Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1937 del 28/01/2021

Cassazione civile sez. II, 28/01/2021, (ud. 21/02/2020, dep. 28/01/2021), n.1937

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere –

Dott. DE MARZO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21390/2019 proposto da:

F.A., rappresentato e difeso dall’avvocato Letizia

Astorri, del foro di Fermo e domiciliato in Roma, piazza Cavour,

presso la cancelleria della Corte di Cassazione ovvero all’indirizzo

PEC del difensore iscritto nel REGINDE;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore;

– intimato –

avverso la sentenza n. 216/2019 della Corte di appello di Ancona,

depositata il 15/02/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

21/02/2020 dal Consigliere Dott.ssa Milena FALASCHI.

 

Fatto

OSSERVA IN FATTO E IN DIRITTO

Ritenuto che:

– con provvedimento del 02.07.2015 la Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Ancona rigettava la domanda del ricorrente, volta all’ottenimento dello status di rifugiato, della protezione c.d. sussidiaria o in subordine di quella umanitaria;

– avverso tale provvedimento interponeva opposizione F.A., che veniva respinta dal Tribunale di Ancona con ordinanza del 23.01.2016;

– in virtù di appello proposto dal medesimo F., la Corte di appello di Ancona, con sentenza n. 8/2017, pubblicata il 03.01.2017, dichiarava inammissibile l’appello proposto per tardività, confermata la decisione impugnata e con compensazione delle spese di lite;

– avverso la decisione di secondo grado veniva proposto ricorso per cassazione dall’originario ricorrente e la Corte Suprema, con sentenza n. 25715/2017 del 23.06.2017, in accoglimento del ricorso, cassava la sentenza impugnata, con rinvio alla Corte territoriale, in diversa composizione, accertando la tempestività del gravame proposto;

– riassunto il giudizio dinanzi alla Corte distrettuale indicata, questa nella resistenza del Ministero, respingeva nel merito il ricorso, con compensazione delle spese di entrambi i giudizi di appello e di quello di legittimità;

– la decisione del giudice del rinvio evidenziava l’insussistenza dei requisiti previsti dalla normativa, tanto per il riconoscimento dello status di rifugiato quanto per la protezione sussidiaria e umanitaria, effettuando, in primo luogo, una valutazione di non credibilità del racconto del ricorrente reso alla Commissione territoriale, considerato poco plausibile e connotato da un elevato, nonchè ingiustificato grado di genericità, soprattutto per quel che concerneva l’individuazione del fumus persecutionis o del pericolo di danno grave alla persona ove il richiedente avesse dovuto fare ritorno nel Paese d’origine. In particolare, il F. aveva dichiarato di essere del Gambia e di essere figlio di un militare di alto grado morto in carcere quando il richiedente aveva 15 anni, precisando che il genitore era detenuto poichè accusato, con altro militare, di essersi appropriato del denaro che aveva in consegna e destinato agli stipendi dei sottoposti, e che nel 2013 un vicino di casa, poliziotto, lo aveva avvertito che stava per essere arrestato sempre in ragione delle colpe del padre, circostanze che oltre ad essere non credibili, comunque evidenziavano contrasti tra privati o altrimenti nel normale alveo dell’emigrazione economica ed in ogni caso estranee alle ipotesi di cui all’applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 7 ed 8. Quanto alla protezione sussidiaria, in mancanza di elementi che facessero ritenere grave la situazione del ricorrente in relazione alle condizioni del Paese di provenienza, andava ugualmente respinta, non essendo il Gambia interessato da un conflitto armato e in considerazione delle aperture in senso democratico conseguenti alla elezione del nuovo Presidente B.A.. Nè il ricorrente si trovava in una situazione di “vulnerabilità” su cui invocare la protezione umanitaria, non essendo sufficiente l’acquisizione di una posizione lavorativa stabile nel nostro paese;

– propone ricorso per la cassazione avverso tale decisione il F., affidato a tre motivi, illustrati anche da memoria depositata in prossimità dell’adunanza camerale;

– il Ministero dell’Interno è rimasto intimato.

Atteso che:

– occorre preliminarmente rilevare che il Ministero dell’Interno è rimasto intimato, diversamente da quanto affermato dal ricorrente nella memoria illustrativa in cui ha dato atto delle difese dell’Amministrazione;

– passando all’esame del merito, con il primo motivo il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, la violazione e/o la falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3, 5 e 7, artt. 112,132 e 156 c.p.c., nonchè dell’art. 111 Cost., comma 6, in tema di credibilità ed attendibilità dei fatti narrati dal F., anche quale vizio di motivazione. Ad avviso del ricorrente i giudici del merito non avrebbero inquadrato i fatti narrati nel contesto della difficile situazione del suo paese, il Gambia, negli anni 2012 – 2013, nè valutati gli stessi come atti persecutori e forieri di danno grave in caso di rientro del richiedente nel suo Paese d’origine.

Il motivo non può trovare ingresso, posto che la Corte di merito ha espresso le ragioni poste a fondamento della non credibilità del racconto.

Osserva il Collegio che il giudice distrettuale ha giudicato il racconto del ricorrente inattendibile per la vaghezza e la inaffidabilità della fonte del denunciato pericolo, in particolare un vicino di casa, poliziotto, che lo avrebbe avvisato che stava per essere arrestato per le colpe del padre, circostanze che oltre ad essere non credibili, comunque evidenziavano contrasti tra privati o altrimenti poste nel normale alveo dell’emigrazione economica ed in ogni caso estranee alle ipotesi di cui all’applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 7 ed 8. Del resto il ricorrente ha confermato di avere ancora legami familiari in Gambia, dove oltre ad avere moglie e figlio, ha anche un fratello e le sorelle, per cui non si comprenderebbe per quale ragione le minacce e le richieste di restituzione delle somme pretesamente sottratte dal padre sarebbero state fatte solo al richiedente, rimasto il restante nucleo familiare nel Paese di origine, oltre a trattarsi di fatti ormai risalenti nel tempo. Ne consegue che correttamente la corte di merito ha escluso che le vicende narrate fossero idonee ad integrare una persecuzione rilevante ai fini del riconoscimento della protezione internazionale.

Del resto la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c). Tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (da ultimo: Cass. n. 3340 del 2019; Cass. n. 20580 del 2019).

Rispetto all’indicato principio, che risponde a consolidata giurisprudenza di questa Corte di legittimità, fermo ogni altro profilo di critica, la censura del racconto sub specie del vizio motivazionale, nella sua tendenziale insindacabilità nell’ambito del giudizio di legittimità, deve in ogni caso, ove introdotta, farsi carico di segnalare, nei termini sopra indicati, quale fatto sia stato omesso, nella sua decisività, nella valutazione del giudice del merito, non potendo limitarsi a denunciarne genericamente l’omissione.

I giudici di merito, infatti, hanno definito il racconto caratterizzato da estrema vaghezza e contraddittorietà e non suffragata da documentazione idonea ad avvalorare le vicende narrate; in ogni caso è stata ricondotta la narrazione a vicenda relativa a contrasti tra privati o altrimenti posta nel normale alveo dell’emigrazione economica e siffatta valutazione è rimasta incensurata;

– con il secondo motivo il ricorrente lamenta – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – la violazione e/o la falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 2, per avere omesso la Corte territoriale di accertare la corrispondenza del rappresentato quadro persecutorio e di rischio per la vita o l’incolumità fisica del richiedente con la situazione effettiva in cui versa il Paese di origine, non controllato dalle autorità locali e sconvolto da violenza generalizzata causata da azioni di gruppi terroristici capeggiata dal Presidente J.. Di converso nella specie la decisione è tutta incentrata sulla mancanza di credibilità o attendibilità della storia personale del richiedente, senza alcun collegamento con la condizione socio-politica del Gambia.

Il motivo è fondato e va accolto nei termini di seguito indicati.

La Corte di appello di Ancona ha escluso la sussistenza di una situazione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno ed internazionale nel paese di provenienza del ricorrente, affermando che il Gambia “non è in preda all’anarchia o sia retto da una dittatura sanguinaria”, non avendosi indicazioni in tal senso; “nè vanno comunque trascurate le aperture in senso democratico conseguenti alla elezione del nuovo Presidente del Gambia B.A.”, in tal modo obliterando le fonti ed ogni riferimento alla loro attualità, in violazione del sopra richiamato (principio di diritto a cui vuol darsi qui piena continuità, nella sua condivisibile portata.

La valutazione della domanda di protezione internazionale deve avvenire, a mente del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3, lett. a), tramite l’apprezzamento di tutti i fatti pertinenti che riguardano il paese di origine al momento dell’adozione della decisione.

Tanto si accompagna all’obbligo, previsto dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, di esaminare ciascuna domanda in forza di informazioni precise e aggiornate circa la situazione generale esistente nel paese di origine dei richiedenti asilo.

Le norme indicate pertanto oltre a sancire un dovere di cooperazione del richiedente asilo consistente nell’allegare, produrre o dedurre tutti gli elementi e la documentazione necessari a motivare la domanda, pongono a carico dell’autorità decidente un più incisivo obbligo di informarsi in modo adeguato e pertinente alla richiesta, soprattutto con riferimento alle condizioni generali del paese d’origine, allorquando le informazioni fornite dal richiedente siano deficitarie o mancanti (Cass. n. 7333 del 2015).

E la verifica, a carattere officioso, deve essere compiuta con riguardo alla situazione del paese in ragione di un accertamento che deve essere aggiornato al momento della decisione (Cass. n. 17075 del 2018).

Conclusivamente, infatti, nei giudizi di protezione internazionale, a fronte del dovere del richiedente di allegare, produrre o dedurre tutti gli elementi e la documentazione necessaria a motivare la domanda, la valutazione delle condizioni socio-politiche del Paese d’origine del richiedente deve avvenire, mediante integrazione istruttoria officiosa, tramite l’apprezzamento di tutte le informazioni, generali e specifiche di cui si dispone pertinenti al caso, aggiornate al momento dell’adozione della decisione, sicchè il giudice del merito non può limitarsi a valutazioni solo generiche ovvero omettere di individuare le specifiche fonti informative da cui vengono tratte le conclusioni assunte, potendo incorrere in tale ipotesi, la pronuncia, ove impugnata, nel vizio di motivazione apparente (Cass. 22 maggio 2019 n. 13897).

– con il terzo motivo il ricorrente lamenta – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – la violazione e/o la falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32 e del D.Lgs. n. 286 del 2008, art. 5, come riformato, per avere la Corte territoriale erroneamente valorizzato, quali presupposti per l’eventuale rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, la mancata certezza che il richiedente possa essere esposto ad una concreta situazione di pericolo per la sua vita e la generica compromissione dei diritti umani.

La censura è evidentemente assorbita dall’accoglimento del secondo mezzo sul mancato riferimento alle fonti circa la condizione del Gambia.

In conclusione, accolto il secondo motivo, assorbito il terzo e rigettato il primo, la sentenza impugnata va cassata nei limiti di cui in motivazione ed il giudizio rinviato alla Corte di appello di Ancona, in altra composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

PQM

La Corte rigettato il primo motivo, accoglie il secondo motivo di ricorso, assorbito il terzo;

cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte di appello di Ancona in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 21 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 28 gennaio 2021

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