazione alternativa in denaro).

In conclusione, è corretta la sentenza che ha escluso che i beneficiari del trust siano legittimati passivi dell’azione revocatoria avente ad oggetto i beni del trust, quando non sono titolari di diritti attuali su questi beni. Oltre al debitore, unico legittimato passivo è il trustee, in quanto “unico soggetto di riferimento nei rapporti con i terzi, non quale legale rappresentante, ma come colui che dispone del diritto” (così, di recente, Cass. n. 2043/17; ma cfr., nello stesso senso, Cass. n. 25478/15), nonchè soggetto capace di agire ed essere citato in giudizio ai sensi dell’art. 11 della Convenzione adottata a L’Aja il 1 luglio 1985 ratificata con legge 16 ottobre 1989, n. 364.

I primi due motivi di ricorso vanno rigettati.

3. Col terzo motivo si deduce violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2901 e 170 c.c. “con riguardo al presupposto soggettivo (scientia damni e consilium fraudis) del debitore relativamente alla costituzione del fondo patrimoniale volto ad arrecare un significativo pregiudizio alle garanzie del creditore”. I ricorrenti sostengono l’inesistenza in capo a C.R. del presupposto soggettivo, sia in riferimento alle aperture di credito in favore della Tecnocostruzioni srl sia in riferimento alla concessione del mutuo in suo favore.

3.1. Col quarto motivo si deduce violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2901 e 170 c.c. “con riguardo al presupposto soggettivo (scientia damni e consilium fraudis) del debitore relativamente alla costituzione del trust volto ad arrecare un pregiudizio alle garanzie del creditore”. I ricorrenti svolgono argomenti analoghi a quelli di cui al precedente motivo, quanto al presupposto soggettivo, ma con riferimento alla istituzione del trust.

3.2. Col quinto motivo si deduce violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2901 c.c., relativamente al presupposto soggettivo in capo ai terzi, familiari beneficiari del fondo patrimoniale, sostenendosene, nel caso di specie, la natura di atto a titolo oneroso. Con la conseguenza, secondo i ricorrenti, che andrebbe verificata la sussistenza del presupposto soggettivo anche in capo alle figlie dei coniugi C. – F., invece non considerate dal giudice d’appello, nemmeno a questi fini. La sentenza sarebbe comunque errata per aver riscontrato esistente il presupposto soggettivo in capo alla F..

3.3. Col sesto motivo si deduce violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2901 c.c., relativamente al presupposto soggettivo in capo ai terzi, trustee e beneficiari del trust. I ricorrenti svolgono argomenti analoghi a quelli di cui al motivo precedente, in riferimento all’atto di istituzione del trust, sostenendo anche per questo la natura di atto a titolo oneroso.

4. I motivi, da trattarsi congiuntamente, per ragioni di connessione, non meritano di essere accolti.

Essi sono infondati nella parte in cui assumono che fondo patrimoniale e trust sono stati costituiti con atti aventi natura onerosa.

4.1. Quanto al fondo patrimoniale, è sufficiente richiamare i numerosi precedenti di questa Corte che hanno affermato la natura gratuita dell’atto di costituzione del fondo patrimoniale, non trovando, di regola, contropartita in un’attribuzione in favore dei disponenti, nè tale può essere considerata – contrariamente a quanto assumono i ricorrenti – la finalità di adempimento dei doveri verso la famiglia ed i figli ai sensi degli artt. 143 e 147 c.c., essendo lo strumento liberamente scelto dai disponenti (cfr. Cass. n. 6267/2005, n. 2327/06, n. 16760/10, n. 19029/13 ed altre non massimate).

5. Quanto al trust, va premesso che le finalità e l’assetto di interessi possono essere i più vari, sicchè, per qualificare l’atto istitutivo come gratuito oppure oneroso, occorre verificare il programma posto in concreto.

Nel caso di specie, il giudice di merito ha accertato che la finalità dell’istituzione del trust coincideva in parte con quella già realizzata con la costituzione del fondo patrimoniale ed era quella “di tenere i beni conferiti indenni dalle proprie vicende personali e di conseguenza rendere meno agevole la loro apprensione da parte dei creditori” (pag. 6 della sentenza).

L’accertamento non è significativamente censurato con le deduzioni dei ricorrenti, in quanto volte ad evidenziare come il trust fosse stato istituito per fare fronte alle esigenze di vita e di studio delle figlie (che, contrariamente a quanto affermato in sentenza, non erano affatto all’epoca maggiorenni e del tutto autonome). Da queste stesse deduzioni è dato evincere che si trattò di un trust familiare, privo di finalità solutorie o di altra natura corrispettiva, sicchè valgono, quanto alla qualificazione dell’atto come gratuito, le considerazioni già svolte a proposito del fondo patrimoniale.

L’istituzione del trust per esigenze familiari, anche qualora effettuata da entrambi i coniugi, non integra, di per sè, adempimento di un dovere giuridico, non essendo obbligatoria per legge, ma configura un atto a titolo gratuito, non trovando contropartita in un’attribuzione in favore dei disponenti.

Perciò è corretta la sentenza che ha qualificato come gratuiti entrambi gli atti oggetto di revocatoria.

6. Quanto ad ogni altra censura, i motivi sono inammissibili.

Sono irrilevanti, quindi carenti di interesse, le deduzioni, di cui ai motivi quinto e sesto poichè, trattandosi di atti a titolo gratuito, non rileva lo stato soggettivo dei soggetti diversi dal debitore, la cui verifica si impone, ai sensi dell’art. 2901 c.c., comma 1, n. 2, solo qualora si tratti di atti a titolo oneroso.

6.1. Sono inammissibili le deduzioni di cui ai motivi terzo e quarto inerenti il presupposto soggettivo in capo al debitore perchè, rispetto ai crediti nascenti dalla fideiussione prestata per le aperture di credito in favore della società, il giudice ha valutato gli elementi di fatto idonei a dimostrare la consapevolezza del C. di pregiudicare le ragioni dell’istituto di credito e, rispetto al credito nascente dal contratto di mutuo stipulato personalmente dal C., il giudice ha valutato gli elementi di fatto idonei a dimostrarne la dolosa preordinazione al fine di pregiudicare il soddisfacimento delle ragioni dei creditori (peraltro rilevante solo rispetto alla costituzione del fondo patrimoniale, essendo il trust successivo alla concessione del mutuo).

Per l’uno e per l’altro dei crediti in contestazione – dei quali il debitore ricorrente non censura, rispettivamente, la posteriorità e l’anteriorità rispetto agli atti pregiudizievoli – il giudice ha ritenuto la sussistenza del presupposto soggettivo avvalendosi della prova presuntiva.

Le critiche del debitore ricorrente mirano a sminuire la gravità e la precisione di alcuni degli elementi valutati dal giudice (essere socio di maggioranza della società; esserne il fideiussore delle aperture di credito; essere perciò a conoscenza della situazione patrimoniale di dissesto della società e del pregiudizio arrecato alle ragioni dei creditori) e ad attribuire efficacia probatoria a sè favorevole a degli altri elementi (non essere il legale rappresentante della società garantita; esserne garante in proprio, ad asserito riscontro dell’inconsapevolezza del dissesto) nella prospettiva del dolo del debitore, senza considerare che l’elemento soggettivo per l’atto successivo al sorgere del credito è dato dalla mera consapevolezza del pregiudizio arrecato alle ragioni dei creditori non essendo necessaria la dolosa preordinazione.

Parimenti inammissibili sono le critiche relative agli elementi valorizzati dal giudice per ritenere questa preordinazione in riferimento al contratto di mutuo (richiesta avanzata alla banca in epoca anteriore alla costituzione del fondo patrimoniale e formalizzazione del mutuo e di ulteriore fideiussione pochi giorni dopo – 11 maggio 2007 – la trascrizione del fondo patrimoniale -27 aprile 2007; tale “da far ritenere che la banca in quel breve lasso temporale non fosse a conoscenza e neppure in grado di verificare l’intervenuta trascrizione dell’atto”, pag. 7 della sentenza), cui il debitore ricorrente contrappone fatti non decisivi (essere stato costituito il fondo con atto del 3 aprile 2007, e solo trascritto, per scelta del notaio, il successivo 27 aprile 2007) ovvero personali interpretazioni sul comportamento asseritamente anomalo della banca (che non avrebbe dovuto concedere il mutuo in mancanza di indici di solvibilità).

In proposito, è sufficiente ribadire che allorquando la prova addotta sia costituita da presunzioni – le quali anche da sole possono formare il convincimento del giudice del merito – rientra nei compiti di quest’ultimo il giudizio circa l’idoneità degli elementi presuntivi a consentire illazioni che ne discendano secondo il criterio dell'”id quod plerumque accidit”, essendo il relativo apprezzamento sottratto al controllo in sede di legittimità se sorretto da motivazione immune dal vizi logici o giuridici e, in particolare, ispirato al principio secondo il quale i requisiti della gravità, della precisione e della concordanza, richiesti dalla legge, devono essere ricavati in relazione al complesso degli indizi, soggetti a una valutazione globale, e non con riferimento singolare a ciascuno di questi, pur senza omettere un apprezzamento così frazionato, al fine di vagliare preventivamente la rilevanza dei vari indizi e di individuare quelli ritenuti significativi e da ricomprendere nel suddetto contesto articolato e globale (Cass. n. 26022/11 e n. 12002/17, tra le tante).

Essendo la decisione impugnata conforme a questi principi, sono inammissibili i motivi terzo e quarto che si risolvono nella pretesa di sindacato sull’apprezzamento dei fatti posti a fondamento della prova presuntiva.

6.2. Sono infine inammissibili le deduzioni svolte nei motivi fin qui esaminati relativamente all’ambito applicativo dell’art. 170 c.c.. La norma non trova applicazione nel presente giudizio, avente ad oggetto l’azione revocatoria della costituzione del fondo patrimoniale. Essa infatti presuppone l’efficacia della sua costituzione, con conseguente generale impignorabilità dei beni del fondo, salva l’eccezione appunto prevista dall’art. 170 c.c..

I motivi terzo, quarto, quinto e sesto vanno rigettati.

7. Col settimo motivo si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 2901 c.c., “con riguardo al presupposto obiettivo della sussistenza di un diritto di credito del revocante verso F.A. (…)”, in quanto è accertato in sentenza che quest’ultima non era debitrice dell’istituto di credito attore in revocatoria e questo farebbe venire meno uno dei presupposti dell’azione.

7.1. Il motivo è inammissibile per irrilevanza della questione, atteso che la F. non è stata chiamata in giudizio in qualità di debitrice ma soltanto quale litisconsorte necessaria, in quanto coniuge costituente il fondo patrimoniale (cfr. Cass. n. 1242/12) e soggetto avente la qualifica di trustee (cfr. Cass. n. 2043/17 cit.).

Quanto all’assunto che non sarebbe mai stata chiamata in tale ultima qualità, cui si accenna nella parte finale del motivo, esso è inammissibile poichè pone una questione del tutto nuova, che non risulta aver formato oggetto del dibattito processuale (essendo stato questo, al contrario, connotato dal convincimento della rilevanza della qualifica di trustee rivestita dalla F.).

8. Con l’ottavo motivo si deduce violazione delle norme sull’onere probatorio in relazione ai presupposti soggettivi ed oggettivi dell’azione revocatoria.

I ricorrenti sostengono che l’istituto di credito non avrebbe fornito la prova di questi presupposti.

8.1. Il motivo è inammissibile per la parte in cui censura la valutazione dei fatti e delle prove da parte del giudice di merito.

E’ infondato per la parte in cui denuncia la violazione dell’art. 2697 c.c., poichè la Corte ha fatto gravare sull’istituto di credito l’onere della prova della sussistenza presupposti soggettivi ed oggettivi nei confronti del debitore, non essendo necessario – come detto – alcun riscontro, nemmeno sotto il profilo soggettivo, della sussistenza di detti presupposti in capo alla F. od a soggetti terzi.

E’ infondato, altresì, nella parte in cui sembra sostenere la violazione dell’art. 2729 c.c. (norma non indicata in rubrica), poichè comunque gli elementi che il giudice ha posto a fondamento della prova presuntiva sono gravi, precisi e concordanti, e ben valutati, come detto trattando dei motivi terzo e quarto, quanto all’elemento soggettivo in capo al debitore.

Quanto al presupposto oggettivo dell’eventus damni, di cui anche si dice in questo ottavo motivo, è sufficiente richiamare le norme dell’art. 170 c.c. e degli artt. 2e 11 della Convenzione dell’Aja 1 luglio 1985, ratificata con la L. 16 ottobre 1989, n. 364, per le quali i beni costituiti in fondo patrimoniale o conferiti al trust sono impignorabili e sottratti alle ragioni dei creditori dei disponenti e del trustee. Non risulta, nè è dedotto in ricorso, che C.R. avesse altri beni immobili su cui l’istituto di credito si sarebbe potuto soddisfare.

L’ottavo motivo va rigettato.

9. Con il nono motivo si deduce omessa pronuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, perchè la Corte d’appello non si sarebbe pronunciata sul motivo concernente l’abuso del diritto da parte dell’istituto di credito, con riferimento ai principi di correttezza e buona fede, relativi all’esecuzione del contratto.

9.1. Il motivo, anche a voler prescindere dai profili di inammissibilità conseguenti alla genericità ed alla violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 4, in punto di indicazione delle norme violate, è infondato quanto alla denuncia di omessa pronuncia.

La Corte d’appello ha pronunciato l’assorbimento di “tutte le altre domande ed eccezioni proposte dalle parti appellanti con riferimento all’azione risarcitoria proposta nei confronti della banca attesa la legittimità dell’azione proposta e del comportamento dalla stessa tenuto” (pag. 7 della sentenza).

Siffatta statuizione esclude il vizio di omessa pronuncia, sia perchè si verte in un caso di assorbimento c.d. improprio (cfr., tra le altre, Cass. n. 7663/12), sia perchè l’inciso finale è idoneo a sorreggere la decisione di rigetto della domanda risarcitoria anche a prescindere dall’affermazione di assorbimento.

Il nono motivo va perciò rigettato.

10. Con il decimo motivo si deduce abuso del processo da parte dell’istituto di credito, ai sensi dell’art. 88 c.p.c..

Il motivo è inammissibile per genericità. Esso non censura le ragioni poste dal giudice di merito a fondamento del rigetto della domanda risarcitoria, di cui si è detto trattando del nono motivo.

Piuttosto, pone direttamente a questa Corte la questione impropriamente qualificata come di abuso del processo, ma riferita a comportamenti extraprocessuali e processuali della controparte, sui quali non è esercitabile alcun sindacato diretto in sede di legittimità (anche quanto all’asserita violazione dell’art. 88 c.p.c., poichè evidentemente non riferita dai ricorrenti all’instaurando giudizio di cassazione).

11. Con l’undicesimo motivo si deduce violazione e/o falsa applicazione “delle norme di diritto relativamente al principio del contraddittorio ex artt. 100 e 101 c.p.c.”, riproponendo, in termini assolutamente generici e svincolati dalla sentenza impugnata, questioni sostanzialmente analoghe a quelle ritenute infondate trattando dei primi due motivi di ricorso.

In conclusione, il ricorso va rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, sussistono i presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti, in solido, al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 6.000,00, per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 15 giugno 2017.

Depositato in Cancelleria il 3 agosto 2017

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