Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19372 del 20/07/2018


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 19372 Anno 2018
Presidente: VIRGILIO BIAGIO
Relatore: FUOCHI TINARELLI GIUSEPPE

SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 25108/2011 R.G. proposto da
Mascia Giampaolo, rappresentato e difeso dall’Avv. Antonino Piro,
presso il quale è elettivamente domiciliato, in Roma via Alessandria
n. 128, giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente contro
Ministero della Difesa, rappresentato e difeso dall’Avvocatura
Generale dello Stato, presso la quale è domiciliato in Roma, via dei
Portoghesi n. 12;
– controricorrente avverso la sentenza della Corte d’Appello di Roma n. 3406 del 6
settembre 2010.
Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 13 luglio 2018
dal Consigliere Giuseppe Fuochi Tinarelli.
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
Generale Rita Sanlorenzo, che ha concluso per l’inammissibilità del
ricorso e, in subordine, il rigetto.
FATTI DI CAUSA
Giampaolo Mascia, titolare dell’omonima impresa individuale,
chiedeva al Ministero della Difesa il pagamento dell’Iva in relazione

Data pubblicazione: 20/07/2018

a tre contratti di appalto per lavori aeroportuali, non dovuta
secondo l’Amministrazione trattandosi di prestazioni in regime di
non imponibilità.
La domanda era rigettata dal Tribunale di Roma; la sentenza
era confermata dal giudice d’appello.
Giampaolo Mascia ricorre per cassazione con un motivo, cui

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. L’unico motivo di ricorso denuncia, ai sensi dell’art. 360 n. 3
c.p.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 9 d.P.R. n. 633 del
1972 e 3 d.l. n. 90 del 1990, conv. in I. n. 165 del 1990.
Il ricorrente, in particolare, lamenta che il giudice d’appello
abbia omesso di considerare la natura dell’aeroporto, che, ai sensi
dell’art. 9, primo comma, n. 6, d.P.R. n. 633 del 1972, deve essere
“di confine” ai fini del riconoscimento del regime di non imponibilità
e, inoltre, che i lavori in appalto erano fuori dal “sedime
aeroportuale”.
2. Il motivo è in parte infondato, in parte inammissibile.
2.1. Quanto al primo profilo, infatti, la sentenza d’appello, nel
precisare (a pag. 6) che i contratti di appalto riguardavano «lavori
evidentemente funzionali all’intero dispositivo aeroportuale di
confine (tipico delle aree doganali)», concetto poi ripetuto (a pag.
7), dove, con riguardo al fabbricato n. 28, lo definisce «servente al
funzionamento degli impianti aeroportuali e doganali» e, di nuovo
(alla stessa pag. 7), ove riferisce la destinazione dei lavori realizzati
«all’organizzazione dei servizi aeroportuali adibiti alle operazioni
doganali di confine», ha qualificato, in termini certamente sintetici
ma non per questo meno chiari ed univoci, che l’aeroporto in
questione era “di confine”, sicché ricorreva il presupposto generale
previsto dall’art. 9, primo comma, n. 6, d.P.R. n. 633 del 1972,
esclusa la contestata violazione.

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resiste il Ministero della Difesa con controricorso.

L’accertamento in fatto operato dal giudice d’appello, del resto,
non è stato oggetto di alcuna specifica censura motivazionale ai
sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c., restando le ulteriori deduzioni,
irritualmente formulate (la presenza di strutture militari; l’asserita
assenza di “area doganale intesa come area di transito
internazionale”), del tutto generiche ed inidonee ad incidere sulla
valutazione stessa.

2.2. Quanto al secondo profilo – l’asserita pertinenza dei lavori
all’area aeroportuale – la censura è inammissibile lamentando, in
realtà, un vizio motivazionale.
Costituisce infatti ius receptum che le censure motivazionali
non conferiscono al giudice di legittimità il potere di riesaminare il
merito della vicenda, bensì la sola facoltà di controllare – sotto il
profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale le argomentazioni svolte dal giudice di merito, cui «spetta in via
esclusiva il compito di individuare le fonti del proprio
convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne
l’attendibilità e la con cludenza, di scegliere, tra le complessive
risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a
dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così
liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova
acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge” (ex
multis, Cass. n. 742 del 2015).
Ne deriva che il preteso vizio di motivazione

“può dirsi

sussistente solo quando, nel ragionamento del giudice di merito,
sia rinvenibile traccia evidente del mancato (o insufficiente) esame
dei punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o
rilevabili d’ufficio, ovvero quando esista insanabile contrasto tra le
argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire
l’identificazione del procedimento logico-giuridico posto a base della
decisione” (v. Cass. n. 8718 del 2005).

3

h

2.3. Nella vicenda in esame, del resto, il giudice d’appello ha
esaminato in termini analitici i lavori in questione: questi erano
stati effettuati con riguardo a manufatti che si trovavano
«nell’aeroporto di Decimomannu»; la manutenzione riguardava un
fabbricato, pavimentazioni ed altro

«sottostante le barriere di

arresto dei veicoli nelle piste di volo di quello stesso aeroporto»;

contratti ed è riconosciuto dalla stessa impresa) presso i relativi
complessi aeroportuali», mentre «la precisa ubicazione dei relativi
manufatti [..] dagli appellanti non viene neppure esattamente
individuata».
La Corte d’appello, dunque, ha valutato con motivazione
congrua e ragionevole, come tale non censurabile, la natura,
pertinenza e localizzazione dei lavori, risolvendosi la censura, al di
là della sua irrituale formulazione, più in una non condivisione
dell’interpretazione del giudice di merito (anche in termini
suggestivi mediante il rinvio alla portata e contenuto dei contratti
di appalto, senza che neppure sia stata lamentata la violazione dei
criteri di interpretazione ex art. 1362 e ss c.c.), in vista di una
nuova autonoma inammissibile valutazione dei fatti da parte della
Corte.
3. Il ricorso va pertanto respinto con aggravio di spese.
P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente alla rifusione
delle spese a favore del Ministero della Difesa, che liquida in
complessivi C 10.300,00, oltre spese prenotate a debito.
Deciso in Roma, il 13 luglio 2018
Il Presidente

ha, poi, sottolineato che «trattasi di lavori eseguiti (come risulta dai

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