Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19363 del 03/08/2017


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Cassazione civile, sez. III, 03/08/2017, (ud. 18/05/2017, dep.03/08/2017),  n. 19363

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. AMBROSI Irene – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 527/2015 proposto da:

F.M.P., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

COLLEFERRO 15, presso lo studio dell’avvocato ANNA MARIA VETERE, che

la rappresenta e difende giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

BANCA POPOLARE BERGAMO SPA, in persona del suo procuratore, legale

rappresentante Dott. N.C., elettivamente domiciliata in ROMA,

VIA G. PUCCINI 10, presso lo studio dell’avvocato MARIO FERRI, che

la rappresenta e difende unitamente all’avvocato RAFFAELLA MORETTI

giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 653/2014 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

depositata il 13/05/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

18/05/2017 dal Consigliere Dott. IRENE AMBROSI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con sentenza del 22 dicembre 2014 la Corte di appello di Brescia ha accolto l’impugnazione proposta dalla Banca Popolare di Bergamo s.p.a. avverso la decisione del Tribunale di Bergamo con la quale era stata parzialmente accolta l’opposizione proposta da F.M.P. nei confronti della predetta Banca avverso il decreto ingiuntivo emesso dallo stesso Tribunale con cui le si intimava il pagamento della somma di Euro 46.954,83, oltre interessi e spese, in qualità di prestatrice di due fideiussioni in data 2 aprile e 3 luglio 2003 (insieme ad altro ingiunto: N.R.) per le obbligazioni della società F.N. Editrice s.r.l. scaturenti da operazioni bancarie già consentite o future sino alla concorrenza di Euro 26.000,00. Nello specifico, la predetta società aveva intrattenuto con la banca due rapporti: un rapporto di conto corrente aperto in data 26 aprile 2001 e un prestito di Euro 40.000,00 concesso in data 6 agosto 2008 da restituire in 48 rate. Il Tribunale di Bergamo aveva revocato il decreto ingiuntivo, dichiarato liberata la opponente quale fideiussore dal debito relativo al contratto di finanziamento perchè concesso nella consapevolezza del peggioramento della situazione finanziaria della società a norma dell’art. 1956 c.c. e condannato la stessa al pagamento della minor somma di Euro 5.102,94 pari al saldo del debito di conto corrente.

Per quanto ancora rileva in questa sede, la Corte territoriale, nel riformare la decisione del giudice di primo grado, ha evidenziato che secondo il dettato dell’art. 1956 c.c., non fosse provato il peggioramento delle condizioni patrimoniali della società debitrice principale in modo da “rendere notevolmente più difficile il soddisfacimento del credito”. In particolare, il giudice di appello ha rilevato: – che non era stato prodotto il bilancio 2008 e che quello relativo all’anno 2007 avrebbe potuto, al più, confermare una tendenza negativa, ma non in termini tali da giustificare la conclusione secondo cui il soddisfacimento del credito sarebbe risultato “notevolmente” più difficile; che l’operazione in esame non era consistita nella concessione alla società garantita di un credito ulteriore e diverso rispetto a quello già maturato a favore delle banca “in virtù degli sconfini della debitrice sul conto corrente in essere, bensì nella mera determinazione delle modalità di rientro nel senso della pattuizione di ratei mensili comprensivi di interessi”; che infine “e soprattutto” nella ricorrente F. coesistevano la qualità di prestatrice delle fideiussione e quella di socia e che nella quasi totalità dei verbali dell’assemblea convocata per l’approvazione dei bilanci la predetta risultava a fianco del socio amministratore, N.R., in funzione di segretaria “vale a dire in una posizione di osservatore privilegiato della situazione patrimoniale della società, posizione che ne assimila la figura a quella individuata dalla giurisprudenza secondo cui “quando la conoscenza delle difficoltà economiche nelle quali versa il debitore principale è comune o deve essere presunta tale – al creditore e al fideiussore, la mancata autorizzazione non può configurare una violazione contrattuale liberatoria…” (da ultima Cassaz. 21 febbraio 2006 n. 3761)”.

Avverso questa decisione F.M.P. propone ricorso per cassazione articolato in cinque motivi. Resiste con controricorso la Banca Popolare di Bergamo s.p.a. La ricorrente ha depositato memoria.

Va rilevato che il Collegio ha disposto la redazione della presente sentenza in forma semplificata mediante “la concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione” in osservanza dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, nel testo vigente, applicabile ratione temporis, come modificato dalla L. 18 giugno 2009, n. 69.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, la ricorrente lamenta l’omesso esame di un fatto decisivo in quanto la Corte di appello avrebbe omesso di esaminare i dati dei bilanci della FN Editrice s.r.l. (anni 2003-2007) che dimostrerebbero in modo inequivocabile il netto peggioramento delle condizioni patrimoniali della debitrice principale, limitandosi a formulare generiche critiche nei confronti delle valutazioni operate dal giudice di primo grado “senza mai occuparsi di prendere in esame, direttamente, i dati dei bilanci in questione, che infatti non vengono mai citati dalla sentenza”. La grave omissione della Corte territoriale sarebbe dimostrata, inoltre, dall’aver ritenuto non assolto l’onere probatorio da parte della ricorrente, sebbene questa avesse, invece, prodotto in giudizio i bilanci societari dai quali ben si sarebbe potuto verificare l’avvenuto peggioramento delle condizioni patrimoniali della società.

2. Con il secondo motivo la ricorrente lamenta “la nullità della sentenza per violazione dell’art. 132, n. 4 – motivazione apparente” in quanto la Corte del merito avrebbe affermato “in maniera del tutto apodittica che tale peggioramento non sarebbe stato tale da rendere notevolmente più difficile il soddisfacimento del credito”, giungendo “a tale contraddittoria conclusione: – senza esaminare i dati risultanti dai bilanci depositati; – senza spiegare, in alcun modo, per quale motivo le peggiorate condizioni economiche della debitrice non sarebbero in grado di pregiudicare il soddisfacimento del nuovo credito”. In concreto, secondo la ricorrente, la Corte di appello non avrebbe speso “neanche una parola per motivare l’illogica conclusione alla quale giunge” e non avrebbe indicato “quale circostanza lascerebbe presumere che la debitrice, nonostante la riconosciuta “tendenza negativa, sia, comunque, in condizione di adempiere alla propria obbligazione; nè la sentenza spiega quali parametri siano stati adottati dal giudicante per individuare il discrimine tra condizioni che rendano “notevolmente più difficile” il soddisfacimento del credito e condizioni che, seppure peggiorative, non siano tali”.

3. Con il terzo motivo la ricorrente lamenta “l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti consistente nella concessione, da parte della banca, di un nuovo credito alla F.N. Editrice”. Si duole in particolare che la Corte di appello, nel ritenere che l’operazione posta in essere dalla banca nel 2008 sia consistita nella “mera rideterminazione delle modalità di rientro” di un credito già maturato, abbia omesso “colpevolmente” di considerare le circostanze emerse nel corso del giudizio e cioè che nel maggio 2008 la società FN Editrice, debitrice principale, beneficiava di un fido concesso dalla Banca di soli 20.000,00 e in data 15 luglio 2008 la banca aumentava il fido di cassa sino a 40.000,00 Euro, trasformandolo, poi, in data 6 agosto 2008, in un mutuo rimborsabile in 48 rate mensili.

4. Con il quarto motivo di ricorso la ricorrente lamenta “l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti consistente nel documento del 15.7.08, con valenza confessoria, proveniente dalla banca creditrice” in quanto il giudice di appello non avrebbe esaminato il contenuto delle dichiarazioni contenute nel documento (sub alleg. n. 12 alla comparsa conclusionale della Banca nel giudizio di opposizione) le quali fornirebbero piena prova delle seguenti circostanze: – che la Banca concesse un nuovo credito alla FN Editrice; – che la stessa Banca fosse consapevole sia del peggioramento delle condizioni economiche-finanziarie della debitrice garantita sia della più che probabile inadempienza della debitrice principale; – che, egualmente, concesse il prestito contando unicamente sulla garanzia costituita dal patrimonio immobiliare della F..

5. I motivi illustrati possono essere esaminati congiuntamente in ragione della loro reciproca connessione e sono inammissibili sia nella parte in cui lamentano l’omesso esame di fatti decisivi sia nella parte in cui eccepiscono la nullità della sentenza impugnata (per violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4 – motivazione apparente).

In via generale, è utile rammentare che le Sezioni Unite di questa Corte hanno chiarito che la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, convertito in L. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” o di “contraddittorietà” della motivazione. Hanno altresì chiarito che la nuova formulazione della richiamata norma, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia).

Ai sensi della nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5 – applicabile alle sentenze pubblicate dopo l’11 settembre 2012 e dunque pacificamente anche alla pronuncia impugnata con il ricorso in esame, depositata il 13 maggio 2014 – il controllo sulla motivazione è dunque possibile, per un verso, solo con riferimento al parametro dell’esistenza e della coerenza e, per l’altro, solo con riferimento all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, che abbia costituito oggetto di discussione e sia decisivo, vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia.

La ricorrente, sebbene denunci formalmente l’omesso esame di plurimi fatti (omesso esame dei dati dei bilanci societari in atti, omesso esame dell’avvenuta concessione nel 2008 di un nuovo credito alla società FN Editrice e omesso esame del contenuto del documento sub doc. 12 avente valore asseritamente confessorio proveniente dalla banca) che avevano costituito oggetto di discussione, tuttavia nella sostanza lamenta l’omesso esame di elementi istruttori da parte del giudice di appello.

Nella vicenda in esame, debbono escludersi vizi riconducibili all’inesistenza (sotto il profilo della mancanza assoluta o della mera apparenza) o all’incoerenza della motivazione (sotto il profilo della sua perplessità, dell’obiettiva incomprensibilità o della sussistenza di un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili), atteso che, al contrario, la Corte di merito ha esaustivamente dato conto delle ragioni per le quali ha ritenuto che non fosse provato – ai fini della liberazione del fideiussore ex art. 1956 c.c. – il peggioramento delle condizioni patrimoniali della società debitrice principale in modo da “rendere notevolmente più difficile il soddisfacimento del credito”.

Va rilevato, inoltre, che la ricorrente non si adegua al modello legale introdotto dal “nuovo” art. 360 c.p.c., n. 5, limitandosi a proporre la rivalutazione di una congerie di elementi istruttori – lamentando, ad esempio, ai fini della dimostrazione del netto peggioramento delle condizioni patrimoniali della debitrice principale, l’omessa valutazione dei dati di bilancio della società FN Editrice o del contenuto del documento predisposto dalla banca in data 15.7.2008 – per giungere ad un accertamento del fatto diverso da quello a cui è motivatamente pervenuto il giudice del merito.

Una simile rivalutazione di fatti e circostanze, già inammissibile nella vigenza del vecchio testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5, lo è a più forte ragione alla luce della nuova formulazione della norma, specie se si consideri che la valutazione delle risultanze probatorie, al pari della scelta di quelle – fra esse – ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, postula un apprezzamento di fatto riservato in via esclusiva al giudice di merito, il quale, nel porre a fondamento del proprio convincimento e della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, nel privilegiare una ricostruzione circostanziale a scapito di altre (pur astrattamente possibili e logicamente non impredicabili), non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere peraltro tenuto ad affrontare e discutere ogni singola risultanza processuale ovvero a confutare qualsiasi deduzione difensiva. In altri termini, l’omesso esame di elementi istruttori non è di per sè sindacabile in sede di legittimità in quanto non integra, per ciò stesso, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo, qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass. civ., Sez. Un., 7 aprile 2014, nn. 8053 e 8054, RRvv. 629831 e 629834; v. anche Cass. civ., Sez. 6-3, Ordinanza n. 21257 dell’8 ottobre 2014, Rv. 632914).

E’ principio di diritto ormai consolidato quello per cui l’art. 360 c.p.c., n. 5, non conferisce in alcun modo e sotto nessun aspetto alla corte di Cassazione il potere di riesaminare il merito della causa, consentendo ad essa, di converso, il solo controllo – sotto il profilo logico-formale e della conformità a diritto – delle valutazioni compiute dal giudice d’appello, al quale soltanto, va ripetuto, spetta l’individuazione delle fonti del proprio convincimento valutando le prove (e la relativa significazione), controllandone la logica attendibilità e la giuridica concludenza, scegliendo, fra esse, quelle funzionali alla dimostrazione dei fatti in discussione.

Contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, la Corte territoriale ha mostrato di aver debitamente esaminato le risultanze probatorie emergenti dall’esame dei bilanci societari prodotti in atti, rilevando, per un verso, la mancata produzione del bilancio relativo all’anno 2008 necessario per verificare le condizioni patrimoniali della società debitrice principale (pagg. 7-8 in motivazione) e ritenendo, per l’altro, che il bilancio prodotto relativo all’anno 2007 avrebbe potuto, al più, confermare una tendenza negativa, ma non in termini tali da giustificare la conclusione secondo cui il soddisfacimento del credito sarebbe risultato “notevolmente” più difficile. Inoltre, la Corte di merito ha adeguatamente ritenuto che l’operazione bancaria intercorsa tra le parti non fosse consistita nella concessione alla società garantita di un credito ulteriore e diverso rispetto a quello già maturato in favore della banca “in virtù degli sconfini della debitrice sul conto corrente in essere, bensì nella mera determinazione delle modalità di rientro nel senso della pattuizione di ratei mensili comprensivi di interessi” (v. pag. 8 in motivazione). Ha mostrato altresì di aver esaminato il contenuto del documento (sub alleg. 12) per ritenere che non offrisse alcuna dimostrazione della partecipazione della F. alla negoziazione della concessione del “prestito” da parte della banca. Pertanto, ha concluso nel ritenere non assolto l’onere probatorio gravante sulla parte, originaria opponente, di dimostrare che all’atto di concessione del prestito finanziario, il soddisfacimento del credito fosse divenuto “notevolmente più difficile” nel raffronto con la situazione esistente all’epoca del rilascio delle garanzie.

Parimenti inammissibile alla luce dei criteri indicati dalle Sezioni Unite di questa Corte nelle pronunce sopra richiamate, è la censura con cui viene lamentata la nullità della sentenza impugnata in quanto presenterebbe una motivazione del tutto apparente, sì da ridondare in mancanza di motivazione e, quindi, da determinare la nullità della sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4.

Con essa, la ricorrente, in concreto, vorrebbe censurare un vero e proprio vizio di “contraddittoria” motivazione, ipotizzando erroneamente la sopravvivenza della figura del vizio di motivazione attraverso la semplice contestazione della nullità della sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4), il che non trova alcun supporto nell’orientamento di legittimità richiamato (Sezioni Unite 7 aprile 2014, n. 8053, Rv. 629831; v. anche Sez. 6-3, Ordinanza n. 13928 del 06/07/2015, Rv. 636030-01).

6. Con il quinto motivo, la ricorrente lamenta la “violazione o falsa

applicazione degli artt. 1956,1175 e 1375 c.c.” in quanto la Corte di appello, affermando che in capo alla F. coesistessero la qualità di prestatrice della fideiussione e quella di socia e che nella quasi totalità dei verbali dell’assemblea convocata per l’approvazione dei bilanci la predetta, la stessa risultasse a fianco del socio amministratore, N.R., in funzione di segretaria, ne avrebbe erroneamente assimilato la figura a quella individuata dalla giurisprudenza per la diversa ipotesi in cui debitrice risulti una società nella quale il fideiussore ricopre la carica di amministratore, per la quale si ritiene che “quando la conoscenza delle difficoltà economiche nelle quali versa il debitore principale è comune, o deve essere presunta tale, al creditore e al fideiussore, la mancata autorizzazione non può configurare una violazione contrattuale liberatoria…(da ultima Cassaz. 21 febbraio 2006 n. 3761)”.

Il motivo è anch’esso inammissibile, vertendosi in ipotesi di affermazione ad abundantiam non costituente la ratio decidendi della statuizione impugnata, già fondata su altre decisive argomentazioni tali da non ritenere provato il peggioramento delle condizioni patrimoniali della società debitrice principale in modo da rendere notevolmente più difficile il soddisfacimento del credito (mancata produzione del bilancio 2008, stante che quello relativo all’anno 2007 avrebbe potuto, al più, confermare una tendenza negativa, ma non in termini tali da risultare il soddisfacimento del credito “notevolmente” più difficile ed insussistenza della concessione alla società garantita di un credito ulteriore e diverso rispetto a quello già maturato a favore delle banca). Pertanto, l’argomentazione in esame non avrebbe potuto formare oggetto di un motivo di ricorso per cassazione, che sotto tale profilo appare inammissibile per difetto di interesse (Cass. 05/06/2007, n. 13068; Cass. 09/04/2009, n. 8676; Cass. 22/10/2014, n. 22380).

7. Il ricorso va in conclusione dichiarato inammissibile.

8. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, si deve dare atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del citato art. 13, comma 1 bis.

PQM

 

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Condanna parte ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 6.200,00 per compensi, oltre alle spese forfetarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 18 maggio 2017.

Depositato in Cancelleria il 3 agosto 2017

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