Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19366 del 20/07/2018


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 19366 Anno 2018
Presidente: CHINDEMI DOMENICO
Relatore: VARRONE LUCA

SENTENZA

sul ricorso 27143/2011 proposto da:
DON DIEGO S.R.L. (C.F. 01517770432) in Persona del legale
rappresentante Ermanno Donati, rappresentata e difesa dall’avvocato
Luca Forte del foro di Macerata, entrambi elettivamente domiciliati in
ROMA, LUNGOTEVERE DELLA VITTORIA N.11, presso lo studio
dell’avvocato Giuseppe Lorè;
– ricorrente contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, (CF 06363991001) elettivamente
domiciliata in ROMA, via dei Portoghesi, presso l’Avvocatura Generale
dello Stato che la rappresenta e difende;
– controricorrente –

Ric. 2011 n. 27143 sez. S5 – ud. 05-06-2018

Data pubblicazione: 20/07/2018

avverso la sentenza n. 86/1/2011 della COMMISSIONE TRIBUTARIA
REGIONALI di ANCONA, depositata il 24/03/2011;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
05/06/2018 dal Consigliere Dott. LUCA VARRONE;
udito il Sostituto Procuratore generale in persona del dott. Mauro

udito l’Avvocato Andrea Paolucci per delega dell’avvocato Forte;
udito l’Avvocato dello Stato Roberto Palasciano.
FATTI DI CAUSA

1. L’Agenzia delle Entrate di Recanati con avviso di accertamento
emesso nei confronti della srl Don Diego recuperava l’IVA dovuta pari
ad euro 85.774 oltre alla sanzione di euro 107.217,50 per il presunto
mancato adempimento degli obblighi previsti dal quarto comma
dell’articolo 8 DPR n. 633 del 1972 che prevedono la comunicazione
al competente ufficio dell’Acquisizione di azienda in affitto con
trasferimento del plafond IVA per gli acquisti in sospensione
d’imposta, maturato per l’anno 2004 non ancora utilizzato.
2.

La società proponeva ricorso alla commissione tributaria

provinciale di Macerata chiedendo l’applicazione del principio della
prevalenza della sostanza sulla forma, in quanto l’Agenzia delle
Entrate era stata messa a conoscenza di tutti i fatti contestati
mediante la registrazione del contratto di affitto, avendo la stessa
competenza sia sull’imposta di registro che sull’iva.
3. Il giudice adito accoglieva parzialmente il ricorso riducendo la
sanzione amministrativa a euro 2.065,83 per l’omessa comunicazione
all’ufficio iva, come previsto dagli articoli 5 e 6 del d. Igs. n. 471 del
1997, inerente le sanzioni per errori formali connessi alle
comunicazioni inerenti VIVA gli uffici finanziari competenti.

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Vitiello, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso;

4. L’Agenzia delle Entrate proponeva appello e la Commissione
Regionale di Ancona lo accoglieva, ritenendo che l’omesso
adempimento, da parte del ricorrente nel presentare il prescritto
modulo dal ufficio IVA, di barrare la casella relativa al plafond, non
poteva ridursi a mero errore formale, essendo di contro un ostacolo

fiscale della società, in quanto il comma 4 dell’articolo 8 del d.p.r. n.
633 del 1972 lo considera un requisito tassativo.
Inoltre al fine di prevenire possibili utilizzazioni fraudolente
dell’istituto dell’affitto di azienda, le comunicazioni da fare agli uffici,
riguardo anche l’utilizzo del plafond IVA, devono essere considerate il
necessario completamento di un sistema normativo volto ad
assicurare indispensabile chiarezza di rapporti tra il fisco e il
contribuente.
5. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione la
Srl Don Diego sulla base di due motivi di ricorso.
6. Si è costituita l’Agenzia delle Entrate con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Il primo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa
applicazione dell’art. 8, comma 4, d.p.r. n. 633 del 1972; violazione
art. 360, n. 3, c.p.c. e violazione art. 360, n. 5, c.p.c. per
insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il
giudizio in relazione alla dedotta unificazione dell’ufficio registro e
dell’ufficio IVA nell’agenzia delle Entrate dal conseguente valore
costitutivo del diritto del contribuente dell’avvenuta registrazione del
contratto di affitto di azienda
Secondo la società ricorrente la sentenza della CTR fornisce
un’interpretazione formalistica ed anacronistica dell’articolo 8, comma
4, d.P.R. n. 633 del 72 secondo cui la casella da barrare relativa al

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all’attività di controllo da parte dell’ufficio della complessiva posizione

plafond IVA non è un errore formale ma un ostacolo all’attività di
controllo.
1.1 La ricorrente concorda sul fatto che la ratio della norma sia
proprio quella di fornire all’ufficio IVA un’effettiva possibilità di verifica
e controllo e, tuttavia, sottolinea che la norma in esame è in vigore

comunicazione a mezzo raccomandata mentre ormai da diversi anni il
mezzo comunemente legittimamente utilizzato è l’invio telematico del
modello AA7/7 all’Agenzia delle Entrate ai sensi dell’articolo 5 del
d.P.R. n. 633 del 72. Secondo il ricorrente mentre nell’anno di
emanazione della normativa in esame esistevano due distinti uffici:
l’ufficio registro e l’ufficio IVA e, dunque, la

ratio della norma era

quella di prevedere una sorta di doppia comunicazione, a seguito
della riorganizzazione dell’amministrazione finanziaria (d. Igs. n. 300
del 99) operativa dal primo gennaio 2001) oggi esiste un solo ufficio
e, dunque, la registrazione del contratto di affitto di azienda
contenente la clausola di cessione del plafond IVA regolarmente
effettuato nel caso di specie fornisce di per sè all’amministrazione
finanziaria a tutti i dati necessari a un effettiva è puntuale attività di
controllo.
Il mero errore materiale consistito nell’ omessa comunicazione
della cessione del plafond tramite il modello AA7/7 casella PL, perde
quindi ogni valore costitutivo del diritto del contribuente non potendo
incidere su una situazione giuridica validamente costituita e messa
già a conoscenza dell’amministrazione con la registrazione del
contratto.
2. Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa
applicazione dell’art. 10, comma 1 e comma 3, della legge n. 212 del
2000 e art. 3 della Costituzione in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c.;
violazione art. 360, n. 4, c.p.c. nullità della sentenza per radicale

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da circa vent’anni e fa espressamente riferimento a una

mancanza di motivazione in violazione dell’articolo 36 d.lgs. n 546 del
1992 in merito all’applicabilità al caso di specie dell’articolo 10 della I.
n.212 del 2000 del principio della tutela della buona fede di non
sanzionabilità del contribuente in caso di mero errore formale senza
debito d’imposta

possono essere irrogate sanzioni o richiesti interessi di mora quando
il comportamento o l’omissione del contribuente si traducono in una
mera violazione formale senza alcun debito d’imposta.
2.1 La ricorrente cita poi la giurisprudenza della Cassazione che
si è formata sulla norma ora citata che ha una portata generale ed è
destinata a disciplinare una serie indeterminata di casi concreti.
Nel caso in esame osserva come l’omissione materiale della
compilazione del modello AA7/7 in riferimento alla casella plafond non
possa incidere sui presupposti della applicazione del trasferimento del
medesimo plafond come previsto dall’art. 8, comma 4, d.P.R. n. 633
del 1972.
2.2 La ricorrente evidenzia che non vi è stato alcun danno per
l’erario in quanto se non avesse utilizzato il plafond avrebbe
semplicemente aumentato il proprio credito IVA nei confronti
dell’erario e, dunque, sarebbe stata creditrice della stessa somma che
le viene ingiustamente richiesta dall’agenzia delle entrate.
In sostanza la ricorrente ritiene provata la sua assoluta
correttezza e buona fede tanto che una volta superato il plafond IVA
a disposizione in forza del contratto di affitto di azienda regolarmente
registrato, ha immediatamente provveduto a regolarizzare la propria
posizione dal punto di vista fiscale emettendo come previsto dalla
legge la fattura per la somma in eccedenza.
La ricorrente, invoca anche l’applicazione del principio della
prevalenza della sostanza sulla forma come affermato anche dalla

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Ai sensi dell’articolo 10 dello statuto del contribuente non

giurisprudenza della Corte di Giustizia perché il contratto di affitto di
azienda con la quale veniva trasferito anche il plafond è stato
regolarmente registrato e portato a conoscenza dell’Agenzia delle
Entrate, dunque non vi è stata alcuna perdita di entrate fiscali o
compressione della compromissione della riscossione dell’IVA, posto

avrebbe maturato un credito di pari importo di cui chiedere il
rimborso evidente e la mancata comunicazione all’amministrazione
finanziaria è dunque un inadempimento puramente formale.
3. Entrambi i motivi che possono essere trattati congiuntamente
stante la loro intima connessione sono fondati.
L’istituto del plafond rappresenta una deroga rispetto
all’ordinario sistema dell’IVA. La

ratio

dell’istituto risponde

all’esigenza di evitare che determinate categorie di operatori
economici, che effettuano un notevole volume di cessioni
all’esportazione si trovino gravati da un consistente credito di imposta
nei confronti dell’Erario.
3.1 Il plafond di cui all’art.8 del DPR n. 633 del 1972 individua il
limite quantitativo entro il quale l’esportatore abituale può esercitare
la facoltà di acquistare ed importare beni e servizi senza pagamento
dell’imposta (ad eccezione di fabbricati, aree edificabili e beni e
servizi per i quali VIVA è indetraibile). L’ammontare del plafond è
determinato dalle cessioni all’esportazione o dalle altre operazioni non
imponibili ad esse assimilate registrate nell’anno solare o nei dodici
mesi precedenti. Sul piano funzionale il meccanismo del plafond
elimina, pertanto, lo «svantaggio economico» derivante dal credito
IVA maturato dal produttore-esportatore che fisiologicamente non è
possibile ottenere a rimborso in tempi sufficientemente brevi, con
conseguente penalizzazione, sotto il profilo finanziario, dello stesso
soggetto e, più in generale, delle operazioni di esportazione.

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che la mancanza di utilizzazione del plafond dalla Don Diego srl

3.2. Nel caso in esame viene in considerazione la mancata
comunicazione telematica all’ufficio Iva dell’intenzione della società
affittuaria di un ramo di azienda, di utilizzare il plafond maturato dalla
cedente nel corso della attività svolta in epoca antecedente.
La CTR ha ritenuto che tale omissione concretizzi un ostacolo

fiscale della società e che, dunque, non si possa considerare alla
stregua di una violazione meramente formale.
Tuttavia è circostanza non contestata dalle parti che il contratto
di affitto di azienda contenente la clausola di cessione del plafond IVA
era regolarmente registrato, pertanto, nel caso di specie
l’amministrazione finanziaria aveva tutti i dati necessari per una
concreta ed effettiva attività di controllo.
3.3 II giudice del gravame ha omesso di considerare tale ultima
circostanza che unitamente alla incapacità della violazione di incidere
sulla determinazione della base imponibile e sul versamento del
tributo consentiva di attribuire alla violazione commessa carattere
meramente formale.
Si è più volte affermato, infatti, che quando ricorrono i due
concorrenti requisiti, ovvero quello di non arrecare pregiudizio
all’esercizio delle azioni di controllo e, al contempo, di non incidere
sulla determinazione della base imponibile dell’imposta e sul
versamento del tributo la violazione deve essere considerata
puramente formale

(ex plurimis

Sez. 5, Sent. n. 2882 del 2017,

Sez. 5, Ord. n. 23352 del 2017).
Orbene, va osservato che in coerenza con il principio di neutralità
che ispira il sistema IVA, qualora venga definita l’obbligazione
tributaria mediante il pagamento delle somme richieste dall’ufficio e il
credito, ancorché non dichiarato, risulti effettivamente spettante, il
contribuente ha diritto di essere ammesso al rimborso dell’eccedenza

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all’attività di controllo da parte dell’ufficio della complessiva posizione

medesima, oppure di scomputare direttamente quest’ultima dalla
somma spettante al fisco.
Al riguardo, è principio affermato da questa Corte quello per cui
il diritto alla detrazione dell’eccedenza IVA deve essere tutelato in
modo sostanziale ed effettivo, e va riconosciuto a fronte di una reale

di obblighi dichiarativi (Cass., S.U., n. 17757/2016).
Da tali principi è dato desumere che nel caso, come quello in
esame, in cui il contribuente abbia omesso di comunicare all’Ufficio
Iva la volontà di avvalersi del plafond Iva non è possibile configurare
una violazione equiparabile sostanzialmente a quella afferente
all’indebito o fraudolento uso del medesimo credito, con la
conseguenza giuridica dell’equiparazione di tale condotta ad una
concreta attività d’evasione fiscale.
3.4 La condotta ascritta al contribuente, seppure formalmente
non corretta, si risolve in una mera irregolarità dichiarativa in quanto
la volontà di avvalersi del plafond è stata comunque veicolata
mediante la registrazione del contratto, sicché la stessa non può
concretizzare un effettivo illecito avente ad oggetto il mancato
versamento di imposte, occorrendo che esso sussista effettivamente
e che abbia causato un concreto danno erariale.
Né può ipotizzarsi un tentativo di illecito fiscale (amministrativo),
considerato che non è dubbia la condotta in buona fede del
contribuente che ha utilizzato un reale credito IVA.
4. In conclusione il ricorso deve essere accolto e la sentenza
impugnata deve essere cassata.
5. Questa Corte, non essendo necessari ulteriori accertamenti di
fatto, accoglie l’originario ricorso proposto dalla Don Diego srl.

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operazione sottostante, essendo a tal fine poco rilevante l’osservanza

6. Le spese dell’intero giudizio devono essere compensate in
considerazione dell’oggettiva incertezza interpretativa circa la
disciplina applicabile alla fattispecie.
P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa l’impugnata sentenza e

S.r.l., avverso l’avviso di accertamento, e compensa le spese
dell’intero giudizio.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Quinta
seconda Civile, il 5 giugno 2018.

decidendo nel merito accoglie il ricorso proposto dalla Don Diego

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