Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19370 del 22/09/2011

Cassazione civile sez. I, 22/09/2011, (ud. 18/07/2011, dep. 22/09/2011), n.19370

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITRONE Ugo – Presidente –

Dott. SALME’ Giuseppe – Consigliere –

Dott. BERRUTI Giuseppe Maria – Consigliere –

Dott. BERNABAI Renato – Consigliere –

Dott. DE CHIARA Carlo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

IMPRESA MAURIZIO DE ROSSI & C. s.a.s., in persona del

legale

rappresentante e socio accomandatario geom. D.R.M.,

rappresentata e difesa, giusta procura speciale a margine del

ricorso, dall’avv. POTI Francesca ed elett.te dom.ta presso lo studio

della medesima in Roma, Via Cola di Rienzo n. 217;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI TORRITA TIBERINA, in persona del Sindaco pro tempore

F.L., rappresentato e difeso, giusta procura speciale a

margine del controricorso, dall’avv. DI LAURO Aldo ed elett.te dom.to

presso lo studio del medesimo in Roma, Via di Santa Maria Maggiore n.

112;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Roma n. 3286/05,

depositata il 18 luglio 2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 18

luglio 2011 dal Consigliere dott. Carlo DE CHIARA;

udito per il controricorrente l’avv. R. ROSSI, con delega;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.ssa

CESQUI Elisabetta, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il Comune di Torrita Tiberina propose davanti al Tribunale di Roma opposizione al decreto ingiuntivo emesso nei suoi confronti il 27 maggio 1999, su richiesta dell’Impresa Maurizio De Rossi & C. s.a.s., per il pagamento di L. 217.233.310 a saldo del corrispettivo di lavori appaltati con contratto del 19 febbraio 1997.

L’opposta resistette ed estese la domanda agli interessi per il ritardo nell’emissione dei mandati di pagamento e nel collaudo delle opere ultimate e ad altri accessori.

Il Comune pagò il capitale portato dal decreto ingiuntivo, sicchè la causa proseguì per i soli accessori e si concluse, in primo grado, con la condanna del medesimo Comune al pagamento delle ulteriori somme di Euro 26.776,94 per interessi e di Euro 619,74 per maggiori oneri conseguenti al ritardato svincolo delle polizze fideiussorie.

La Corte d’appello di Roma, accogliendo il gravame del Comune e riformando la sentenza del Tribunale, ha respinto le domande proposte dalla società in corso di causa.

Quanto alla domanda di interessi per ritardato pagamento, ha affermato che nella specie trovava applicazione il D.L. 28 febbraio 1983, n. 55, art. 13 (conv., con modif, in L. 26 aprile 1983, n. 131), richiamato sia nel bando di gara che nel contratto di appalto, i quali esoneravano l’appaltante dal pagamento degli interessi moratori per il tempo intercorrente fra la richiesta del previsto finanziamento regionale e l’erogazione del medesimo. Tale norma, infatti, prevaleva, in quanto norma speciale per gli enti locali, sulla L. 10 dicembre 1981, n. 741, art. 4 e, d’altra parte, non ricadeva nella previsione della necessaria approvazione per iscritto di cui all’art. 1341 c.c., comma 2, come invece ritenuto dal Tribunale, “mancando nella contrattazione in esame il carattere di atto di imperio della p.a.”.

Quanto alle spese per l’indebito protrarsi delle polizze fideiussorie, ha escluso qualsiasi ritardo colpevole dell’appaltante nell’esecuzione del collaudo per difetto di prova della pretesa tardiva predisposizione degli atti relativi al collaudo, avvenuto allorchè il Comune era stato posto in grado di valutare l’effettivo completamento delle opere.

La società ha quindi proposto ricorso per cassazione articolando cinque motivi di censura, cui il Comune ha resistito con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo di ricorso si denuncia violazione del D.L. n. 55 del 1983, art. 13 (che al sesto comma recita: “Qualora la fornitura di beni e servizi venga effettuata con ricorso a mutuo della Cassa depositi e prestiti, il calcolo del tempo contrattuale per la decorrenza degli interessi di ritardato pagamento non tiene conto dei giorni intercorrenti tra la spedizione della domanda di somministrazione e la ricezione del relativo mandato di pagamento presso la competente sezione di tesoreria provinciale, purchè tale circostanza sia stata richiamata nel bando di gara”) e degli artt. 12 e 14 preleggi, nonchè vizio di motivazione. La ricorrente contesta l’applicabilità dell’art. 13 D.L. cit., il quale si riferisce alle sole forniture di beni e servizi e sempre che siano finanziate dalla Cassa depositi e prestiti, mentre nella specie si trattava di un appalto di opera pubblica e il finanziamento era regionale.

2. – Con il secondo motivo si denuncia violazione della L. n. 741 del 1981, art. 4 (che al primo e all’ultimo comma rispettivamente recita:

“L’importo degli interessi per ritardato pagamento dovuti in base a norme di legge, di capitolato generale e speciale o di contratto, viene computato e corrisposto in occasione del pagamento, in conto o a saldo, immediatamente successivo, senza necessità di apposite domande e riserve”, e “Sono nulli i patti in contrario o in deroga”) e vizio di motivazione. Si sostiene che la norma invocata – applicabile ratione temporis alla fattispecie in esame benchè sia stata abrogata dal D.P.R. 21 dicembre 1999, n. 554, art. 231 – va interpretata nel senso che sono nulle tutte le pattuizioni che prevedono particolari modalità o termini dilatori per la corresponsione degli interessi moratori spettanti all’appaltatore, dovendo tali interessi essere, invece, necessariamente computati e corrisposti in occasione del pagamento successivo; si censura, quindi, la sentenza impugnata per non aver tenuto conto del carattere inderogabile di tale norma.

3. – Con il terzo motivo si denuncia violazione dell’art. 1341 c.c., e art. 1362 c.c., segg., nonchè vizio di motivazione. Si sostiene che, essendo la possibilità dell’appaltatrice di partecipare alla gara di appalto subordinata all’accettazione di tutte le clausole del bando, nessuna specifica contrattazione fra le parti era intervenuta a proposito della clausola di limitazione della responsabilità dell’appaltante per il ritardo nei pagamenti, e dunque tale clausola andava specificamente approvata per iscritto quale condizione generale di contratto di contenuto vessatorio.

4. – I predetti motivi vanno esaminati congiuntamente e respinti nella loro finalità demolitoria della statuizione di validità della clausola contrattuale di esonero dell’appaltante dalla responsabilità per il ritardo dei pagamenti determinato da ritardo del finanziamento, anche se la motivazione in diritto della sentenza impugnata necessita di rettifiche, come si vedrà, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2.

Se è vero, infatti, che nella specie non può trovare applicazione l’art. 13 cit., riguardante i soli appalti finanziati dalla Cassa depositi e prestiti (l’estensione della norma anche agli appalti di opere pubbliche è stata invece già chiarita da questa Corte: cfr.

Cass. 13752/2005 e successive conformi), è anche vero che neppure ricorre la nullità di cui alla L. n. 741 del 1981, art. 4, u.c., perchè si tratta di appalto stipulato da un comune.

Posto, infatti, che le norme del capitolato generale di appalto approvato con D.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063 – e in particolare gli artt. 35 e 36, sugli interessi moratori – hanno valore normativo e vincolante solo per i contratti stipulati dallo Stato, e non per quelli stipulati da enti pubblici diversi (i quali, in mancanza di specifica norma di legge, possono legittimamente essere regolamentati da un capitolato speciale che, per certi aspetti, rinvii a quello generale e, per altri, disciplini con efficacia autonoma alcune clausole) , è consentito all’ente committente diverso dallo Stato rispettare un termine di adempimento pattuito convenzionalmente nel suo interesse, in deroga all’art. 4, cit., con conseguente inesistenza della mora debendi presupposta dalla norma (Cass. 3648/2009, 4036/2003).

Va infine respinta anche la tesi dell’applicabilità dell’art. 1341 c.c., comma 2, dato che si discute di clausola inserita solo nel bando e nel contratto relativo a uno specifico appalto, e dunque manca il requisito del carattere generale della previsione contrattuale, ossia del suo riferimento a una serie indefinita di rapporti (cfr., tra le più recenti, Cass. 12153/2006, 11757/2006, 3184/2006, 5549/2004).

5. – Con il quarto motivo, denunciando violazione degli artt. 2697, 1218, 1224, 1282, 1284 c.c., e vizio di motivazione, si lamenta la mancanza di adeguata motivazione dell’integrale scostamento dalle conclusioni del giudice di primo grado in ordine all’ingiustificato prolungamento delle operazioni di collaudo, benchè i lavori fossero stati ultimati il 20 febbraio 1998.

In particolare – si osserva – mentre il Tribunale aveva accertato, sulla base delle risultanze istruttorie, un ingiustificato ritardo nel pagamento di 5 anni rispetto all’ultimazione dei lavori, affermando dunque la responsabilità del Comune per non aver proceduto alla verifica dell’opera e al collaudo nel termine previsto dal capitolato, la Corte d’appello si è limitata in proposito a una scarna, generica e tautologica statuizione. La stessa, inoltre, ha del tutto omesso di valutare i comportamenti omissivi del Comune e l’abnorme lasso di tempo – oltre quattro anni – trascorso dalla data della contabilizzazione dei corrispettivi a quella dell’effettivo pagamento, nonostante sia onere del debitore fornire la prova della eventuale non imputabilità del ritardo.

6. – Il motivo è inammissibile sia perchè è generico, dato che manca qualsiasi specificazione del contenuto della sentenza di primo grado dal quale la Corte d’appello si sarebbe immotivatamente discostata e, soprattutto, dei dati istruttori su cui quella sentenza si basava e che dunque i giudici di appello avrebbero trascurato; sia perchè nè l’affermazione della ultimazione dei lavori il 20 febbraio 1998, nè quella dell’abnorme lasso di tempo trascorso fra contabilizzazione ed effettivo pagamento sono contenute nella sentenza qui impugnata e, stando ai termini in cui è redatto il ricorso, il riscontro della loro veridicità resterebbe affidato al riesame degli atti del giudizio di merito, precluso, invece, in sede di legittimità.

7. – Con il quinto motivo si denuncia violazione del D.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063, art. 38, della L. n. 741 del 1981, art. 5, del R.D. 25 maggio 1895, n. 350 e degli artt. 2697, 1218 e 1224 c.c., nonchè vizio di motivazione. Si censura il rigetto, sul presupposto della mancanza di colpevole ritardo dell’appaltante nel collaudo, della domanda di rimborso dei maggiori costi sostenuti per il conseguente protrarsi delle polizza fideiussorie. Premesso che la Corte d’appello ha affermato che mancava la prova della tardiva predisposizione degli atti relativi al collaudo, che sarebbe avvenuto allorchè il Comune era stato posto in grado di valutare l’effettivo completamento delle opere, si osserva che è la stessa normativa in materia di opere pubbliche a prevedere termini perentori per l’esecuzione delle attività di contabilizzazione e collaudazione dei lavori, onde bastava – per accogliere la domanda – tener conto di tale normativa (sinteticamente ripercorsa dalla ricorrente) e del fatto che i lavori erano stati ultimati il 20 febbraio 1998 e che il Comune non aveva offerto alcuna prova di convocazioni o solleciti rivolti all’appaltatrice per effettuare il collaudo. Inoltre, mentre sia nel capitolato che nel bando era previsto l’obbligo di contabilizzare ed emettere uno stato di avanzamento lavori al raggiungimento dell’importo di L. 70.000.000 a credito dell’impresa, risultava per tabulas che il Comune aveva, invece, contabilizzato tutti assieme gli stati di avanzamento, con conseguente differimento del pagamento e indebito protrarsi delle polizze fideiussorie.

8. – Anche questo motivo è inammissibile.

Esso si basa su di un elemento di fatto – il completamento dei lavori il 20 febbraio 1998 – non risultante, come già si è detto, dalla sentenza impugnata. Sul punto non vengono formulate in ricorso idonee censure di vizio di motivazione e si pretende, di fatto, che questa Corte vada a riesaminare gli atti del giudizio di merito. La stessa sostanziale pretesa di riesame del merito rende inammissibile l’ulteriore censura relativa all’accorpamento degli stati di avanzamento lavori, del pari estraneo al contenuto della sentenza impugnata.

9. – Il ricorso va in conclusione respinto. Le spese processuali, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese processuali, liquidate in Euro 2.700,00, di cui Euro 2.500,00 per onorari, oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 18 luglio 2011.

Depositato in Cancelleria il 22 settembre 2011

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