Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19367 del 07/07/2021

Cassazione civile sez. trib., 07/07/2021, (ud. 10/03/2021, dep. 07/07/2021), n.19367

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLITANO Lucio – Presidente –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Paolo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore, legale

rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, ex lege,

dall’Avvocatura Generale dello Stato, ed elettivamente domiciliata

presso i suoi uffici, alla via dei Portoghesi n. 12 in Roma;

– ricorrente –

contro

Banca Popolare dell’Emilia Soc. Coop., in persona del legale

rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, in virtù di

procura speciale stesa in calce al ricorso, dagli Avv.ti Augusto

Fantozzi, Roberto Tieghi, Francesco Giuliani ed Eduardo Belli

Contarni, che hanno indicato i recapiti PEC, ed elettivamente

domiciliata presso lo studio dei difensori, alla via Sicilia n. 66

in Roma;

– controricorrente –

Avverso la sentenza n. 53, pronunciata dalla Commissione Tributaria

Regionale di Bologna il 12.4.2013, e pubblicata il 22.4.2013;

ascoltata, in Camera di Consiglio, la relazione svolta dal

Consigliere Di Marzio Paolo.

la Corte osserva:

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

la Banca Popolare dell’Emilia Romagna, in data 6.3.2008, riceveva la notifica della cartella di pagamento n. 070 2008 0004769777, emessa a seguito di liquidazione ai sensi del D.P.R. n.. n. 600 del 1973, art. 36 bis, avente ad oggetto maggiore Irap per l’importo di Euro 321.762,42, oltre accessori, in relazione all’anno 2004, in conseguenza dell’aumento dell’aliquota, da quella ordinaria del 4,25% fino al 5,25%, decisa dalla Regione Veneto con L. 24 novembre 2003, n. 38. L’Istituto di credito onorava il pagamento ma, ritenendo la pretesa tributaria illegittima, adiva la Commissione Tributaria Provinciale di Modena e domandava la restituzione di quanto versato. L’Amministrazione finanziaria si costituiva e chiedeva confermarsi la piena legittimità dell’applicazione dell’aliquota come elevata, al 5,25%, dalla Regione Veneto e comunque, in via subordinata, domandava applicarsi l’aliquota del 4,75% “già stabilita per l’anno 2002” (sent. CTR, p. III). La CTP riteneva che l’applicazione dell’aliquota aumentata, deliberata dalla Regione, fosse stata sospesa da normativa statale sopravvenuta, ed in conseguenza accoglieva il ricorso, riteneva doversi applicare l’aliquota ordinaria del 4,25%, e disponeva procedersi in misura integrale al rimborso richiesto.

La decisione sfavorevole conseguita innanzi alla CTP era contestata dall’Ente impositore innanzi alla Commissione Tributaria Regionale di Bologna, e l’Amministrazione finanziaria insisteva nel domandare di riconoscere efficace l’aumento dell’aliquota disposto con provvedimento legittimo dalla Regione Veneto e comunque, in via subordinata, domandava applicarsi l’aliquota del 4,75% “già così stabilita per l’anno 2002” (sent CTR, p. III). La CTR, in particolare, riteneva non applicabile nel caso di specie la L. n. 350 del 2003, art. 2, comma 22, che aveva escluso dalla sospensione talune normative regionali, perchè relativo alle sole disposizioni adottate dalle Regioni che risultavano “non conformi” a quelle statali, mentre l’aumento dell’aliquota era stato disposto con normativa regionale (di per sè) legittima. In conseguenza confermava la decisione di primo grado.

Avverso la decisione adottata dalla Regione Veneto ha proposto ricorso per cassazione l’Agenzia delle Entrate, affidandosi ad un unico, articolato, motivo di ricorso. Resiste mediante controricorso la Banca Popolare dell’Emilia Romagna.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1. – Con il suo motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, l’Amministrazione finanziaria contesta la decisione adottata dall’impugnata CTR per essere incorsa nella violazione del D.Lgs. n. 446 del 1997, artt. 6, 7, 16 e 45, della L. n. 289 del 2002, art. 3, comma 1, lett. a), della L. n. 350 del 2003, art. 2, commi 21 e 22, nonchè della L.R. Veneto n. 38 del 2003, art. 2, perchè l’indicata disposizione della legge regionale che aveva aumentato l’aliquota dell’Irap al 5,25%, essendo stata emanata in maniera “non conforme” alle prescrizioni statali, non doveva intendersi oggetto di sospensiva ai sensi della L. n. 350 del 2003, art. 2, comma 21, bensì di sanatoria ai sensi della L. n. 350 del 2003, art. 2, comma 22. In via subordinata, poi, non poteva che trovare applicazione l’aliquota effettivamente vigente nell’anno 2002, pari al 4,75%, e non l’aliquota ordinaria del 4,25%, invocata dalla contribuente.

2.1. – Mediante il suo motivo di impugnazione l’Agenzia delle Entrate censura la decisione adottata dalla CTR di Bologna per non aver statuito che l’aliquota dell’Irap applicabile ad un Istituto bancario nella Regione Veneto, ed in relazione all’anno 2004, dovesse essere pari al 5,25h, come disposto con la L.R. n. 38 del 2003, ed in via subordinata per non aver ritenuto applicabile l’aliquota del 4,75%, effettivamente vigente nell’anno 2002, avendo invece ritenuto applicabile l’aliquota ordinaria, pari al 4,25%.

La controricorrente Banca Popolare dell’Emilia Romagna replica con diffusi argomenti, che saranno valutati nel prosieguo, ed in via preliminare contesta la “inammissibilità del richiamo all’aliquota del 4,75 %” (controric., p. 48 s.). La controricorrente interpreta la richiesta subordinata di applicazione dell’aliquota effettivamente vigente nell’anno 2002, pari al 4,75%, come una “domanda riconvenzionale”, che peraltro ammette essere stata proposta dall’Ente impositore tanto nel primo grado del giudizio quanto in grado di appello. Secondo l’Istituto di credito l’Amministrazione finanziaria deve rimanere ferma nella pretesa avanzata con l’atto impositivo, in relazione alla quale il contribuente è chiamato a difendersi, e “non può modificare in corso di causa la motivazione (i.e., i presupposti di fatto e diritto) della pretesa impositiva avanzata e, quindi, la causa petendi” (controric., p. 50).

La contestazione di inammissibilità appare infondata.

Innanzitutto deve rilevarsi che l’Ente impositore evidentemente non può, nell’atto tributario, indicare ragioni e quantificazioni plurime e diverse, in ordine gradato, della pretesa impositiva. Tanto premesso, può quindi indicarsi il principio di diritto secondo cui “anche nel corso del giudizio, a differenza del caso di una rettifica della pretesa impositiva che comporti un incremento dell’onere richiesto al contribuente, ipotesi che importa la necessità di emanare un nuovo provvedimento impositivo, è liberamente consentito all’Ente impositore modificare la pretesa impositiva riducendola, anche in sede di proposizione di una richiesta subordinata” (cfr., Cass. sez. V, 29.12.2020, n. 29732; Cass. sez. V, 30.10.2018, n. 27543), in applicazione del principio logico secondo cui il più contiene il meno.

Tanto premesso, le questioni proposte dai contendenti in questo giudizio sono state ripetutamente scrutinate da questa Corte di legittimità, la quale ha raggiunto un orientamento consolidato, che le pur attente ricostruzioni proposte da entrambe le parti non inducono a modificare.

Può allora confermarsi che il Veneto, avvalendosi del potere attribuito alle Regioni dal D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 16, comma 3 (come modificato dal D.Lgs. n. 506 del 1999, art. 1, comma 1, lett. “l”, n. 2), mediante la L. 22 novembre 2002, n. 34, art. 2, e con la L. 24 novembre 2003, n. 38, art. 2, ha determinato nel 5,25% l’aliquota Irap applicabile ai soggetti di cui al D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 6 avente ad oggetto le banche, come l’odierna controricorrente – e art. 7, per gli anni 2003 e 2004. La L. 27 dicembre 2002, n. 289 (finanziaria 2003), art. 3, comma 1, lett. “a”, a sua volta, ha stabilito, “in funzione dell’attuazione del titolo V della parte seconda della Cost. e in attesa della legge quadro sul federalismo fiscale”, che gli aumenti delle addizionali Irpef e la maggiorazione dell’aliquota dell’Irap di cui al D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 16, comma 3, “deliberati successivamente al 29 settembre 2002 e che non siano confermativi delle aliquote in vigore per l’anno 2002, sono sospesi fino a quando non si raggiunga un accordo ai sensi del D.Lgs. 28 agosto 1997, n. 281, in sede di Conferenza unificata tra Stato, regioni ed enti locali sui meccanismi strutturali del federalismo fiscale”. Tale sospensione delle maggiorazioni Irap regionali è stata poi confermata fino al 31/12/2004, con la L. n. 350 del 2003 (finanziaria 2004), art. 2, comma 21, ai sensi del quale “Fino al 31 dicembre 2004 restano sospesi gli effetti degli aumenti delle addizionali e delle maggiorazioni di cui alla L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 3, comma 1, lett. a), eventualmente deliberati; gli effetti decorrono, in ogni caso, a decorrere dal periodo d’imposta successivo alla predetta data”. Dalla lettura della L. n. 289 del 2002, art. 3, comma 1, lett. “a”, e della L. n. 350 del 2003, art. 2, comma 21, emerge che gli incrementi dell’aliquota Irap previsti dalle Regioni per gli anni 2003 e 2004 sono stati sospesi – e pertanto non sono applicabili – a meno che “non siano confermativi delle aliquote in vigore per l’anno 2002”.

L’ormai consolidato orientamento di questa Corte (cfr. sentenze nn. 5867/12, 7344/12, 21327/13, 3574/15, 33624/19) afferma pure, rispondendo alle critiche proposte dall’Amministrazione finanziaria anche in questo giudizio, che gli effetti delle disposizioni incrementative dell’aliquota Irap dettate dalle L.R. Veneto in materia, L.R. n. 34 del 2002 e L.R. n. 38 del 2003, non sono fatti salvi dal disposto della L. n. 350 del 2003, art. 2, comma 22, secondo cui: “Nelle more del completamento dei lavori dell’Alta Commissione di cui alla L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 3, comma 1, lett. b), nelle regioni che hanno emanato disposizioni legislative in tema di tassa automobilistica e di IRAP in modo non conforme ai poteri ad esse attribuiti in materia dalla normativa statale, l’applicazione della tassa opera, a decorrere dalla data di entrata in vigore di tali disposizioni legislative e fino al periodo di imposta decorrente dal 1 gennaio 2010, sulla base di quanto stabilito dalle medesime disposizioni nonchè, relativamente ai profili non interessati dalle predette disposizioni, sulla base delle norme statali che disciplinano il tributo”. Tale ultima disposizione, infatti, concerne gli effetti di norme che siano state emanate dalle Regioni in modo non conforme ai poteri ad esse attribuiti, laddove le maggiorazioni dell’aliquota Irap di cui si discute sono state disposte dalla Regione Veneto in conformità ai poteri alla stessa attribuiti dal D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 16, come correttamente sottolineato dalla Banca controricorrente nel presente giudizio.

Ribadito che per gli anni d’imposta 2003 e 2004 gli incrementi dell’aliquota Irap disposti dalle Regioni rispetto all’aliquota ordinaria di cui al D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 16, comma 1, non sono applicabili, a meno che “non siano confermativi delle aliquote in vigore per l’anno 2002”, assicurando continuità ad orientamento ormai consolidato, a seguito di oscillazioni giurisprudenziali peraltro correttamente segnalate dalla odierna controricorrente (controric., p. 9 s.), definito con le pronunce nn. 19838/12, 21327/13, 17017/14, 26263/14, 3574/15, nonchè recentemente confermato con la già ricordata decisione n. 33624 del 2019, occorre riaffermare che la disciplina relativa alla facoltà delle Regioni di variare l’aliquota Irap fino ad un massimo di un punto percentuale deve essere interpretata nell’ottica del legislatore di perseguire gli obiettivi di autonomia e decentramento fiscale delle Regioni stesse (c.d. federalismo fiscale) ed in tale prospettiva deve essere coerentemente inteso anche il disposto della L. n. 289 del 2002, art. 3, comma 1, lett. a), norma che, nel sospendere l’efficacia degli aumenti dell’aliquota Irap deliberati dalle Regioni successivamente al 29 settembre 2002 – come si verifica nel caso in esame – e non confermativi delle aliquote in vigore per l’anno 2002, ha voluto comunque limitare l’effetto sospensivo a quelle maggiorazioni che determinassero, e nella misura in cui determinassero, il superamento dell’aliquota applicata per l’anno 2002 e, in quanto tali, fossero non confermative di tale aliquota. La nozione di confermatività, invero, deve intendersi riferita alla percentuale effettivamente vigente nel 2002, in conseguenza di una previa determinazione regionale (adottata nell’esercizio del potere assegnato alle Regioni dal D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 16, comma 3) o, in difetto di determinazione regionale, per effetto della disposizione transitoria statale dettata nel D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 45, comma 2.

La sospensione disposta dalla L. n. 289 del 2002, art. 3, comma 1, lett. a), e confermata dalla L. n. 350 del 2003, art. 2, comma 21, aveva dunque ad oggetto la maggiorazione dell’aliquota deliberata dalle Regioni, ma incideva su quella sola parte di essa che, decisa per il periodo d’imposta 2003, e poi per il 2004, eccedesse la percentuale in concreto già in vigore per il periodo d’imposta 2002; tale sospensione non incideva quindi sulla parte della maggiorazione dell’aliquota dell’IRAP deliberata dalla regione Veneto che non eccedeva l’aliquota del 4,75 per cento, effettivamente in vigore nel periodo d’imposta 2002, per i soggetti di cui al D.Lgs. n. 446 del 1997, artt. 6 e 7, ai sensi del D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 45, comma 2.

Ne discende che deve essere accolta la richiesta subordinata proposta dall’Agenzia delle Entrate, che ha domandato applicarsi l’aliquota del 4,75%.

La sentenza impugnata deve essere perciò cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, disponendo l’accoglimento dell’originario ricorso proposto dalla contribuente per la sola parte di esso relativa al diritto alla restituzione dell’IRAP versata in eccedenza rispetto a quella dovuta in applicazione dell’aliquota del 4,75 per cento.

In considerazione dell’esito del giudizio, e delle oscillazioni giurisprudenziali registratesi nel passato in materia, appare equo che le spese del giudizio di legittimità, così come quelle relative ai gradi di merito del giudizio, siano dichiarate interamente compensate tra le parti.

La Corte:

P.Q.M.

accoglie la domanda subordinata proposta dall’Agenzia delle Entrate, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie l’originario ricorso della contribuente, per la parte relativa al suo diritto alla restituzione dell’Irap versata in eccesso, rispetto a quella dovuta in applicazione dell’aliquota del 4,75%.

Compensa tra le parti le spese di lite in relazione all’intero giudizio.

Così deciso in Roma, il 10 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 7 luglio 2021

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