Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19365 del 07/07/2021

Cassazione civile sez. trib., 07/07/2021, (ud. 18/11/2020, dep. 07/07/2021), n.19365

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLITANO Lucio – Presidente –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello M. – Consigliere –

Dott. CENICCOLA Aldo – Consigliere –

Dott. SAIEVA Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24800/2013 proposto da:

B.F., rappresentato e difeso dall’avv. Gaetano Troiani,

(pec: avv.gtroiani.pec.giuffre.it), elettivamente domiciliato in

Roma, Via Tacito, n. 90, presso lo studio dell’avv. Alessandra Piana

(pec: alessandrapiana.ordineavvocatiroma.org);

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro-tempore;

– intimata –

Avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Veneto

n. 24/14/13, pronunciata il 23 gennaio 2013 e depositata il 14 marzo

2013;

Udita la relazione della causa svolta nella Camera di Consiglio del

18 novembre 2020 dal Consigliere Saieva Giuseppe.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. B.F. impugnava dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Vicenza, l’avviso di accertamento con cui l’Agenzia delle entrate rettificava la dichiarazione da lui presentata ai fini IRPEF per l’anno 2007, determinando la maggiore imposta dovuta in 120.225 Euro oltre addizionali. L’accertamento si basava sul processo verbale di costatazione della Guardia di finanza nel quale si ipotizzava che il contribuente, legale rappresentante di una società di capitali a ristretta base sociale, fosse il responsabile di condotte illecite essendo coinvolto in un sistema di operazioni fraudolente, denominato frodi-carosello. Secondo quanto era stato accertato dagli inquirenti, la società agiva nel sistema di frode come cartiera di secondo livello, interposta fra la società “Conceria Pasubio s.p.a.”, destinataria effettiva della merce proveniente dall’estero, e due società cartiere “Markfihl s.r.l.” e “MarMa s.r.l.”, le quali, acquisito pellame proveniente dal Brasile, pagavano in Italia esclusivamente i dazi doganali e, dopo avere depositato la merce nei depositi della dogana, emettevano autofattura e successivamente la vendevano alla società ” B. & C. s.r.l.”, che a sua volta la rivendeva alla Pasubio. La merce ceduta dalle società Markfill e MarMa era regolarmente fatturata, ma senza il versamento dell’IVA, con uno sconto del 10-12% rispetto al prezzo di acquisto e poi rivenduta con un ricarico irrisorio dell’1/0, dal B., che emetteva regolari fatture all’effettivo destinatario della merce e che versava l’IVA dovuta.

2. La Commissione tributaria adita rigettava il ricorso del contribuente con decisione che in appello veniva confermata dalla Commissione tributaria regionale del Veneto con sentenza n. 24/14/13, depositata il 14 marzo 2013.

3. Avverso tale decisione il B. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a sette motivi, cui l’Agenzia delle Entrate non ha opposto alcuna difesa.

4. Il ricorso è stato fissato per la Camera di Consiglio del 18 novembre 2020, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., u.c., e dell’art. 380 bis 1 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

che:

1.1. Con il primo motivo il ricorrente deduce ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), violazione o falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1 e 2, e n. 5 per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, quale l’illegittimo ricorso al metodo induttivo.

1.2. Con il secondo motivo deduce ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), nullità della sentenza – errore in procedendo in merito alla pretesa necessità di espressa domanda di correzione dell’avviso di accertamento anche nei confronti di un terzo soggetto, Brunello Rinaldo, non preso in considerazione ai fini della ripartizione del reddito accertato.

1.3. Con il terzo motivo deduce ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), violazione o falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 7, conseguente alla allegazione del P.V.C. formato da “numerosissime pagine mancanti di numerazione progressiva e in molti casi riportanti fatture ed altri documenti non legati da un filo discorsivo”.

1.4. Con il quarto motivo deduce ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 4) e 5) – errore in procedendo, omessa pronuncia c/o omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in merito all’eccepita non corrispondenza al vero delle circostanze contenute nell’avviso impugnato.

1.5. Con il quinto motivo deduce ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 5), violazione o falsa applicazione degli artt. 2727 c.c. ss. sulle presunzioni – omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio ovvero in merito all’omessa o errata valutazione degli elementi probatori forniti in riferimento alla propria diligenza e buona fede o comunque all’assenza di dolo in capo allo stesso – illegittima ed errata valutazione degli indizi forniti dall’ufficio, inidonei ad assurgere al carattere di gravità, e concordanza, specie se raffrontati con gli elementi probatori di cui sopra.

1.6. Con il sesto motivo deduce ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 5), violazione o falsa applicazione del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 19, omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio ovvero in merito all’asserito sottocosto del prezzo di acquisto delle pelli ad opera della B. & Co. S.r.l. ed alla consapevolezza e riconoscibilità del medesimo.

1.7. Con il settimo motivo deduce ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 5), violazione o falsa applicazione dell’art. 2727 ss. c.c. sulle presunzioni omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio ovvero in merito alla rilevanza ed attendibilità delle dichiarazioni del Marcante.

2. Va innanzitutto osservato che i motivi n. 1, n. 4, n. 5, n. 6 e n. 7 del ricorso sono nel loro insieme inammissibili.

2.1. Invero, con ciascuno di essi il ricorrente ha promiscuamente denunciato in singoli motivi violazioni di legge e vizi di motivazione, talchè gli stessi risultano specificamente inammissibili per mescolanza delle dedotte violazioni pacificamente non ammessa. Come affermato da questa Corte, infatti, nel ricorso per cassazione, i motivi di impugnazione che prospettino una pluralità di questioni sono inammissibili in quanto, da un lato, costituiscono una negazione della regola della chiarezza e, dall’altro, contraddicendo in maniera palese il principio di specificità, richiedono un intervento della Corte – cui la stessa non è tenuta – volto ad enucleare dalla mescolanza dei motivi le parti concernenti le separate censure (Cass. Sez. 5, 14 settembre 2016, n. 18021; nonchè Sez. 5, 20 luglio 2018, n. 19363).

2.2. Più in particolare, costituisce principio giurisprudenziale consolidato (Cass. Sez. L. 11 aprile 2008, n. 9470), quello secondo cui è specificamente inammissibile il motivo di ricorso nel cui contesto trovino formulazione, al tempo stesso, censure non suscettibili di esame autonomo aventi ad oggetto violazione di legge e vizi della motivazione. Oltre che per le ragioni anzidette, comuni alle altre tipologie di indebita mescolanza di profili di censura ex art. 360 c.p.c., comma 1, è stato rilevato che, mentre il vizio di falsa applicazione della legge si risolve in un giudizio sul fatto contemplato dalle norme di diritto positivo applicabili al caso specifico (con la correlata necessità che la sua denunzia debba avvenire mediante l’indicazione precisa dei punti della sentenza impugnata, che si assumono in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse, fornita dalla giurisprudenza di legittimità e/o dalla dottrina prevalente), il vizio relativo all’incongruità della motivazione comporta un giudizio sulla ricostruzione del fatto giuridicamente rilevante e sussiste solo qualora il percorso argomentativo adottato nella sentenza di merito presenti lacune ed incoerenze tali da impedire l’individuazione del criterio logico posto a fondamento della decisione, talchè tra le due censure deducibili in sede di legittimità non vi possono essere giustapposizioni (Cass. Sez. L. 23 ottobre 2018, n. 26874).

2.3. Considerato pertanto, che le formulazioni usate – le quali non soltanto mescolano critiche riconducibili all’una e all’altra violazione su profili connessi, ma addirittura fondono censure diverse tra loro in unitarie trattazioni – non sono conformi alla regola di chiarezza, vanno dichiarati inammissibili gli anzidetti motivi di ricorso, la cui considerazione in nessun altro modo potrebbe avvenire se non affidando a questa Corte un compito integrativo dei motivi del tutto precluso dalla legge.

2.4. Gli stessi motivi, con i quali il ricorrente denuncia vizi motivazionali ex art. 36 c.p.c.0, comma 1 n. 5, sono peraltro inammissibili trovando qui applicazione ratione temporis (ai sensi del D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 3) il nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1 n. 5, in quanto la sentenza impugnata è stata pubblicata in data successiva all’11 settembre 2012, sicchè il vizio della motivazione è deducibile soltanto in termini di “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”; come chiarito dalla giurisprudenza di questa Corte (Cass. S.U. 22 settembre 2014 n. 19881; Cass. S.U. 7 aprile 2014 n. 8053) la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione; è pertanto denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione; deve, quindi, ritenersi inammissibile ogni doglianza rivolta a censurare l’insufficienza della motivazione; nè si rinviene l’omesso esame di un fatto decisivo ed oggetto di discussione tra le parti, secondo la nuova formulazione. dell’art. 360 c.p.c., comma 1 n. 5, applicabile ratione temporis.

2.5. Nel caso in esame il ricorrente non denuncia alcun omesso esame di un fatto storico, ma censura globalmente ed indistintamente la motivazione, denunciandone sostanzialmente l’insufficienza (vizio non più deducibile secondo il “riformato” art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) e sollecitando questa Corte a sostituirsi al giudice di merito nell’esame complessivo delle risultanze probatorie, in tal modo formulando censure di merito non ammesse nel giudizio di legittimità.

3. Quanto alla doglianza contenuta nel secondo motivo con il quale il ricorrente deduce nullità della sentenza ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), in merito alla “pretesa necessità di espressa domanda di correzione dell’avviso di accertamento circa la mancata ripartizione del reddito accertato anche nei confronti di un terzo soggetto, Br.Ri., non preso in considerazione”, la stessa si appalesa inammissibile per carenza di interesse dell’odierno ricorrente al coinvolgimento nell’indagine di altro soggetto, atteso che, come correttamente rilevato dalla C.T.R., l’accertamento dei proventi derivanti da reato ascrivibili ad altri eventuali correi esula dal thema decidendum. La Commissione ha infatti correttamente osservato che l’avviso aveva per oggetto l’accertamento dei proventi derivanti dal reato percepiti dal B. ed il suo coinvolgimento nella operazione fraudolenta, ma non la dimostrazione dell’esistenza o meno di correi.

4. Quanto al terzo motivo di ricorso, va poi disattesa la dedotta violazione o falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 7, conseguente alla allegazione del P.V.C. redatto dalla G.d.F. formato da “numerosissime pagine mancanti di numerazione progressiva e in molti casi riportanti fatture ed altri documenti non legati da un filo discorsivo”, atteso che lo stesso ricorrente ha ammesso che detto verbale gli era stato notificato con l’attestazione di conformità a quello oggi contestato. Si appalesa comunque inammissibile la relativa censura per assoluta genericità della stessa, in quanto “la modalità anomala ed imprecisa con cui tale atto era stato redatto, ossia per l’assenza di numerazione di gran parte delle pagine e per la totale mancata indicazione del numero totale delle stesse” non consente, in assenza di specifiche contestazioni, di verificare la consistenza della dedotta violazione di legge.

5. Il ricorso va quindi rigettato. L’assenza di attività difensiva dell’amministrazione finanziaria (non costituita) esime da qualsiasi disposizione in ordine alle spese di giudizio.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 18 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 7 luglio 2021

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