Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19363 del 07/07/2021

Cassazione civile sez. trib., 07/07/2021, (ud. 18/11/2020, dep. 07/07/2021), n.19363

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLITANO Lucio – Presidente –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello M. – Consigliere –

Dott. CENICCOLA Aldo – rel. Consigliere –

Dott. SAIEVA Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 8426/2014 proposto da:

G.M. (CF (OMISSIS)), rapp.to e difeso per procura a

margine del ricorso dall’avv. Luigi Ferdinando Berardi, presso il

quale elettivamente domicilia in Roma al Corso Trieste n. 128;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE (CF (OMISSIS)), in persona del Direttore p.t.,

rapp.ta e difesa ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato,

elettivamente domiciliata in Roma alla v. dei Portoghesi n. 12;

– resistente –

avverso la sentenza n. 302/22/13 depositata in data 26 settembre 2013

della Commissione Tributaria Regionale del Lazio;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di Consiglio del

giorno 18 novembre 2020 dal relatore Dott. Ceniccola Aldo.

 

Fatto

RILEVATO

che:

Con sentenza n. 302/22/13 la Commissione tributaria regionale del Lazio respingeva l’appello proposto da G.M. avverso la sentenza con la quale la Commissione tributaria provinciale di Roma ne aveva parzialmente accolto il ricorso avverso l’avviso di accertamento relativo all’anno di imposta 2005, emesso sulla scorta di indagini autorizzate sui conti correnti dai quali risultavano movimenti di denaro non giustificati e non compatibili con il reddito dichiarato.

Osservava la CTR che era infondato il motivo di appello riguardante la violazione del diritto di difesa (dovuta all’impossibilità per il contribuente di prendere visione dell’autorizzazione ad effettuare l’indagine sui conti correnti), in quanto era presente, fra gli atti processuali, l’autorizzazione del Direttore Generale.

Quanto al merito, secondo la CTR erano evidenti le contraddizioni in cui era incorso il contribuente: l’Ufficio aveva ritenuto ingiustificato l’introito di Euro 375 mila quale prezzo di vendita di un immobile del ricorrente, atteso che nel preliminare di vendita era stato concordemente definito il prezzo di Euro 875 mila, di cui Euro 375 mila a titolo di caparra, mentre nell’atto definitivo, prodotto dallo stesso contribuente, il corrispettivo della vendita veniva indicato in complessivi Euro 500 mila che il venditore dichiarava di avere già ricevuto, sicchè, a fronte di tali palesi divergenze ed in assenza di valide giustificazioni, la pretesa dell’Amministrazione finanziaria era del tutto legittima.

Anche il terzo motivo di appello era manifestamente infondato, attesa l’astrattezza, rispetto alla controversia in esame, del mero richiamo ai principi generali dell’ordinamento tributario.

Avverso tale sentenza il contribuente propone ricorso per cassazione affidato a sette motivi. L’Ufficio ha depositato un atto al solo dichiarato fine di poter partecipare all’eventuale udienza di discussione. Il ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta l’illegittimità della sentenza per violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 32, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, e con il secondo motivo la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, sempre in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

1.1. Con tali mezzi, che possono essere esaminati congiuntamente in quanto connessi, il ricorrente lamenta l’illegittimità del “modus operandi” seguito dall’Ufficio, in quanto la presunzione posta dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, n. 2, non sarebbe da sola sufficiente a dimostrare che un soggetto, nel caso di specie un pensionato, abbia effettivamente conseguito ed omesso di dichiarare redditi diversi, in quanto in nessun caso l’Ufficio potrebbe considerarsi esonerato dall’onere di dimostrare, attraverso elementi ulteriori rispetto ai dati emergenti dall’analisi dei conti correnti, che il soggetto nei cui confronti si intende procedere all’accertamento abbia realmente conseguito redditi diversi.

1.2. I motivi sono infondati.

1.3. Come condivisibilmente rimarcato da Cass. n. 29572 del 2018 “In tema d’imposte sui redditi, la presunzione legale (relativa) della disponibilità di maggior reddito, desumibile dalle risultanze dei conti bancari giusta il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, n. 2, non è riferibile ai soli titolari di reddito di impresa o da lavoro autonomo, ma si estende alla generalità dei contribuenti, come si ricava dal successivo art. 38, riguardante l’accertamento del reddito complessivo delle persone fisiche, che rinvia allo stesso art. 32, comma 1, n. 2; tuttavia, all’esito della sentenza della Corte costituzionale n. 228 del 2014, le operazioni bancarie di prelevamento hanno valore presuntivo nei confronti dei soli titolari di reddito di impresa, mentre quelle di versamento nei confronti di tutti i contribuenti, i quali possono contrastarne l’efficacia dimostrando che le stesse sono già incluse nel reddito soggetto ad imposta o sono irrilevanti” (conf. Cass. n. 1519 del 2017 e da ultimo Cass. n. 23799 del 2020, non massimata).

1.4. Ne consegue che, a differenza di quanto sostenuto dal ricorrente, le operazioni bancarie di versamento posseggono un valore presuntivo nei confronti di tutti i contribuenti, i quali possono contrastarne l’efficacia solo dimostrando che le somme sono già incluse nel reddito soggetto ad imposta o sono irrilevanti, dimostrazione mancante nel caso in esame.

2. Con il terzo motivo il contribuente denuncia l’illegittimità della sentenza per insufficiente ed illogica motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 e al D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 62, nonchè la nullità della sentenza o del procedimento in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

2.1. In particolare, secondo il ricorrente, il giudice di appello avrebbe omesso di esaminare e valutare i documenti prodotti nel corso del giudizio dai quali emergeva chiaramente che il versamento della somma di Euro 375 mila costituiva una parte del corrispettivo ricevuto dal ricorrente in occasione della stipula del contratto preliminare di vendita; avrebbe trascurato di precisare quali sarebbero state le contraddizioni in cui era incorso il contribuente e quali sarebbero state le divergenze di natura documentale; avrebbe omesso di esporre le ragioni che lo hanno indotto a ritenere che il ricorrente non avesse fornito valide giustificazioni, nemmeno indicando rispetto a quali profili tali giustificazioni dovevano essere fornite.

2.2. Il motivo è inammissibile.

2.3. E’ consolidato nella giurisprudenza di legittimità il principio secondo cui la motivazione del provvedimento impugnato con ricorso per cassazione deve ritenersi apparente quando, pur se graficamente esistente ed, eventualmente sovrabbondante nella descrizione astratta delle norme che regola la fattispecie dedotta in giudizio, non consente alcun controllo sull’esattezza e la logicità del ragionamento decisorio, così da non attingere la soglia del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6 (cfr. fra le tante Cass. n. 13248 del 2020).

2.4. Quanto al contenuto della sentenza, poi, il vizio di motivazione previsto dall’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e dall’art. 111 Cost. sussiste quando la pronuncia riveli una obiettiva carenza nella indicazione del criterio logico che ha condotto il giudice alla formazione del proprio convincimento, come accade quando non vi sia alcuna esplicitazione sul quadro probatorio, nè alcuna disamina logico-giuridica che lasci trasparire il percorso argomentativo seguito (cfr. Cass. n. 3819 del 2020).

2.5. Applicando tali principi al caso in esame, deve osservarsi che la CTR ha puntualmente dato atto della circostanza che l’Ufficio non aveva ritenuto di ricollegare l’introito di Euro 375 mila all’operazione di vendita dell’immobile in quanto, mentre nel preliminare era stato concordemente definito il prezzo della compravendita in Euro 875 mila, di cui Euro 375 mila a titolo di caparra, nel definitivo il corrispettivo era stato indicato in complessivi Euro 500 mila. A fronte, dunque, di siffatte palesi divergenze, anche di natura documentale, ed in assenza di valide giustificazioni, la CTR ha ritenuto legittima la pretesa dell’Amministrazione finanziaria.

2.6. Dunque la CTR ha provveduto a giustificare la reiezione della tesi del contribuente sulla scorta delle rilevate contraddizioni circa l’effettivo prezzo della vendita dell’immobile, risultando il convincimento in linea non solo con i parametri generali che regolano la sufficienza motivazionale, ma anche con quanto precedentemente osservato circa la sussistenza dell’onere a carico del contribuente di superare la presunzione posta dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32.

3. Con il quarto motivo il ricorrente lamenta l’illegittimità della sentenza per insufficiente o illogica motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), nonchè la nullità della sentenza per omessa pronuncia circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (in violazione dell’art. 112 c.p.c. ed in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), nonchè l’illegittimità della sentenza per violazione e falsa applicazione del Tuir, art. 67 e del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, e dei principi di chiarezza e precisione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, avendo la CTR omesso di pronunciare sulle ragioni per le quali il versamento della somma di Euro 375 mila possa essere qualificato come reddito diverso, ai sensi del Tuir, art. 67, laddove, invece, il versamento in parola non rientra in nessuna delle ipotesi previste dalla norma e non corrisponde ad alcuna delle diverse tipologie di reddito previste dalla norma.

3.1. Il motivo è infondato.

3.2. La ragione della ripresa a tassazione della somma, infatti, va ravvisata nella circostanza che la rimessa è confluita sul conto intestato al ricorrente, senza che quest’ultimo ne abbia giustificato la radice causale. Come già osservato in relazione ai primi due motivi, infatti, le operazioni bancarie di versamento posseggono un valore presuntivo nei confronti di tutti i contribuenti, i quali possono vincere la presunzione solo provando l’inclusione delle stesse nel reddito soggetto ad imposta o la loro irrilevanza, dimostrazione assente nel caso in esame.

4. Con il quinto motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e della L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 3 e dei principi relativi all’onere della prova, nonchè dell’art. 118 disp. att. c.p.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4), assumendo la totale carenza probatoria dell’avviso di accertamento, avendo l’Ufficio ricavato la presenza di redditi dai versamenti bancari e, sulla base di tale presunzione, l’esistenza di redditi diversi, aspetto che sarebbe stato del tutto trascurato dalla sentenza impugnata.

4.1. Il motivo, che ripropone nella sostanza le stesse doglianze di cui al primo ed al secondo motivo, è infondato.

4.2. Come già precedentemente rimarcato, l’Ufficio, fornendo la prova che nell’anno oggetto dell’accertamento, sul conto corrente personalmente intestato al contribuente erano affluite somme per accreditamenti bancari, ha dimostrato, avvalendosi della presunzione stabilita dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, n. 2, la disponibilità di maggiori redditi tassabili, onde incombeva sul contribuente l’onere di provare l’esatta provenienza delle somme e comunque che si trattasse di disponibilità reddituale esente da imposta.

5. Il sesto motivo è così rubricato: “nullità della sentenza per omessa pronuncia sui motivi e domande dell’atto di appello in violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4; illegittimità della sentenza per omesso esame circa fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione tra le parti in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5; illegittimità della sentenza per omessa ed insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 e al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 62; illegittimità della sentenza per violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, artt. 7 e 12 e dell’art. 24 Cost., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”; il motivo evidenzia il mancato esame, da parte della CTR, delle questioni relative all’assenza di motivazione dell’avviso di accertamento e della violazione del diritto del contribuente a ricevere le informazioni previste dallo Statuto del contribuente, art. 12, comma 2. Inoltre la sentenza impugnata sarebbe carente di motivazione, in quanto non spiegherebbe perchè l’asserita presenza dell’autorizzazione del Direttore Generale sarebbe sufficiente ad integrare sia il requisito della motivazione dell’atto di accertamento, sia il diritto del contribuente di ricevere, in occasione delle verifiche, le informazioni di cui al menzionato art. 12, comma 2.

5.1. Il motivo è infondato.

5.2. La questione riguardante la carenza di motivazione dell’avviso di accertamento è esposta dal ricorrente richiamando e ritrascrivendo il contenuto dell’analogo motivo prospettato innanzi ai giudici di merito, ove vengono indicate, in maniera più concreta ed esplicita, le carenze motivazionali dell’avviso e tutti i dati che quest’ultimo dovrebbe in astratto contenere (cfr. pag. 58 del ricorso): il ricorrente, così facendo, tuttavia, non precisa concretamente quale, tra le prescritte informazioni, sia mancata nel caso in esame.

5.3. Sul punto va comunque ribadito che, per ciò che concerne l’utilizzo dei dati bancari, l’Amministrazione ben può avvalersi della presunzione di cui all’art. 32 cit. senza bisogno di motivare ulteriormente sulle ragioni che inducono a desumere, da quei dati, la disponibilità da parte del contribuente di maggiori redditi tassabili.

5.4. In secondo luogo deve osservarsi che la doglianza, per come esplicitata nel ricorso, non indica quale sia stata la concreta lesione che il contribuente avrebbe subito per effetto delle indicazioni a suo dire mancanti (e ciò con riferimento a quelle informazioni che in modo indifferenziato egli individua a pag. 58 del ricorso), con conseguente applicazione del condivisibile principio affermato da Cass. n. 11052 del 2018, secondo cui “L’obbligo di motivazione degli atti impositivi, sancito dal cd. Statuto del contribuente, art. 7, deve essere interpretato avendo riguardo ai canoni di leale collaborazione e buona fede, espressi dal successivo art. 10, la cui portata deve essere ricostruita alla luce dei principi di solidarietà economica e sociale e di ragionevolezza sanciti, rispettivamente, dagli artt. 2 e 3 Cost.: ne deriva che sono irrilevanti le violazioni formali che non abbiano arrecato un’effettiva lesione della sfera giuridica del contribuente”.

5.5. Ulteriormente il contribuente si duole della violazione dello Statuto del contribuente, art. 12, comma 2, a mente del quale “Quando viene iniziata la verifica, il contribuente ha diritto di essere informato delle ragioni che l’abbiano giustificata e dell’oggetto che la riguarda, della facoltà di farsi assistere da un professionista abilitato alla difesa dinanzi agli organi di giustizia tributaria, nonchè dei diritti e degli obblighi che vanno riconosciuti al contribuente in occasione delle verifiche”.

5.6. La questione, pur presa in esame dalla CTR che ha ricollegato la violazione del diritto di difesa alla questione riguardante l’impossibilità, dedotta dal contribuente, di conoscere e visionare l’autorizzazione del Direttore Regionale, è stata tuttavia superata dal giudice di appello sul rilievo dell’esistenza, in punto di fatto, di tale autorizzazione.

5.7. Al di là di questo aspetto, poi, non risulta che la violazione dell’art. 12, comma 2, sia stata diversamente prospettata dal contribuente nelle precedenti fasi di merito e, anche esaminando il contenuto degli atti come ritrascritto dal ricorrente, non emerge in modo chiaro ed univoco che egli si sia effettivamente doluto della mancata informativa circa le ragioni che giustificarono la verifica, del suo oggetto e della possibilità di farsi assistere da un professionista, nonchè dei diritti e degli obblighi che vanno riconosciuti in occasione delle verifiche.

5.8. Al di là del generico riferimento alla violazione dell’art. 12, comma 2, contenuto a pag. 4 dell’atto di appello (come ritrascritto dal ricorrente a pag. 57 del ricorso), in ogni caso va tenuto conto che dall’omissione dell’informativa non deriva, automaticamente, la nullità dell’accertamento. Come ricordato, infatti, da Cass. n. 28692 del 2018 “In tema di accertamento, ove non siano state indicate al contribuente, in sede di verifica, le specifiche ragioni per le quali la stessa è iniziata, motivando gli accessi con generici riferimenti agli indirizzi di programma annuali ovvero al settore economico di particolare interesse, non si configura la nullità dell’atto impositivo per violazione della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 2, atteso che, non essendo tale sanzione espressamente prevista dalla legge, è onere del contribuente dedurre e dimostrare il concreto pregiudizio derivato alla sua difesa dalla denunciata violazione”.

6. Con il settimo motivo il contribuente si duole della nullità della sentenza e/o del procedimento in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 nonchè dell’illegittimità della sentenza per violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 23 e 54, e dell’art. 24 Cost., per avere la CTR espressamente considerato rituale la costituzione in giudizio da parte dell’Ufficio, pur se nel verbale dell’udienza del 26 giugno 2013 si dava atto della mancanza della costituzione in giudizio dell’Ufficio, pur presente all’udienza.

6.1. Il motivo è infondato.

6.2. Secondo quanto espone il ricorrente, l’Ufficio, presente all’udienza di discussione, aveva fatto presente di avere depositato l’atto di costituzione nel 2012 con un errore materiale; la CTR, nella sentenza impugnata, ha dato atto della rituale costituzione in giudizio dell’Agenzia che avrebbe risposto alle deduzioni dall’appellante e concluso per il rigetto dell’appello.

6.3. Secondo il ricorrente, dunque, la CTR avrebbe dovuto dichiarare l’inammissibilità della costituzione in giudizio dell’Ufficio per il mancato rispetto dei “termini e delle modalità di costituzione di parte resistente, stabiliti dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 23 e richiamati dal citato art. 54”.

6.4. Il contribuente, perciò, lamenta non già la mancata costituzione in giudizio dell’Ufficio (costituzione invece ritenuta regolare dalla CTR), ma solo il mancato rispetto dei termini e delle modalità di costituzione in giudizio di cui all’art. 23.

6.5. Trova pertanto applicazione il condivisibile principio, già affermato da questa Corte, secondo il quale “Nel processo tributario, la violazione del termine previsto dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 23, per la costituzione in giudizio della parte resistente comporta esclusivamente la decadenza dalla facoltà di proporre eccezioni processuali e di merito che non siano rilevabili d’ufficio e di fare istanza per la chiamata di terzi, sicchè permane il diritto dello stesso resistente di negare i fatti costitutivi dell’avversa pretesa, di contestare l’applicabilità delle norme di diritto invocate e di produrre documenti ai sensi del detto decreto, artt. 24 e 32” (Cass. n. 2585 del 2019 e n. 6734 del 2015).

7. Le ragioni che precedono impongono il rigetto del ricorso. Nulla sulle spese processuali, stante il mancato svolgimento di attività difensiva da parte dell’Agenzia delle entrate.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso; nulla spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 18 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 7 luglio 2021

 

 

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