Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19368 del 03/08/2017


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Cassazione civile, sez. III, 03/08/2017, (ud. 26/05/2017, dep.03/08/2017),  n. 19368

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – rel. Consigliere –

Dott. D’ARRIGO Cosimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 18270/2015 proposto da:

UNIPOLSAI ASSICURAZIONI SPA, in persona del suo rappresentante legale

pro tempore Dott.ssa C.A.R., elettivamente domiciliata

in ROMA, VIA L. BISSOLATI 76, presso lo studio dell’avvocato TOMMASO

SPINELLI GIORDANO, rappresentata e difesa dall’avvocato RODOLFO

BERTI giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

R.N.C., A.M.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 524/2015 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 16/04/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

26/05/2017 dal Consigliere Dott. FRANCESCO MARIA CIRILLO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CARDINO Alberto, che ha concluso per il rigetto;

udito l’Avvocato RODOLFO BERTI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Il Tribunale di Ancona, accogliendo la domanda di risarcimento dei danni proposta da R.N.C. nei confronti di A.M. e della s.p.a. Milano Assicurazioni, condannò i convenuti in solido al pagamento della somma complessiva di Euro 793.288,50, oltre interessi e con il carico delle spese.

A sostegno della propria decisione il Tribunale osservò che, avendo l’ A. investito volontariamente e a più riprese la R. con la propria autovettura, schiacciandole le gambe contro il muro di un edificio a ridosso del marciapiede, l’assicurazione obbligatoria doveva nella specie ritenersi operante, posto che essa sussiste in via principale per tutelare i danneggiati e non l’autore del sinistro e che il fatto era comunque da ricollegare al concetto di circolazione del veicolo.

2. La pronuncia è stata appellata dalla società di assicurazione e la Corte d’appello di Ancona, con sentenza del 16 aprile 2015, ha rigettato il gravame, condannando l’appellante al pagamento delle ulteriori spese del grado.

Ha osservato la Corte territoriale – richiamando e facendo proprie le conclusioni di alcune pronunce della Corte di legittimità, emesse sia in sede penale che civile, pronunce dalle quali ha ritenuto non esserci ragione di discostarsi – che la normativa in materia di assicurazione obbligatoria per la responsabilità civile degli autoveicoli non ha solo una funzione di copertura del rischio del soggetto assicurato, ma anche di strumento di protezione e risarcimento del danneggiato. Mentre nei rapporti tra assicurato ed assicuratore l’esistenza di un fatto doloso implica il venire meno del rischio, ponendo il danno causato all’infuori della previsione contrattuale, altrettanto non può dirsi nei rapporti tra danneggiato ed assicuratore. In tale diverso ambito sarebbe improprio, secondo la Corte d’appello, parlare in termini di rischio assicurato, perchè si è al di fuori di una disciplina assicurativa propriamente detta.

La tutela del danneggiato, infatti, si inserisce in un contesto nel quale il concetto di rischio assicurato rimane affatto estraneo, posto che la “connotazione principale della responsabilità extracontrattuale si è ormai accentrata sulla posizione del danneggiato e privilegia la componente riparatoria”.

Ha concluso la Corte d’appello, quindi, nel senso che l’art. 1917 c.c., opera solo nei rapporti tra assicurato e assicuratore e che la finalità criminale non esclude, comunque, che si debba parlare di circolazione del veicolo, perchè il regime giuridico da applicare non si stabilisce sulla base delle intenzioni dell’assicurato.

3. Contro la sentenza della Corte d’appello di Ancona propone ricorso la Unipolsai Assicurazioni s.p.a., incorporante la Milano Assicurazioni, con atto affidato a due motivi.

Gli intimati non hanno svolto attività difensiva in questa sede.

La ricorrente ha depositato un’istanza con la quale sollecita che la trattazione del ricorso sia rimessa alle Sezioni Unite di questa Corte.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo si lamenta, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), violazione e falsa applicazione dell’art. 2054 c.c., in relazione alla L. 24 dicembre 1969, n. 990, art. 1, ed al D.Lgs. 7 settembre 2005, n. 209, art. 122.

La società ricorrente, dopo aver osservato che la sentenza impugnata si sarebbe limitata a ribadire argomentazioni di precedenti pronunce di legittimità, senza una propria motivazione, rileva che vi sarebbe differenza tra la norma generale dell’art. 2043 c.c., che prevede la responsabilità per dolo o per colpa, e l’art. 2054 c.c., che regola la responsabilità per la circolazione degli autoveicoli con principi diversi. In tale ipotesi il dolo dell’assicurato escluderebbe l’operatività della garanzia, perchè il concetto stesso di circolazione non consente che il contratto di assicurazione possa essere operante in rapporto ad un fatto avvenuto tramite l’uso del mezzo non come strumento per la circolazione, bensì come mezzo per ledere, come una sorta di arma. Il motivo in esame richiama anche l’ampia discussione giurisprudenziale e dottrinale circa il concetto giuridico di circolazione ed osserva che la giurisprudenza di legittimità, pur avendo ritenuto operante l’assicurazione in caso di incendio di un veicolo in sosta, ha poi escluso che ciò valga anche in caso di incendio doloso. Anche in base alla normativa europea, la circolazione del veicolo consiste nella funzione abituale dello stesso, di talchè l’uso a fini di omicidio non potrebbe che escludere l’operatività della garanzia.

2. Con il secondo motivo si lamenta, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), violazione dell’art. 1917 c.c., in relazione alla L. 24 dicembre 1969, n. 990, art. 122 ed al D.Lgs. 7 settembre 2005, n. 209, art. 122.

Rileva la società ricorrente che la polizza assicurativa per la responsabilità civile automobilistica è pur sempre un contratto rientrante nella previsione generale dell’art. 1917 c.c., in base al quale la copertura per il caso di dolo è esclusa. Ammettere l’operatività della garanzia in un caso come quello in esame equivale, secondo la ricorrente, a porre a carico di un privato la copertura di un onere di tipo solidaristico che dovrebbe essere assunto dallo Stato.

3. I due motivi, benchè contenenti censure diverse, devono essere trattati insieme, data l’evidente connessione tra loro esistente. Entrambi, infatti, si riassumono nella contestazione della sentenza impugnata in relazione al riconoscimento, da questa operato, della perdurante efficacia del rapporto di assicurazione in favore del terzo danneggiato, benchè il mezzo di trasporto sia stato usato con una finalità del tutto diversa da quella per cui esso è assicurato; i motivi di ricorso, significativamente, rilevano che l’automobile fu usata, nel caso in esame, come un’arma e non come un mezzo di trasporto.

11. La questione giuridica sulla quale questa Corte è chiamata a pronunciarsi può riassumersi nel quesito se il contratto di assicurazione obbligatoria per la responsabilità civile degli autoveicoli debba o meno ritenersi operante in relazione ad ipotesi nelle quali la circolazione del mezzo è avvenuta con modalità che lo hanno reso piuttosto simile ad un’arma che non, appunto, ad un mezzo di trasporto; in particolare ai fini di stabilire se l’obbligazione dell’assicuratore permanga in tali casi in favore del soggetto danneggiato.

3.2. Tale questione, a ben vedere, non è nuova nella giurisprudenza di questa Corte, come la sentenza impugnata ha correttamente posto in luce, facendo riferimento ad un orientamento più che ventennale.

Ed infatti già la sentenza 18 febbraio 1997, n. 1502, ebbe ad occuparsi di un caso nel quale la vittima era rimasta uccisa a seguito dell’investimento da parte di una vettura il cui conducente era stato condannato per omicidio preterintenzionale. In quell’occasione questa Corte, leggendo in modo collegato le norme della L. 24 dicembre 1969, n. 990, artt. 1 e 18 e dell’art. 2054 c.c. e ponendo in luce come tali norme non compiano distinzione tra fatti colposi e fatti dolosi, giunse alla conclusione che la garanzia assicurativa doveva considerarsi operante in ogni caso nei confronti del terzo danneggiato. Ciò anche in considerazione del “particolare interesse pubblico della tutela sociale dei danni derivati dalla circolazione stradale” e della linea di tendenza del diritto europeo nel senso del riconoscimento del preminente interesse del danneggiato ad essere ristorato nel danno subito.

La successiva sentenza 17 maggio 1999, n. 4798, confermò questa linea in relazione alla diversa fattispecie nella quale il soggetto trasportato a bordo di un motociclo aveva chiesto il risarcimento dei danni in conseguenza del tentativo di rapina subito ad opera di due ignoti che, a bordo di un altro ciclomotore, avevano speronato il primo, determinando danni al trasportato. In quella pronuncia fu anche affrontato il problema della compatibilità tra la permanenza dell’obbligo assicurativo a tutela del terzo danneggiato e la disposizione dell’art. 1917 c.c., che stabilisce l’esclusione dalla garanzia per i danni derivanti da fatti dolosi. In particolare, la sentenza si interrogò sul se l’assicurazione potesse rimanere operante in relazione al caso, come quello in esame, di fatto doloso dello stesso assicurato. Alla soluzione affermativa la pronuncia in esame pervenne, accogliendo i suggerimenti della dottrina, operando una distinzione tra il rapporto tra assicuratore ed assicurato, “soggetto, sia pure con qualche riserva, alla disciplina privatistica del contratto”, ed il rapporto tra assicuratore e danneggiato, “che ha invece connotazioni pubblicistiche”. Per cui, nel sottolineare “l’allarme sociale suscitato dalla gravità e frequenza degli incidenti connessi con la circolazione dei veicoli”, la sentenza n. 4798 rilevò che la legge tutela il danneggiato anche nell’ipotesi in cui un contratto di assicurazione non sia stato neppure stipulato (L. n. 990 del 1969, art. 19, comma 1, lett. b). La previsione di simile tutela dimostra l’attenzione del legislatore per la posizione del danneggiato, rilevandosi quindi come “sarebbe certamente incongruo ritenere che il legislatore abbia inteso escludere detta tutela nel caso di atti dolosi”. Il bilanciamento di tale ricostruzione fu ravvisato nella permanenza dei principi civilistici con riferimento ai rapporti tra assicuratore ed assicurato; per cui, “una volta avvenuto il pagamento previsto dalla legge in favore del danneggiato, nell’ipotesi di cui alla L. n. 990 del 1969, art. 18, l’assicuratore ha verso la propria controparte contrattuale (l’assicurato) il diritto di rivalsa disciplinato dal secondo comma di tale norma”.

Le successive pronunce hanno confermato quest’orientamento.

In particolare, la sentenza 21 giugno 2004, n. 11471, ribadì l’operatività della garanzia assicurativa in relazione ad un caso nel quale un autocarro, sottratto da ignoti al suo legittimo proprietario, era stato usato “come ariete per sfondare la vetrina della gioielleria” della società danneggiata. Nel cassare la sentenza di merito che aveva rigettato la domanda proposta contro la società di assicurazione, questa Corte rilevò che l’art. 1917 c.c., non costituisce “il paradigma tipico della responsabilità civile da circolazione, che si trova nelle leggi sulla responsabilità civile autoveicoli e nelle direttive europee che affermano il principio di solidarietà verso il danneggiato”.

Sulla stessa linea si colloca anche la sentenza 5 maggio 2009, n. 10301, che ha confermato la precedente giurisprudenza in un caso ancora diverso (si trattava qui di un episodio di teppismo di strada, nel quale il conducente di un ciclomotore, tentando di resistere all’aggressione di tre malviventi i quali, a bordo di un altro motociclo, gli avevano ordinato di fermarsi e di consegnare il proprio ciclomotore, era stato da questi spintonato finendo con l’essere investito da parte di una vettura che proveniva nel senso opposto di marcia).

4. La società ricorrente, nel porre in luce le criticità della giurisprudenza ora richiamata e le conseguenze a suo dire paradossali che deriverebbero dal mantenimento di tale orientamento, ha richiamato anche le più recenti pronunce che hanno affrontato e ricostruito il concetto giuridico di circolazione al fine di stabilire l’operatività o meno della garanzia assicurativa. In particolare, il ricorso ha citato la sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea 4 settembre 2014, n. 162 (nella causa C-162/13) e quella delle Sezioni Unite di questa Corte 29 aprile 2015, n. 8620.

Non è il caso, ovviamente, di ripercorrere nell’odierna pronuncia i molteplici passaggi logici contenuti nella citate pronunce.

Occorre tenere presente, però, che la Corte di giustizia ha precisato che la normativa europea deve essere interpretata nel senso che “rientra nella nozione di circolazione dei veicoli qualunque uso che sia conforme alla funzione abituale dello stesso”.

Le Sezioni Unite, chiamate con la citata sentenza a chiarire i concetti di circolazione e di sosta ai fini dell’operatività del contratto di assicurazione, hanno affermato che “nell’ampio concetto di circolazione stradale indicato nell’art. 2054 c.c. è compresa anche la posizione di arresto del veicolo, sia in relazione all’ingombro da esso determinato sugli spazi addetti alla circolazione, sia in relazione alle operazioni eseguite in funzione della partenza o connesse alla fermata, sia ancora con riguardo a tutte le operazioni che il veicolo è destinato a compiere e per il quale esso può circolare nelle strade. Ne consegue che per l’operatività della garanzia per la R.C.A. è necessario il mantenimento da parte del veicolo, nel suo trovarsi sulla strada di uso pubblico o sull’area ad essa parificata, delle caratteristiche che lo rendono tale sotto il profilo concettuale e, quindi, in relazione alle sue funzionalità, sia sotto il profilo logico che sotto quello di eventuali previsioni normative, risultando, invece, indifferente l’uso che in concreto si faccia del veicolo, semprechè che esso rientri in quello che secondo le sue caratteristiche il veicolo stesso può avere”.

La sentenza delle Sezioni Unite qui richiamata – nella quale si doveva risolvere una situazione di contrasto non tanto in relazione ai concetti di circolazione e di quiete del veicolo, quanto piuttosto “con riferimento ad alcune ipotesi peculiari di sosta, segnatamente allorquando il veicolo sta svolgendo specifiche operazioni funzionali alle caratteristiche strutturali proprie del mezzo” – è pervenuta alla conclusione sopra riportata sulla base di un ampliamento del concetto di circolazione, tale da ricomprendere anche situazioni che, a voler essere rigorosi, non rivestirebbero tale connotato.

5. Ritiene pertanto il Collegio, tirando le fila di questa complessa ricostruzione alla luce delle due autorevoli pronunce in ultimo richiamate, che la giurisprudenza in precedenza ricordata debba trovare oggi ulteriore conferma, senza necessità di rimettere l’esame della questione, come auspicato dalla società ricorrente, alle Sezioni Unite di questa Corte.

E’ infatti incontestato che la vicenda della quale si discute nell’odierno giudizio – in cui la vettura fu utilizzata come una vera e propria arma, investendo più volte la malcapitata vittima, nell’intento deliberato di ferirla o di ucciderla – non consente di affermare che il veicolo sia stato utilizzato in modo conforme alle sue caratteristiche, ovvero secondo la funzione abituale dello stesso. Tuttavia è indubbio che di circolazione comunque si trattava, posto che l’incidente fu determinato dal movimento di un’automobile, sia pure in modo improprio rispetto alla sua natura di mezzo di trasporto. Da ciò consegue che, in nome dell’esigenza di tutela primaria del soggetto danneggiato – esigenza che è a fondamento dell’intero sistema della responsabilità civile autoveicoli, tanto che il Fondo di garanzia per le vittime della strada è tenuto a coprire anche il danno causato da veicolo non assicurato – il contratto di assicurazione viene, in un certo senso, a scindersi. In un caso come quello odierno il contratto opera in favore del terzo danneggiato che ha diritto di ottenere dall’assicuratore del responsabile il risarcimento del danno; ma non opera in favore dell’assicurato danneggiante, contro il quale l’assicuratore avrà il diritto di regresso, come se il contratto in realtà non ci fosse.

Se così non fosse, d’altra parte, si lascerebbe al sostanziale arbitrio dell’assicurato danneggiante, che ha agito usando il mezzo di trasporto in modo volontariamente improprio, l’esistenza o meno della tutela di un soggetto terzo (il danneggiato) che tale uso ha subito senza alcun contributo volontario e senza potersi opporre; si consentirebbe cioè al comportamento del danneggiante di esplicare la propria influenza anche nel rapporto tra assicuratore e danneggiato rispetto al quale il danneggiante è estraneo.

Osserva la Corte, inoltre, come non sia più in discussione, alla luce dell’evoluzione della normativa nazionale e sovranazionale, che l’assicurazione obbligatoria per la responsabilità civile degli autoveicoli non ha soltanto la funzione di garantire i proprietari degli stessi dai rischi connessi con la circolazione, ma ha anche quella, almeno altrettanto significativa, di proteggere le potenziali vittime dei sinistri stradali. Tale obiettivo è quanto mai evidente in un caso come quello in esame, nel quale la vittima si è trovata a subire le conseguenze di un comportamento che, benchè folle, pure si collega con l’uso dell’automobile; nè va trascurato che alcuni recenti tragici fatti di cronaca hanno reso ancora più pressante l’esigenza di protezione dei singoli che si trovino, del tutto incolpevolmente, vittime di assurde violenze consumate proprio con i mezzi di trasporto, utilizzati come micidiali strumenti di morte.

6. La società ricorrente ha a lungo insistito, nel secondo motivo, sulla incompatibilità, derivante dal citato art. 1917 c.c., tra dolo dell’assicurato ed operatività della garanzia assicurativa; ed ha rammentato, a sostegno della propria tesi, la giurisprudenza di questa Corte che, in caso di incendio propagatosi da veicolo in sosta, ha escluso l’operatività della garanzia assicurativa se l’incendio ha natura dolosa.

Rileva il Collegio che il riferimento giurisprudenziale è corretto (v. le sentenze 6 maggio 1998, n. 4575, e 22 maggio 2008, n. 13239), ma non corretta è la conclusione che se ne trae. E’ evidente, infatti, la differenza tra il fatto doloso del terzo – che, come questa Corte ha affermato, è di per sè idoneo ad escludere il nesso di causalità tra la circolazione e l’evento dannoso – ed il comportamento doloso dell’assicurato che ha utilizzato il mezzo di trasporto come un’arma impropria, senza tuttavia recidere l’indicato nesso di causalità.

Ribadita, nei termini suindicati, la giurisprudenza consolidata sulla materia, i due motivi di ricorso risultano infondati.

6. Il ricorso, pertanto, è rigettato.

Non occorre provvedere sulle spese, atteso il mancato svolgimento di attività difensiva da parte degli intimati.

Sussistono tuttavia le condizioni di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, per il versamento, da parte della società ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza delle condizioni per il versamento, da parte della società ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 26 maggio 2017.

Depositato in Cancelleria il 3 agosto 2017

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