Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19369 del 22/09/2011

Cassazione civile sez. I, 22/09/2011, (ud. 18/07/2011, dep. 22/09/2011), n.19369

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITRONE Ugo – Presidente –

Dott. SALME’ Giuseppe – Consigliere –

Dott. BERRUTI Giuseppe Maria – Consigliere –

Dott. BERNABAI Renato – rel. Consigliere –

Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 19339/2005 proposto da:

IFG – TETTAMANTI S.P.A. IN LIQUIDAZIONE E CONCORDATO PREVENTIVO (C.F.

(OMISSIS)), in persona dei Liquidatori pro tempore, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA ALFREDO FUSCO 104, presso l’avvocato CAIAFA

ANTONIO, rappresentata e difesa dall’avvocato BALDELLI Laura, giusta

procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI MILANO;

– intimato –

sul ricorso 24885-2005 proposto da:

COMUNE DI MILANO (c.f. (OMISSIS)), in persona del Sindaco pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, LUNGOTEVERE MARZIO, 3,

presso l’avvocato IZZO RAFFAELE, che lo rappresenta e difende

unitamente agli avvocati SURANO MARIA RITA, MAFFEY MARIA TERESA,

D’AURIA ELISABETTA, giusta procura in calce al controricorso e

ricorso incidentale;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

IFG-TETTAMANTI S.P.A. IN LIQUIDAZIONE E CONCORDATO PREVENTIVO;

– intimata –

avverso la sentenza n. 649/2005 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 07/03/2005;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

18/07/2011 dal Consigliere Dott. RENATO BERNABAI;

udito, per la ricorrente, l’Avvocato L. BALDELLI che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso principale, rigetto del ricorso

incidentale;

udito, per il controricorrente e ricorrente incidentale, l’Avvocato

R. IZZO che ha chiesto l’accoglimento del ricorso incidentale,

rigetto del ricorso principale;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CESQUI Elisabetta, che ha concluso per l’accoglimento dell’ottavo

motivo del ricorso principale assorbito il ricorso incidentale

condizionato, rigetto nel resto.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione notificato il 17 marzo 1998 la IFG-TETTAMANTI s.p.a in liquidazione e in concordato preventivo conveniva dinanzi al Tribunale di Milano il comune di Milano, per sentirlo condannare al risarcimento dei danni da maggiori oneri derivati da un contratto di appalto avente ad oggetto la ristrutturazione dell’obitorio e dell’Istituto di medicina legale.

Esponeva:

che il comune non aveva posto l’associazione temporanea di imprese di cui l’attrice era capogruppo in condizione di iniziare tempestivamente la realizzazione dell’opera, in costanza di esercizio dell’attività dell’obitorio, ed inoltre, aveva provocato una sospensione dei lavori per la necessità di una nuova progettazione, dopo che era stata accertata l’inidoneità delle strutture murarie e delle fondazioni a sostenere l’ampliamento volumetrico dell’edificio;

che le carenze progettuali avevano reso necessarie numerose varianti, con forzata riduzione dell’attività cantieristica;

che il comune aveva accolto, dopo il collaudo, solo in misura minima le riserve dell’impresa, tempestivamente iscritte.

Costituitosi ritualmente, il comune di Milano chiedeva il rigetto della domanda, o in subordine la riduzione delle somme pretese; in via riconvenzionale proponeva domanda di condanna dell’appaltatrice al pagamento della penale per il ritardo, determinata in L. 2.537.655.964.

Dopo l’espletamento di consulenza tecnica d’ufficio, il Tribunale di Milano, con sentenza 11 ottobre 2001, condannava il comune di Milano a pagare la somma di 3.847.352.051, con gli interessi legali e la rifusione delle spese di giudizio.

In parziale accoglimento del conseguente gravame, la Corte d’appello di Milano condannava il comune di Milano al pagamento della minor somma di Euro 309.709,49, oltre gli interessi dalla domanda, e dichiarava compensate le spese dei due gradi di giudizio.

Motivava:

che l’appaltatore è tenuto, a pena di responsabilità, a controllare gli atti di ingerenza della Pubblica amministrazione ed a segnalare i difetti del progetto, sospendendo, ove occorra, l’esecuzione dell’opera;

che la delibera di approvazione del collaudo era titolo per il pagamento dei lavori, ma non per il risarcimento dei danni e dei maggiori oneri;

che, nella specie, vi era stato un errore, comune al progettista ed all’impresa, nel programmare i lavori nell’obitorio mentre rimaneva in funzione: e tale superficialità andava ascritta anche all’impresa, che aveva sottoscritto un impegno che non era possibile mantenere;

che l’IFG Tettamanti, cui competevano i calcoli e le verifiche statiche, anzichè chiedere una perizia di variante, aveva predisposto allora una soluzione progettuale radicalmente diversa da quella prevista in contratto, senza neppure corredarla di disegni esecutivi: cosicchè i lavori erano risultati frammentai e soggetti a continue varianti, per colpa di entrambe le parti;

che non erano sufficienti a giustificare il pagamento di lavori aggiuntivi l’ordine del direttore del lavori – pur se su parere conforme della Pubblica amministrazione – in carenza della loro approvazione nelle forme di legge, nè la certificazione di ultimazione dei lavori, contenente l’attestazione che l’opera era stata eseguita secondo il progetto del contratto;

che infatti il direttore lavori non aveva il potere di variare l’appalto, nè disponeva del potere di rappresentanza della Pubblica amministrazione nell’attività negoziale;

che, in definitiva, l’opera era risultata totalmente difforme dal contratto e l’impresa non poteva quindi pretendere il risarcimento del danno.

Avverso la sentenza, notificata il 16 maggio 2005, l’IFG-TETTAMANTI s.p.a. proponeva ricorso per cassazione, articolato in nove motivi.

Deduceva:

1) la violazione della L. 20 marzo 1865, n. 2248, art. 342, allegato F) e degli artt. 102 e 103 del Regolamento 25 maggio 1895 n. 350, perchè era stata applicata la normativa che disciplina l’ipotesi di esecuzione di addizioni e variazioni non autorizzate ad una diversa fattispecie di mancata cooperazione della P.A. committente;

2) la violazione degli artt. 104 e 109 del Regolamento 350/1895 e dell’art. 2735 cod. civ., nonchè la carenza di motivazione nel non tener conto del valore dell’approvazione dell’opera, pur se difforme dal progetto;

3) la violazione del R.D. decreto 8 febbraio 1923, n. 422, art. 1, del R.D. 25 maggio 1895, n. 350, art. 520 (Regolamento per la direzione, contabilità e la collaudazione dei lavori dello Stato che sono nelle attribuzioni del Ministero dei Lavori pubblici), e artt. 1175, 1337 e 1375 cod. civ., nonchè la carenza di motivazione nell’attribuire la corresponsabilità del ritardo all’impresa appaltatrice, che aveva riposto legittimo affidamento sull’adeguatezza del progetto contrattuale;

4) la violazione degli artt. 1326, 1218 e 1227 cod. civ., perchè la Corte d’appello di Milano aveva affermato l’obbligo dell’impresa di effettuare te verifiche già prima di sottoscrivere il contratto e perchè il ritenuto concorso di colpa avrebbe dovuto condurre solo a una riduzione eventuale del risarcimento del danno;

5) la violazione del D.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063, art. 30, del R.D. 8 febbraio 1923, n. 2440, art. 1, degli artt. 5 e 20, regolamento n. 50/1895, degli artt. 1175 e 1375 cod. civ., nonchè l’omessa o insufficiente motivazione, per aver negato il risarcimento per maggiori oneri da sospensione dei lavori, dovuta in realtà a grave errore della Pubblica amministrazione e non ad ipotesi di forza maggiore, condizioni climatologiche e altre simili circostanze speciali o a ragioni di pubblico interesse o necessità che impedissero in via temporanea la prosecuzione dei lavori;

6) l’inosservanza degli artt. 1175 e 1375 cod. civ. e la carenza di motivazione, perchè la corte non aveva preso in esame l’appello incidentale volto a contestare la ritenuta inimputabilità a committente del ritardo per i primi 82 giorni, motivata dal primo giudice con la ritardata segnalazione, da parte dell’impresa appaltatrice, dell’impossibilità di procedere all’esecuzione dei lavori secondo il progetto originario;

7) la violazione della L. 20 marzo 1865, n. 2248, art. 342, allegato F), dell’art. 103 del regolamento n.350/1895, degli artt. 1175 e 1375 cod. civ., nonchè la carenza di motivazione nel non tener conto di circostanze messe in evidenza dalla consulenza tecnica d’ufficio e altresì delle diffide ad adempiere indirizzate al comune;

8) la violazione degli artt. 33 e 35 del Capitolato generale per le opere pubbliche nel rigettare la domanda volta ad ottenere gli interessi per il ritardo nella contabilizzazione degli stati di avanzamento dei lavori e nei successivi pagamenti degli acconti;

9) la violazione dell’art. 91 del regolamento 350/1895, della L. n. 741 del 1981, art. 5, della L. n. 1063 del 1962, art. 36, dell’art. 1224 cod. civ., nonchè l’omessa motivazione nell’esclusione degli interessi legali, speciali ed ordinari, sul presupposto che l’opera non fosse stata eseguita in conformità al progetto contrattuale.

Resisteva con controricorso il comune di Milano, che proponeva a sua volta ricorso incidentale condizionato in ordine al rigetto della condanna dell’impresa appaltatrice al pagamento della penale da ritardo.

Entrambe le parti depositavano, nel termine di cui all’art. 78 cod. proc. civ., memorie illustrative.

All’udienza del 18 luglio 2011 il Procuratore generale e i difensori precisavano le rispettive conclusioni come da verbale, in epigrafe riportate.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Dev’essere preliminarmente disposta la riunione del ricorso principale n. 19.339 R.G. 2005 e del ricorso incidentale n. 24.885 R.G. 2005, concernenti entrambi la medesima sentenza (art. 335 cod. proc. civ.).

Con il primo motivo l’IFG-TETTAMANTI s.p.a. deduce la violazione della L. 20 marzo 1865, n. 2248, art. 342, allegato F) e degli artt. 102 e 103 del Regolamento 25 maggio 1895 n. 350.

Il motivo è infondato.

La ratio decidendi del rigetto della domanda di danni risiede nella corresponsabilità dell’impresa appaltatrice nel mancato rilievo degli errori di progettazione, causa dell’impossibilità di rispettare i termini previsti per l’esecuzione dell’opera. L’impresa ha infatti omesso la doverosa verifica di fattibilità del progetto che ad essa competeva, quale imprenditore dotato di autonomia e professionalità specifica.

Non vi è quindi contraddizione tra il riconoscimento del corrispettivo, dopo il collaudo positivo dell’opera, e il diniego del risarcimento di danni imputabili alla stessa impresa ed evitabili con la diligenza qualificata che le era richiesta.

Con il secondo motivo si censura la violazione di legge e la carenza di motivazione nel non tener conto dell’approvazione dell’opera da parte del comune di Milano committente, pur se difforme dal progetto.

Il motivo è infondato.

Il collaudo positivo dell’opera non implicava, di per sè, l’approvazione delle varianti introdotte senza il rispetto della rituale procedura. Come esattamente statuito dalla corte territoriale, l’impresa appaltatrice, rilevata l’impossibilità di realizzare l’opera con le modalità e i tempi previsti nel contratto, avrebbe dovuto chiedere, per contro, una perizia di variante, ponendola come condizione sospensiva per l’inizio stesso dei lavori.

Ne consegue che la dichiarazione di conformità dell’opera al progetto contenuta nel certificato di collaudo, se costituisce titolo per il pagamento del corrispettivo, non ha alcun valore ricognitivo, e meno che mai confessorio, dell’ulteriore credito di natura risa rettoria, preteso ex adverso.

Con il terzo motivo la ricorrente denunzia la violazione di legge ed il vizio di motivazione nell’attribuzione di responsabilità per il ritardo all’impresa appaltatrice.

Anche questa doglianza non ha pregio.

La responsabilità della P.A. nella cattiva progettazione dell’opera pubblica è stata puntualmente accertata dalla corte territoriale;

che, per l’effetto, ha rigettato la domanda riconvenzionale del comune di Milano di pagamento della penale del ritardo.

Ciò peraltro non da adito, come detto, al risarcimento dei danni pretesi dall’impresa Tettamanti, dimostratasi carente della diligenza qualificata ed esigibile nel non verificare preventivamente la fattibilità del progetto (art. 1176 cod. civ., comma 2, art. 1227).

La critica del mancato riconoscimento della responsabilità esclusiva dell’amministrazione appaltante nella cattiva riuscita delle opere appaltate si scontra, pertanto, con il principio, più volte affermato da questa Corte, secondo cui l’appaltatore è tenuto a realizzare l’opera a regola d’arte; anche nel caso in cui il committente abbia predisposto il progetto e fornito indicazioni sulla relativa realizzazione: a meno che non sia ridotto a nudus minister, per essere direttamente e totalmente condizionato dalle istruzioni ricevute, senza possibilità di iniziativa o vaglio critico (cfr., ex multis, Cass., sez. 1, 2 luglio 2010, n. 15784; Cass., sez. 3, 31 maggio 2006, n. 12995).

Nè tale obbligo è escluso dal minor margine di autonomia goduto nell’appalto di opere pubbliche (Cass., sez. 3, 31 luglio 2002, n. 11356).

E’ quindi del tutto improprio parlare di affidamento sull’altrui progettazione a regola d’arte, incompatibile con il doveroso controllo di fattibilità a carico dell’impresa.

Con il quarto motivo le ricorrenti deducono la violazione degli artt. 1326, 1218 e 1227 cod. civ., sotto il profilo che il ritenuto concorso di colpa avrebbe solo giustificato la riduzione proporzionale del risarcimento, e non il rigetto integrale della domanda.

Al riguardo, richiamati i principi di diritto sopra esposti in tema di obblighi dell’appaltatore e premessa l’irrilevanza del momento di verifica della fattibilità dell’opera – prima o dopo la conclusione del contratto – si osserva come in realtà il congruo intervallo di tempo intercorso prima dell’inizio dei lavori rendesse evitabile l’intero danno: con la conseguenza che l’esecuzione intrapresa dell’opera, senza la previa variante del progetto, si pone come autonoma concausa sufficiente del pregiudizio conseguitone, insuscettibile di risarcimento, pur se pro parte.

Con il quinto motivo si censura la violazione di legge e l’omessa o insufficiente motivazione, per aver negato il risarcimento per maggiori oneri da sospensione dei lavori non dovuta ad ipotesi di forza maggiore, o a ragioni di pubblico interesse.

Anche questo motivo si palesa infondato. Le ipotesi di sospensione legittima per cause di forza maggiore, condizioni climatologiche o altre circostanze speciali o di pubblico interesse o necessità (D.P.R. n. 1063 del 1962, art. 30) presuppongono l’ipotesi normale dell’assenza di colpa sia dell’amministrazione committente che dell’impresa appaltatrice. Non è questo il caso in esame: in cui la stasi esecutiva è dipesa in via diretta dal comportamento negligente dell’impresa appaltatrice, così come accertato con motivazione immune da vizi logici.

Non vi è quindi titolo per un risarcimento da fatto proprio, per i maggiori oneri da ritardo nell’ultimazione dell’opera.

Con il sesto motivo la ricorrente denunzia la violazione di legge e la carenza di motivazione, per omesso esame dell’appello incidentale sulla ritenuta inimputabilità al committente del ritardo per i primi 82 giorni.

Anche in questo caso la ricorrente si limita a mettere in evidenza la responsabilità della P.A. committente sulle carenze tecniche del progetto, considerate l’unico antecedente causale della sospensione dei lavori, con valutazione di merito e richiamo di elementi probatori extratestuali insuscettibili di riesame in questa sede.

E’ del pari infondato il settimo motivo, concernente il mancato apprezzamento di circostanze messe in evidenza nella consulenza tecnica d’ufficio.

Come già rilevato, la corte territoriale, senza affatto pretermettere gli elementi di colpa del comune di Milano committente, ha però ritenuto dirimente la circostanza che l’impresa appaltatrice avesse egualmente dato inizio ai lavori: salvo, poi, riscontrare l’impossibilità di proseguirli a causa delle manchevolezze de progetto. Per il resto, la doglianza contiene riferimenti ad elementi probatori, inclusa la consulenza tecnica d’ufficio, in funzione di un sindacato di merito che non può trovare ingresso in questa sede.

Con l’ottavo e nono motivo, da esaminare congiuntamente per affinità di contenuto, si censura sotto il profilo della violazione di legge e della carenza di motivazione, l’omesso riconoscimento degli interessi da ritardo nei pagamenti.

Anche queste doglianze sono infondate.

Come correttamente statuito dalla corte territoriale, è ostativa al riconoscimento della mora debendi la difformità sostanziale dell’opera eseguita rispetto a quella prevista in contratto.

Il ricorso principale dev’essere dunque rigettato, con il conseguente assorbimento del ricorso incidentale condizionato.

Le spese seguono soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo, sulla base del valore della causa del numero di complessità delle questioni svolte.

P.Q.M.

– Riunisce i ricorsi;

– rigetta il ricorso principale, assorbito il ricorso incidentale condizionato;

– condanna la ricorrente alla rifusione delle spese processuali, liquidate in complessivi Euro 20.200,00, di cui Euro 20.000,00 per onorari, oltre le spese generali e gli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 18 luglio 2011.

Depositato in Cancelleria il 22 settembre 2011

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